Un saggio di Nicholas Humphrey
di Edoardo Boncinelli
La vista di una palla rossa può suggerire tante sensazioni. «Con il lancio di una rossa palla / di nuovo Eros dalle auree chiome / mi invita ora a giocare / con quella là dai sandali sgargianti», canta per esempio Anacreonte. Quando vedo una palla rossa, in verità, accadono in me almeno tre cose. Per prima cosa ho la sensazione di vedere una palla rossa; in secondo luogo apprendo che nel mio campo visivo c’è una palla rossa; in terzo luogo, infine, so che sto percependo la presenza di una palla rossa. Per quanto concerne la conduzione della mia vita, delle tre cose in fondo basterebbe che si realizzasse anche soltanto la seconda, ma un’attenta riflessione mostra anche la presenza delle altre due, seppure indissolubilmente fuse con quella. Sono considerazioni queste che hanno a che fare con il fenomeno della coscienza, il più enigmatico ed elusivo tra quelli concepibili, quello che ha fatto versare fiumi di inchiostro e che tiene tutt’ora impegnate le menti migliori, tra i filosofi come tra gli psicologi e i neuroscienziati. Come abbiamo detto, per la mia vita sarebbe sufficiente che in questa circostanza io prendessi coscienza della presenza di una palla rossa. Per vivere e sopravvivere ciò è più che sufficiente. Accade però che accanto a questo tipo di coscienza, che ha un contenuto cognitivo dichiarabile, esiste una mia personale sensazione che accompagna tale presa di coscienza. Questa sensazione personale, piena di risonanze affettive e ricca di coloriture emotive è mia e solo mia. Non è probabilmente essenziale, ma accompagna invariabilmente e inesorabilmente ogni mia esperienza sensibile, o anche ogni mia rievocazione di ricordi. A questo lato sovranamente ineffabile della coscienza è stato dato il nome di coscienza fenomenica. Comprendere l’essenza e il ruolo della coscienza fenomenica sembra il problema più arduo della moderna riflessione filosofica intorno alle neuroscienze. Il problema della coscienza fenomenica è anche l’oggetto del bel libretto di Nicholas Humphrey intitolato sibillinamente Rosso (Codice Edizioni, pp. 106, 11). Le cento pagine del libro sono tutte centrate sull’effetto che ha su di noi la vista di uno schermo rosso, uno dei colori ai quali è più difficile restare indifferenti. Si tratta di una serie di semplici considerazioni accompagnate da qualche disegnino elementare. Ma l’aspetto dimesso e accattivante non deve trarre in inganno: si tratta di una riflessione molto approfondita su alcuni fenomeni quotidiani ma non per questo meno enigmatici, come chiarisce il sottotitolo Uno studio sulla coscienza. Lo scopo dichiarato del nostro autore è quello di comprendere e farci comprendere perché accanto alla coscienza di qualcosa esiste l’insieme di sensazioni che l’accompagnano. Perché insomma una coscienza fenomenica va sempre di pari passo con la presa di coscienza di un fatto. Qual è l’origine e la funzione di tutto questo? E perché l’evoluzione biologica - Humphrey è di scuola inglese e non dubita nemmeno un istante che dietro ogni fenomeno vitale ci sia lo zampino della selezione naturale - ha favorito lo sviluppo di questa forma di coscienza? Dopo una lunga serie di ragionamenti ed esempi, tutti in sé e per sé estremamente semplici, l’autore giunge ad una conclusione interessante e abbastanza inusitata, che chiama in causa il terzo dei fatti ai quali abbiamo accennato all’inizio. Provare un’intensa sensazione alla vista di una palla rossa, o di qualsiasi altra cosa, mi rimanda indirettamente ma irresistibilmente a me come soggetto cosciente. Ogni mia sensazione riafferma la mia esistenza e la centralità del mio io. Insomma mi fa sentire importante, certo più importante di qualcuno o qualcosa che non avesse sensazioni coscienti. E mi fa pensare di avere un Sé, magari immateriale. «Io propongo che nel corso dell’evoluzione umana i nostri antenati - i quali ritenevano le proprie coscienze metafisicamente notevoli (esistenti fuori dallo spazio e dal tempo normali) - si sarebbero presi più sul serio come Sé». Nel libro si può riscontrare qua e là qualche ambiguità terminologica e l’autore non ci dice a che punto della scala evolutiva pone gli eventi che prende in considerazione: parla di uomini direttamente o anche di scimmiotti o di cani? Ciononostante, leggerlo è piacevolissimo e certamente molto istruttivo. È un libro fatto per chi ama pensare. E che... non disdegna il rosso. A proposito di rosso, abbiamo iniziato con Anacreonte; finiamo con Saffo: «Come la mela dolce che rosseggia del ramo alto / sulla parte più alta; l’hanno lasciata li i coglitori,/ certo non la scartarono, ma non poterono raggiungerla».
«Corriere della sera» del 25 luglio 2007
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