16 luglio 2007

Sagrada Familia, il tempio infinito

Procedono i lavori del cantiere iniziato da Gaudì nell'800. L'architetto, pensando che non avrebbe fatto in tempo a completare l'opera, aveva predisposto dei modelli, poi danneggiati o distrutti dagli anarchici durante la guerra di Spagna. Ora grazie al computer essi vengono ricomposti e guidano la costruzione della grande chiesa
di Leonardo Servadio
«Sono circa diecimila i frammenti da ricomporre», spiega Jordi Bonet i Armengol, capocantiere. «Le difficili geometrie di questo edificio sono impregnate di simbologie cristiane»
È il cantiere nel mondo visitato dal maggior numero di persone: due milioni e mezzo all'anno. È anche il simbolo di Barcellona e una tra la massime espressioni dell'architettura contemporanea; ma forse la cosa più sorprendente è che la Sagrada Familia - il capolavoro di quel genio universale che fu Antoni Gaudí - è anche un campo di indagine archeologica. Non per via della sua antichità (che pure è cospicua: le opere si aprirono nel 1882, Gaudí ne divenne responsabile due anni dopo e diede vita al progetto attuale che è ancora lungi dall'essere portato a termine), né perché dal sottosuolo emergano reperti di edifici precedenti, ma perché la sua storia è attraversata da eventi sconvolgenti. «Abbiamo circa diecimila frammenti - spiega Jordi Bonet i Armengol, l'architetto capo del cantiere - di quei modelli che Gaudí lasciò, ben sapendo che a lui non sarebbe stato possibile completare l'opera nel corso della sua vita»: infatti morì nel 1926, dopo aver realizzato l'abside e la facciata della Natività del grande "tempio espiatorio" barcellonese. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, i suoi modelli di progetto andarono distrutti e non restarono tracce complete di come egli stesse pensando di procedere con la complicatissima architettura.
Ma perché quei modelli furono distrutti nel '36, all'inizio delle ostilità, se le truppe nazionaliste del generale Francisco Franco risalirono la penisola dal sud e la linea di fuoco arrivò a toccare la capitale catalana solo nei mesi conclusivi del conflitto, nel '39? «Quando giunse la notizia del "pronunciamiento", qui in Catalogna scoppiò l'inferno - racconta Bonet - gli anarchici assassinarono migliaia di sacerdoti, accanendosi in particolare contro coloro che erano dediti alle opere di carità ed erano considerati più vicini al popolo. Distrussero anche le chiese, a centinaia, in tutta la Catalogna solo 12 restarono intatte, circa 450 subirono danni di diversa entità o furono abbattute. Sembra proprio che in questo mo do si volesse cancellare la presenza attiva e ogni traccia visibile della Chiesa in questa terra. Nella Sagrada Familia furono danneggiati alcuni elementi delle parti completate da Gaudí e il suo studio fu dato alle fiamme».
Oggi i frammenti dei modelli originali in gesso («Ne abbiamo classificata la maggior parte, ma non ancora tutti») sono raccolti sulle scaffalature nel laboratorio dove una decina di giovani architetti coordinati da Bonet i Armengol sono impegnati a cercare di comprendere, man mano che la costruzione procede, come Gaudí avrebbe definito i particolari e risolto i problemi.
Si realizzano nuovi modelli e alcuni di questi presentano inserti anneriti dal tempo: sono i frammenti dei quali, tramite i rendering tridimensionali realizzati al computer, si è trovata una collocazione plausibile.
«Nel corso degli ultimi due anni, grazie ad alcune donazioni particolarmente consistenti, la costruzione è avanzata parecchio. Abbiamo completato le coperture delle navate: restano ancora le volte superiori esterne, le guglie-campanili sopra l'incrocio del transetto (la maggiore delle quali toccherà i 170 metri di altezza) e la facciata principale, dedicata alla Gloria». Le immagini note della grande basilica si riferiscono alle due facciate laterali, alle estremità del transetto. I modelli mostrano diverse soluzioni possibili per le intersezioni delle volte ancora da realizzarsi, o per le parti superiori dei pilastri e delle loro diramazioni arboree.
A dispetto dei suoi 82 anni Jorti Bonet si arrampica sui ponteggi con agilità, a 35 metri di altezza si sporge per indicare alcuni archi: «Qui è dove si nota il passaggio dalla vecchia architettura neogotica alla nuova architettura di Gaudí, basta sull'analisi geometrica tramite la quale concepiva forme organiche: quelle colonne che si diramano come alberi e passano, tramite un processo di trasformazione continua, da una sezione quadrata a una pentagonale, esagonale o di altra forma; o i paraboloidi delle volte, gli elissoidi posti agli snodi dei pilastri o quelli degli oculi che bucano le coperture e che, una volta completate le cupole superiori, diventeranno lucernari. Sono forme che si sostengono senza i contrafforti caratteristici del gotici». Ancora più in su, a una cinquantina di metri di altezza, si cammina sopra la nuova copertura interna: «Per le strutture verticali sono costretto a usare il cemento armato - lamenta Bonet - ma per quelle orizzontali no. Ho invece recuperato i sistemi costruttivi di un tempo, come la volta catalana, realizzata con tre strati sovrapposti che danno solidità strutturale alle file di mattoni con inserti di ceramica che al di sotto si vedono come foglie di palma: l'architettura gaudiniana è infatti intessuta di richiami simbolici evangelici».
La costruzione va avanti, lentamente ma continuamente. I giovani muratori apprendono dai vecchi tecniche dimenticate. Il cantiere ricorda quelli medievali, pieni di persone indaffarate e di curiosi che si fermano ad ammirare. Ma lo slancio delle guglie-campanili supera per arditezza i grattacieli: l'architettura geometrica e organica di Gaudí è ancora tutta da scoprire.
«Avvenir» del 28 giugno 2007

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