Etica e capitalismo
di Christopher Hitchens
Se qualcuno dovesse compiacersi dell’infamante rovina di Lord Black di Crossharbour, l’assurdo titolo di cui si è fregiato Conrad Black al momento dell’investitura tra i Pari di Sua Maestà britannica, quel qualcuno sarei proprio io. Verso la metà degli anni 80, Black si vantò che avrebbe acquistato il London Spectator - dove all’epoca lavoravo come corrispondente da Washington - solo per il gusto di licenziarmi. Quando mi arrivò la voce, pensai: «Ci risiamo, ecco l’ennesimo magnate della carta stampata che ha perso la testa per le sue manie di grandezza. Tra un pò farà costruire un teatro lirico per far cantare la sua amichetta stonata». A dire il vero poco tempo dopo Conrad Black acquistò effettivamente il London Spectator e io fui costretto a cercare nuovi spazi per le mie filippiche anti-reaganiane. Ma Black si accanì a mettermi i bastoni tra le ruote nei miei vari tentativi di trovare un nuovo impiego. Quando venni assunto come capo redazione a Washington per un quotidiano domenicale londinese, oggi scomparso dalla circolazione, Conrad Black chiamò al telefono i miei superiori per avvertirli che ero una persona malvagia e pericolosa, consigliandoli caldamente di sbarazzarsi di me. A questo punto fui tentato di fargli causa per diffamazione, ma decisi che la faccenda stava diventando troppo interessante. La nostra «faida» divenne ben presto argomento scottante delle rubriche di pettegolezzi. In quanto a me, mi limitai a inserire Conrad Black (così si chiamava ancora allora) nella mia lista degli scongiuri contro il malocchio. E adesso guardate un pò dove si è cacciato. La settimana scorsa Conrad Black è stato condannato da un tribunale di Chicago per tre reati di frode postale e per resistenza alla giustizia. È riuscito tuttavia a scansare le imputazioni più gravi ed è stato condannato essenzialmente per essersela spassata con i soldi della sua azienda. Ci sarà stato, immagino, un elemento di lotta di classe a influenzare i giurati di Chicago quando hanno sentito le descrizioni delle sue folli spese per festini luculliani, viaggi in jet privati e tutto il resto. Ed è emerso che io avevo visto giusto sin dall’inizio - per lo meno riguardo il dettaglio del teatro lirico, Conrad Black infatti ha imitato il protagonista del film Citizen Kane, che ne aveva costruito uno per la sua amante. Si viene così a scoprire che Lady Black, già reginetta delle cronache rosa con il nome di Barbara Amiel, è una donna insaziabile. Insaziabile nel senso di Imelda Marcos, per intenderci. Che dire di quella volta che si trovava a bordo di un Concorde che non ne voleva sapere di decollare da un aeroporto londinese? Spazientita per il ritardo, Lady Black telefonò al presidente della British Airways, Lord King, per chiedere il suo personale intervento: in caso contrario, se non avesse ricevuto un servizio celere ed efficace, minacciava di non servirsi mai più di quella compagnia aerea. Questo intoppo, a sua volta, rese necessario il noleggio di un jet privato per lei da parte della Hollinger Securities. Ma non prima di aver fatto installare una toilette supplementare nel jet privato, al prezzo di svariate centinaia di migliaia di dollari, in modo che Lady Black non fosse infastidita dal personale di bordo che percorreva l’intero velivolo per utilizzare i servizi igienici esistenti. È proprio questo tocco finale che la promuove al rango descritto dalla scrittrice Joyce Cary: quello delle persone capaci di «battute da ghigliottina», quelle frasi cioè pronunciate dai ricchi che rischiano di aizzare i poveri alla rivoluzione. La più celebre è la famosa frase di Marie Antoinette sul pane e la brioche. Barbara Bush rappresenta un ottimo esempio recente, con i suoi commenti sulla sistemazione degli alluvionati di New Orleans nell’Astrodomo di Houston. È chiaro il quadro? «Voi siete bravissimi per far volare il mio apparecchio, ma non vi permettete di usare la mia toilette», questo è il succo della storia. In un’altra celebre occasione, volendo parlare privatamente con una di due dipendenti del marito, che però avevano lo stesso nome, ne fece invitare una a casa sua e, scoprendo di essersi sbagliata di persona, si mise a squittire: «No, lei non è quella giusta. Voglio l’altra». Da quanto si è venuto a sapere, pare che il grande magnate fosse un cagnolino tra le mani di quella virago della sua consorte, cosa che - dal mio punto di vista - gioca paradossalmente a suo favore. Conrad Black avrebbe dovuto accontentarsi di scrivere i suoi libri di storia (quello su Roosevelt ha raccolto ottimi consensi) e convincersi di poter influenzare gli uomini di potere. Ma era assillato dalle richieste incessanti di nuovi e più sgargianti gingilli. E chi se ne frega degli azionisti, quando si tratta di accontentare i capricci di una bella donna? Al diavolo i valori borghesi! Ahimè, c’è modo e modo di fare certe cose, e Lord e Lady Black sono scivolati nella volgarità. Come Tom e Daisy nel romanzo Il grande Gatsby, anche loro sono «persone distratte», che valutano gli altri solo per la loro utilità. Ma è giunta l’ora della chiusura in un parco dei divertimenti che forse non è stato tanto divertente nemmeno durante l’orario di apertura. Post scriptum: scrivo questo pezzo dalla Baia di San Francisco, dove negli ultimi mesi un politico del posto, di nome Ed Jew, deve vedersela con la giustizia per aver falsificato un documento di residenza. I titoli dei giornali non mancano mai di indicare nome e cognome (il tipo è di origine asiatica), come quelli di sabato scorso, «Il Pm non concede sconti a Ed Jew». Ma i titoli su Conrad Black molto spesso si sono limitati a un asciutto «Black condannato». Si tratta forse di sottile discriminazione? O forse il signor Jew deve rallegrarsi di avere un nome così corto? (gioco di parole su Jew - ebreo - e Black - afroamericano. NdT).
«Corriere della sera» del 20 luglio 2007
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