Una scoperta italiana può portare a una nuova «macchina della verità», probabilmente infallibile
di Cesare Peccarisi
Percorsi cerebrali più «tortuosi» quando non diciamo la verità
In novant’anni di esistenza, la macchina della verità ha accumulato un margine d’errore sempre più evidente: solo 7 mentitori su 10 vengono individuati e metà dei sinceri risulta bugiardo. I tentativi per trovare un «lie detector» infallibile sono stati molti, ma in realtà tutti cercavano di individuare le bugie senza sapere cosa cercare, dove cercare e soprattutto come ottenere risposte a prova di ogni ragionevole dubbio. Alcuni neuroricercatori del Policlinico di Milano diretti da Alberto Priori hanno invece scoperto, insieme agli psicologi dell’Università di Padova diretti da Giuseppe Sartori, che le bugie nascono nella cosiddetta corteccia prefrontale dorsolaterale e che più una bugia è complessa, maggiore è il numero di aree cerebrali successivamente coinvolte. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cerebral cortex, dimostra che l’atto del mentire può essere influenzato sperimentalmente e che il cervello usa meccanismi neurali differenti a seconda del tipo di menzogna. L’elettroencefalografo è lo strumento che controlla l’attività elettrica del cervello e la traduce in complessi tracciati basandosi su precisi punti del cranio (vedi figura) sui quali, con un caschetto elastico, si applicano placchette conduttrici collegate alla macchina di registrazione. Dopo aver collegato solo la placchetta posta fra i punti F3 e F4 (corrispondente all’area prefrontale dorsale, già sospettata come implicata nelle bugie), i ricercatori hanno fatto scegliere a 15 volontari 5 figure in un gruppo di 10. Rivedendole su un computer (metà erano fra quelle che avevano scelto e metà fra quelle scartate), gli esaminandi dovevano rispondere alla domanda: «tu hai questa figura?». Le loro risposte, però, erano indicate dai medici e quindi i volontari potevano dover rispondere la verità su una figura che avevano scelto e su una che non avevano scelto , oppure, viceversa, dire una bugia su una figura scelta e su una che avevano scartato. Quando qualcuno mentiva, il cervello impiegava circa 120 millisecondi in più per rispondere, come se usasse questo "extra-tempo" per rielaborare l’informazione fasulla. L’elettroencefalogramma indicava che prima della risposta, la prefrontale dorsale "si consultava" con altre aree cerebrali, come a farsi suggerire che cosa rispondere. Fra le aree "consultate" ci sono ad esempio quelle che attivano il rossore, che svela i mentitori maldestri, o la corteccia cingolare anteriore, coinvolta per le bugie di negazione, tipo quelle del bambino che nega di aver rubato le caramelle. Il tempo che la corteccia prefrontale dorsolaterale impiega a connettersi per inibire la risposta "vera" spiegava il ritardo delle risposte. Ma i ricercatori sono andati anche oltre: inviando un microimpulso elettrico attraverso la placchetta sono riusciti a ingigantire questo ritardo, al punto da renderlo così evidente da non lasciar più dubbi. Per farlo hanno creato un circuito elettrico controllato tramite computer e chiuso grazie a un’altra placchetta applicata sulla spalla destra, in modo che la micro-corrente continuasse a scorrere. Questa procedura si chiama t-DCS, cioè stimolazione elettrica transcranica diretta, una tecnica non invasiva che induce variazioni funzionali nel cervello senza un accesso diretto al tessuto cerebrale. La cosa sorprendente è che l’aumento del ritardo procurato agli impulsi nervosi non si verificava quando lo stimolo elettrico aveva carica negativa. Quando invece lo stimolo aveva polarità positiva le bugie venivano selettivamente rallentate, mentre le risposte vere restavano inalterate. Non è ancora chiaro perché sia solo la carica positiva a rallentare le bugie, ma questo è ciò che succede. Forse la "via nervosa delle bugie" lavora con cariche cellulari più negative per motivi neurofisiologici ancora da scoprire, ma il fatto che polarità diverse ottengano effetti diversi dimostra che il "cervello delle bugie" è formato da neuroni differenti, che reagiscono diversamente a prescindere dalla volontà, «In questa prova manca la componente emotiva e finalistica che accompagna le bugie nella vita reale - dice Alberto Priori, del Dipartimento di scienze neurologiche dell’Università di Milano - ma il nostro scopo era verificare cosa accade nel cervello quando si nega un fatto realmente accaduto e, ad esempio, se si tace il nome di un assassino, o quando viene prodotta una realtà fantasiosa». La ricerca avrà bisogno di conferme, ma apre orizzonti al di là della neurofisiologia cerebrale, sconfinando nello studio dei processi alla base delle nostre scelte, con importanti ripercussioni che investiranno probabilmente anche l’ambito forense.
«Corriere della sera» dell’8 luglio 2007
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