di Rino Cammilleri
Su DoctorNews, il quotidiano on line del medico italiano del 9 febbraio scorso, il professor Vincenzo Carpino, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi), aveva dichiarato: «A noi anestesisti rianimatori non si può chiedere di salvare le vite umane e poi, nello stesso tempo, di spegnerle staccando la spina». Già, perché in caso di legalizzazione di testamenti biologici ed eutanasie varie, proprio questa categoria di medici sarebbe caricata del fardello. Il professor Carpino in quell’occasione chiedeva il diritto all’obiezione di coscienza e al Parlamento di legiferare.
Oggi si dichiara «soddisfatto per l’assoluzione del collega Mario Riccio», ma chiede «con forza una legge che chiarisca una volta per tutte i temi dell’eutanasia e del testamento biologico», perché «i medici non possono essere lasciati soli, scelte del genere non possono essere lasciate alla decisione dei singoli». Una sentenza «saggia, che pone al centro il principio di autodeterminazione del paziente e che ci vede favorevoli», dice il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnom), Amedeo Bianco. Ovviamente, Riccio ha commentato: «Il giudice, con la sua sentenza, ha ribadito quello che già sapevamo e cioè che il paziente può rifiutare le terapie, anche quelle salvavita, e questo suo diritto può essere delegato ad altra persona. Lo dice la Costituzione. Io ho soltanto posto in essere il volere del paziente». Già, ecco il punto.
L’8 luglio Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato «Scienza & Vita» di Pisa-Livorno, si chiedeva «quanta autonomia vi sia nella decisione del paziente che fa richiesta di eutanasia». Risulta dagli studi che la depressione in pazienti del genere abbia un’incidenza addirittura quadrupla rispetto agli altri. «Tutti gli studi sono peraltro concordi nell’evidenziare un netto sotto-utilizzo e un ritardo nell’impiego dei farmaci antidepressivi in questi pazienti». Val la pena di riportare un episodio citato dallo stesso Puccetti e riguardante un medico scettico che su un forum asseriva la normalità della depressione in chi ha, per esempio, «un cancro terminale e irreversibile». Una mamma ha così risposto: «Chi le scrive è una mamma che ha perso una figlia appena 4 mesi fa, una meravigliosa figlia di 23 anni. Appena le diagnosticarono la malattia lottò con tutte le sue forze poi, ai primi insuccessi terapeutici, specialmente dopo grande sofferenza, incominciò a lasciarsi andare, lasciò gli studi ed incominciò a desiderare la morte. Fortunatamente ho incontrato una brava psichiatra che, con appena una pasticca di antidepressivo e qualche seduta terapeutica, ha ridato la forza di lottare a mia figlia; ha ricominciato gli studi universitari, ha preso la patente, ha preparato la tesi, ha ricominciato la sua vita di ragazza “normale”, pur soffrendo. Tutto questo avveniva fra una seduta di chemio e l’altra, un intervento di appendicectomia, un’embolia polmonare, un infarto polmonare, una micosi polmonare, un trapianto di cellule staminali. Sosteneva che erano incidenti di percorso... Più stava male e più si attaccava alla vita. Noi tutti della famiglia abbiamo constatato che il desiderio di “morte” iniziale era dovuto ad una forte depressione. Non le nego che mia figlia è stata aiutata anche da un buon padre spirituale che le è stato vicino fino alla morte; una morte che l’ha trovata vigile, serena e circondata da medici preparatissimi del reparto di ematologia Sant’Orsola di Bologna».
Commento di Puccetti: «Già! Medici, medici fino alla fine». Ma non tutti sono d’accordo. Infatti, se si può scaricare le responsabilità sul Parlamento, perché rompersi la testa con dilemmi etici? A proposito, ma nel convegno «Etica di fine vita: percorsi per scelte responsabili» di Udine, quasi tutti i 103 Presidenti degli Ordini provinciali, in rappresentanza di oltre 400mila medici appartenenti alla Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), non avevano varato un documento che respinge ogni ipotesi di eutanasia? E nel nuovo Codice deontologico approvato il 16 dicembre 2006, all’articolo 17 non si legge: «Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte»? Boh. Ma sì, se la veda il Parlamento.
