Ma per l’Ue gli studenti delle materie tecniche restano troppo pochi
di Luisa Adani
Gli studenti dei ceti meno abbienti amano e apprendono la scienza e la tecnologia in misura maggiore rispetto ai loro coetanei più avvantaggiati. E’questa la tesi sostenuta nel rapporto «Conoscere il suono, la natura, l’universo» presentato recentemente dalla Fondazione Idis-Città della Scienza a Napoli. I dati raccolti (campione: 600 ragazzi napoletani) hanno evidenziato che gli studenti provenienti da classi sociali deboli approfittano delle occasioni formative in ambito scientifico in modo nettamente superiore rispetto ai compagni che vivono in una condizione di maggior benessere economico. Si sostiene, inoltre, che i giovani sollecitati con approcci sperimentali, e non solo teorici, come sono spesso quelli dell’insegnamento classico, si interessano di più e raggiungono buoni risultati in termini di abilità descrittiva e rappresentazione dei fenomeni studiati. Insomma, un punto a favore di chi sostiene il primato dell’esperienza e della pratica sulla teoria. La scienza inoltre piace, o meglio, può piacere, e lo dimostrano anche la crescente affluenza ai musei di scienza e di tecnologia. Risultati positivi se confrontati con i dati di Eurydice (la rete di informazione sull’istruzione e sull’insegnamento delle scienze nelle scuole in Europa) sulla carenza di vocazioni in questo settore. In realtà l’interesse fino alla maturità è alto, ma purtroppo scende vertiginosamente alle soglie dell’iscrizione all’università: colpa del mercato del lavoro, che cerca diplomati (tanto che le percentuali di occupazione a sei mesi dalla fine di questi studi sono più alte di quelle dei laureati) e della scuola italiana che non favorisce una mobilità sociale. Dopo la maturità infatti l’80 % degli studenti iscritti nei licei dichiara di volersi laureare contro il 34,5% di chi frequenta una scuola tecnica o il 15,9% di una professionale. Prosegue poi gli studi l’89% di chi ha padre o madre laureato e solo il 47% di chi ha genitori meno istruiti. Lo status condiziona inoltre le chances di terminare l’università, (indagini P.i.s.a., Programme for International Student Assessment, incrociate con i dati Istat ). «La nostra società ipertecnologica, in cui la scienza entra ogni giorno nella nostra vita, affida ai ceti meno avvantaggiati e ai paesi asiatici, India e Cina in testa, lo studio e la pratica scientifica», commenta Luigi Amodio, Direttore Fondazione Idis-Città della Scienza. Conseguenza del nostro attribuire una valenza culturalmente superiore agli studi umanistici? Di considerare gli studi scientifici meno interessanti per la carriera e lo sviluppo della retribuzione? Forse un po’di tutto questi. Ma certo il primato che sta raggiungendo in tutti i campi economici la Cina, con i suoi 500 mila laureati l’anno in ingegneria, dovrebbe far riflettere.
«Corriere della sera» del 6 luglio 2007
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