Discorso semi-serio sull'Italia a partire dai corpi in spiaggia
di Davide Rondoni
La spiaggia, gran teatro dei corpi. Ovvero gran teatro di bellezze e caducità, grande show di quel che siamo e di quel che vorremmo essere. Di quel che ci attrae e di quel che ci sgomenta. Il nostro sguardo trascorre dalle infinite copertine che ci propongono, come luci nella nebbia, le linee e i sorrisi e lo charme di corpi gentili, ben curati, famosi e formosi, alla scena che ci si apre davanti e da ogni lato percorrendo la passerella di uno dei mille e mille stabilimenti balneari lungo le nostre spiagge, ecco che quello sguardo ancora ubriacato di bellezze patinate e in posa, si commuove e si sgomenta. Siamo questi. Lo spettacolo di imperfezioni è ubriacante. Il fatto di provare a nasconderle o camuffarle, magari con i trucchi e le mode copiate dall'ultima star di moda, con costosi o vistosi optional di corredo - che so, occhiali alla Tom Cruise su zigomi irrimediabilmente centroitalici - provvede ad incrementare lo spettacolo. Si vedono ragazzi che sfregiano la loro bellezza italiana e mediterranea con orpelli afro-hollywoodiani. E ragazze di splendente carattere nostrano che si mascherano dando vita a strane creature senza capo né coda. E come sempre accade, accanto a prove di gusto, appaiono imbarazzanti ircocervi. Ma il fatto è che questi siamo. Qualsiasi discorso sull'Italia che non tenga conto anche di questi corpi sarebbe astratto e vuoto. E ora che, per così dire ci vediamo in mutande, senza poterci più di tanto differenziare per auto o uffici o case o altri emblemi di potere o di benestare, senza insomma grandi differenze, tutti corpi in lotta con la propria imperfezione e assetati di bellezza, allora forse si può ragionare meglio su di noi. E il primo punto fermo di questa visione nuda di noi è: in questi corpi reali si agita un desiderio di vita e di bellezza. In tutti, e in ciascuno a modo proprio. A questo desiderio alcuni pretendono di rispondere solo con bellezze visibili, con ideali di bellezza solo fisica la cui esibizione esteriore è ossessiva. Come se il desiderio di bellezza di una donna normale potesse realizzarsi nell'assomigliare ad una star. Ma così quel desiderio è destinato a diventare una frustrazione, o un tentativo comico. E idem per gli uomini. Insomma, cos'è la bellezza umana? Questo gridano e sussurrano i nostri corpi esibiti in questi giorni. Cosa è la vera bellezza umana? Che non sia astratta e violenta, che non sia una frustrazione, che non sia superficiale e passeggera come una stagione troppo breve? Quale bellezza umana dobbiamo imparare a guardare per poterla riconoscere quando si presenta? Perché è certo che se si fissa qualcosa come modello di bellezza, si finirà per credere che la bellezza esiste solo quando ha quelle caratteristiche. E invece no. Ci dev'essere una umana bellezza che non c'entra con le misure dei fianchi, con la solidità del seno o con lo slancio del passo. Lo dice, lo grida il popolo reale delle spiagge. In questi giorni mentre il nostro sguardo si posa su alcune bellezze da mozzare il fiato e su innumerevoli normalità, su non pochi difetti dei corpi, il pensiero su che cosa sia veramente la bellezza umana si può fare largo. E farsi largo come un disagio, come un sospetto. E infine farsi largo come un'allegria. La bellezza, infatti, non può essere qualcosa che ricatta i troppi che non ce l'hanno. Come se la bellezza umana fosse una fortuna riservata a pochi. No, ci dev'essere qualcosa di possibilmente bello in tutti. E che, a differenza di certe bellezze esteriori, vinca il tempo. Ci dev'essere qualcosa di bello in noi, e che a volte dimentichiamo. Proprio vedendo i nostri corpi, fissando quel che siamo e non quel che certi media vorrebbero che fossimo, ci appare chiaro che ognuno deve poter avere qualcosa di veramente bello. Una cosa che dia la sua luce al corpo, ben più forte di quella passeggera dei riflettori o delle fortune della giovinezza. Una cosa reale come i fianchi e le labbra. La cui bellezza cresce se curata forse con meno tempo di quel che si dedica di solito a diete e a palestre. Una cosa reale e profonda come lo sguardo che colpisce. Una cosa chiamata anima. A ognuno la propria, unica e irripetibile, insieme al proprio caro corpo.
«Avvenire» del 22 luglio 2007
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