Oggi si dichiara «soddisfatto per l’assoluzione del collega Mario Riccio», ma chiede «con forza una legge che chiarisca una volta per tutte i temi dell’eutanasia e del testamento biologico», perché «i medici non possono essere lasciati soli, scelte del genere non possono essere lasciate alla decisione dei singoli». Una sentenza «saggia, che pone al centro il principio di autodeterminazione del paziente e che ci vede favorevoli», dice il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnom), Amedeo Bianco. Ovviamente, Riccio ha commentato: «Il giudice, con la sua sentenza, ha ribadito quello che già sapevamo e cioè che il paziente può rifiutare le terapie, anche quelle salvavita, e questo suo diritto può essere delegato ad altra persona. Lo dice la Costituzione. Io ho soltanto posto in essere il volere del paziente». Già, ecco il punto.
L’8 luglio Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato «Scienza & Vita» di Pisa-Livorno, si chiedeva «quanta autonomia vi sia nella decisione del paziente che fa richiesta di eutanasia». Risulta dagli studi che la depressione in pazienti del genere abbia un’incidenza addirittura quadrupla rispetto agli altri. «Tutti gli studi sono peraltro concordi nell’evidenziare un netto sotto-utilizzo e un ritardo nell’impiego dei farmaci antidepressivi in questi pazienti». Val la pena di riportare un episodio citato dallo stesso Puccetti e riguardante un medico scettico che su un forum asseriva la normalità della depressione in chi ha, per esempio, «un cancro terminale e irreversibile». Una mamma ha così risposto: «Chi le scrive è una mamma che ha perso una figlia appena 4 mesi fa, una meravigliosa figlia di 23 anni. Appena le diagnosticarono la malattia lottò con tutte le sue forze poi, ai primi insuccessi terapeutici, specialmente dopo grande sofferenza, incominciò a lasciarsi andare, lasciò gli studi ed incominciò a desiderare la morte. Fortunatamente ho incontrato una brava psichiatra che, con appena una pasticca di antidepressivo e qualche seduta terapeutica, ha ridato la forza di lottare a mia figlia; ha ricominciato gli studi universitari, ha preso la patente, ha preparato la tesi, ha ricominciato la sua vita di ragazza “normale”, pur soffrendo. Tutto questo avveniva fra una seduta di chemio e l’altra, un intervento di appendicectomia, un’embolia polmonare, un infarto polmonare, una micosi polmonare, un trapianto di cellule staminali. Sosteneva che erano incidenti di percorso... Più stava male e più si attaccava alla vita. Noi tutti della famiglia abbiamo constatato che il desiderio di “morte” iniziale era dovuto ad una forte depressione. Non le nego che mia figlia è stata aiutata anche da un buon padre spirituale che le è stato vicino fino alla morte; una morte che l’ha trovata vigile, serena e circondata da medici preparatissimi del reparto di ematologia Sant’Orsola di Bologna».
Commento di Puccetti: «Già! Medici, medici fino alla fine». Ma non tutti sono d’accordo. Infatti, se si può scaricare le responsabilità sul Parlamento, perché rompersi la testa con dilemmi etici? A proposito, ma nel convegno «Etica di fine vita: percorsi per scelte responsabili» di Udine, quasi tutti i 103 Presidenti degli Ordini provinciali, in rappresentanza di oltre 400mila medici appartenenti alla Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), non avevano varato un documento che respinge ogni ipotesi di eutanasia? E nel nuovo Codice deontologico approvato il 16 dicembre 2006, all’articolo 17 non si legge: «Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte»? Boh. Ma sì, se la veda il Parlamento.
«Il Giornale» del 27 luglio 2007
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