di Giulio Tremonti
Caro direttore, mercoledì scorso il presidente Cossiga ha dato al Corriere una bella, se pur breve, intervista sulla crisi della politica, come crisi culturale e dei valori: «Gli italiani entrano in confusione, vedono cattolici militanti come Marini o Rosy Bindi abbracciare tesi laiciste e laici tradizionali come Pera, come Tremonti che invece fanno proprie certe tesi cattoliche care a Papa Ratzinger». Vorrei rispondere, naturalmente solo per quanto mi riguarda. E naturalmente non per introdurre argomenti di carattere personale (sulla mia scelta di una religiosità non esibita). Piuttosto, cosa vuole dire «laico tradizionale» e cosa vuole dire «fare proprie certe tesi cattoliche care a Papa Ratzinger»? Due domande e, nell’ordine, due risposte. Nella tradizione culturale italiana (in parallelo con la tradizione culturale europea) molte forme essenziali del liberalismo più antico hanno forti punti di contatto, spesso punti di identità, con il cattolicesimo. Dall’idea del limite del mercato all’idea della sussidiarietà. La collana di volumi curata per «Il Mulino» da Alberto Quadrio Curzio e Lorenzo Ornaghi è fortemente indicativa in questo senso. La storia prosegue per arrivare al tempo presente. L’idea del limite del mercato diventa critica del «mercatismo». Nel 2005, in Rischi Fatali ho scritto: «Mercato unico, pensiero unico, errore unico». Il 1989, con il crollo del muro di Berlino, ha infatti segnato la fine tanto del comunismo quanto del liberalismo. Sostituiti entrambi da un’ideologia nuova: il mercatismo. L’ultima follia ideologica del Novecento. Il liberalismo si basava su di un principio di libertà applicato al mercato. Il comunismo su di una legge di sviluppo applicata alla società. Il mercatismo è la loro sintesi. Perché applica al mercato una legge di sviluppo lineare e globale. In questi termini il mercatismo è l’immissione del mercato in un campo di forza. Il mercatismo fa infatti convergere a forza e sulla stessa scala offerta e domanda, produzione e consumo. E per farlo normalizza tutto, standardizza e spazza via tutti i vecchi differenziali. Postula e fabbrica prima un nuovo tipo di pensiero, il «pensiero unico», e poi un nuovo tipo ideale di uomo-consumatore: l’«uomo a taglia unica». Fonde insieme consumismo e comunismo. E così sintetizza un nuovo tipo di «materialismo storico». L’idea della sussidiarietà trova poi espressione, oltre che nel federalismo, in esperimenti che vanno dall’«8 per mille» al «5 per mille», che non ho inventato per gelido esperimento di finanza creativa, ma per profonda convinzione sulla funzione sociale propria di questi strumenti («Volontariato e nuovo welfare. Un 8 per mille per il futuro», Corriere 8 novembre 2004). E poi le «tesi cattoliche». Nel 1999 e dunque in epoca diciamo così non sospetta ho scritto quanto segue: «McDonald versus polenta, Halloween versus befana, Goretex o lana»? Questo gioco potrebbe continuare quasi all’infinito, sviluppandosi sulla doppia matrice nuovo-vecchio, estero-domestico. Ma non è un gioco. E’politica pura. Usi e costumi, famiglia, figli, vino, valzer, liscio, botteghe versus Coca-Cola, Pop, Rap, jeans, mega o super store, ecstasy, E-commerce, sono infatti materiali che, sprigionando la forza di una nuova dialettica, concretano la forma nuova del materialismo storico. In questo nuovo territorio, popolato dai simboli e dai totem del consumo, la politica non è e non sarà più chiusa nella vecchia dialettica, tra destra e sinistra, ma evoluta nell’alternativa tra globale e locale, tra mondo americano e mondo cristiano. Il conflitto tra mondo «americano» e mondo «cristiano» non è infatti necessariamente un conflitto tra masse di individui organizzabili politicamente, come tra le due vecchie opposte polarità della destra e della sinistra, perché può prendere la forma tipica dell’«Inneres Erlebnis», dell’esperienza continua, interna a ciascuna persona. Per questo, come è stato in passato, più degli altri la Chiesa potrebbe avere davanti a sé un grande futuro «politico». Ripeto, 1999. Infine, sui «Dico», penso che la dividente non sia tra mondo cattolico e mondo laico, ma tra due visioni diverse della società: una strutturata ed una destrutturata. Perché i «Dico» sublimano la cultura del consumismo. Consentono di passare, come su di una piattaforma girevole, dal consumo delle cose al consumo dei rapporti, delle relazioni e dei sentimenti, in nome della nuova ideologia delle «liberalizzazioni». L’essenza del Dico, matrimonio pop, è infatti nella banalizzazione. Non è nemmeno più necessario salire al piano di sopra del municipio: è sufficiente fermarsi al pian terreno in sala anagrafe per fare shopping giuridico, per consumare al banco un prodotto tipico di questo tempo. Immersi come moltitudine nella solitudine dell’effimero. Un prodotto a bassa intensità morale, e per questo un prodotto che ha un plus rispetto al matrimonio religioso o civile, così démodé nella sua liturgia, soprattutto così carico di fastidiosi vincoli e doveri. A questa visione si oppone, e francamente credo che debba essere opposta, una visione antica e forte della società, fatta da principi e da doveri, laici o religiosi. Non so se tutte queste idee sono giuste o sbagliate, care o no «a Papa Ratzinger». So che saranno comprese come non confondenti da un vero cattolico liberale come è Francesco Cossiga.
«Corriere della Sera» del 25 maggio 2007
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