Gli appunti raccolti dal leader del Pci in un incontro col dittatore al Cremlino nel ’49 sulla solita questione: "Si può forzare la situazione in Italia?". E la solita risposta: "Impossibile"
di Mirella Serri
Da voi le cose vanno abbastanza bene», commenta S. La risposta a questa positiva constatazione sulla situazione italiana alla fine del 1949 è una domanda: «Si può forzare?». Con questo interrogativo Palmiro Togliatti si rivolgeva a S., ovvero a Josif Stalin, e chiedeva se era giunto il momento fatidico, se si doveva imboccare la via dello spargimento di sangue e della lotta armata per la conquista del potere in Italia. A riportare in luce questo inquietante dialogo in cui il Migliore si sigla con il nome di battaglia di Ercoli, sono sette paginette vergate proprio dal leader comunista. Con la sua calligrafia ordinata da professore di liceo d'altri tempi, Togliatti registra con frasi telegrafiche l'incontro avvenuto in Urss il 26 dicembre con il dittatore sovietico. Scrive con l'imparzialità dello stenografo che sdegna la prima e parla in terza persona e verga gli appunti che, fino a oggi mai interamente pubblicati, usciranno nel prossimo numero della rivista Ventunesimo secolo a cura di Elena Aga Rossi e Victor Zaslavsky. I due studiosi li hanno ritrovati mentre lavoravano alla nuova edizione di Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca (Il Mulino).
Uscito nel 1997, il libro è oggi arricchito da nuovi materiali ma già alla sua prima edizione aveva suscitato moltissime polemiche. Aveva ricostruito infatti per la prima volta la presenza fondamentale della longa manus di Stalin sulla svolta di Salerno del 1944 e sulla decisione di Togliatti, appena rientrato dall'Urss, di combattere i tedeschi e i fascisti a fianco del re e di Badoglio. Ora arriva anche la rivelazione del peso determinante di Stalin sulle scelte del 1949 che avrebbero potuto rivelarsi tragiche. «Alcune frasi di questo documento erano già state citate dallo storico Silvio Pons nel 1992», osserva Zaslavsky che nella nuova versione del libro ha ricostruito in particolare la strategia mediterranea dell'Urss. «A lungo si è cercato il resoconto verbalizzato in russo negli archivi sovietici. Poi si è capito il rebus. A differenza di quanto capitava di solito, questa volta non c'era stato un verbale redatto da un interprete. I due dialogavano nella lingua di Stalin e il resoconto è scritto da Togliatti».
L'ultimo momento in cui si riteneva che la Penisola avesse sfiorato l'ora X e fosse stata assai prossima allo sconvolgimento della lotta armata, era stato l'attentato a Togliatti del luglio 1948. Dopo un'imponente mobilitazione di massa aveva prevalso però la via della moderazione. L'altro fatidico incrocio con la possibilità di una violenta presa del potere era stata la sconfitta elettorale dell'aprile dello stesso anno. Nell'imminenza delle elezioni, il 23 marzo, durante un incontro segretissimo in un bosco vicino a Roma, Togliatti aveva chiesto lumi a Mosca tramite l'ambasciatore Kostylev. La reazione era stata immediata: «No ad azioni rivoluzionarie». Ma, al contrario di quel che si è sempre creduto, l'opzione-rivoluzione non era stata messa in cantina nel 1948. Togliatti coglie l'occasione di uno scambio riservato di opinioni con Stalin, durante i grandi festeggiamenti per il 70esimo compleanno del dittatore, forse nella dacia di Kuncevo forse al Cremlino.
Gli appunti presi dal Migliore sono contrassegnati da un paio di titoli: il primo è «questioni italiane» e l'altro «sulle condizioni economiche del Paese e dominio americano». Sotto le «questioni italiane» arriva la domanda se si può forzare. Stalin spiega che si potrà pensare a forzare la situazione solo in una prospettiva a lungo termine. I comunisti prima farebbero meglio a conquistarsi un posto al sole in un «governo di unità nazionale». «Anche Togliatti nonostante non rifiutasse la prospettiva rivoluzionaria non appariva molto convinto», osserva Zaslavsky. «Temeva che una guerra civile avrebbe inevitabilmente aperto le porte a una terza guerra mondiale. Ma proponeva agli “amici di Mosca” il quesito anche per essere coperto di fronte all'ala “massimalista” incarnata da Pietro Secchia che da tempo non dubitava della necessità dell'insurrezione immediata».
Il dittatore comunque dà lezioni a Togliatti. Mostra per esempio anche di temere più la Chiesa cattolica della Democrazia cristiana e ordina: «non attaccare religione. Potete anche credere al dio-gatto come gli egiziani», ammonisce. In ogni caso si dimostra prudente. «Era un grande statista e Togliatti ne interpretava le direttive da par suo. Ma a determinare l'opzione di Stalin è il quadro internazionale e dati fino a oggi mai recuperati. Per anni, per esempio, si è ritenuto che Stalin non avesse avuto nessun ruolo nella sollevazione comunista in Grecia», osserva lo storico, «pur evitando l'intervento militare diretto, invece, appoggiò la ripresa della lotta armata a partire dalla primavera del 1947. Era la prova generale per un'analoga iniziativa anche in Italia. Il fallimento dovuto alla determinazione americana fece scartare i piani che riguardavano la Penisola. Tito si stava nel frattempo mostrando sempre più indipendente. Fin dal 1948 Stalin non voleva “forzare” la situazione italiana poiché era iniziata anche la rottura con la Jugoslavia».
Se Stalin avesse dato il suo consenso? «Togliatti avrebbe obbedito. Nella cultura politica stalinista una critica aperta della suprema leadership era impensabile. Il moderatismo di Togliatti non sarebbe comunque bastato a evitare una nuova guerra civile. Se Stalin avesse deciso altrimenti avrebbe trovato entusiasti sostenitori della scelta rivoluzionaria sia in Secchia che in Pietro Nenni».
Uscito nel 1997, il libro è oggi arricchito da nuovi materiali ma già alla sua prima edizione aveva suscitato moltissime polemiche. Aveva ricostruito infatti per la prima volta la presenza fondamentale della longa manus di Stalin sulla svolta di Salerno del 1944 e sulla decisione di Togliatti, appena rientrato dall'Urss, di combattere i tedeschi e i fascisti a fianco del re e di Badoglio. Ora arriva anche la rivelazione del peso determinante di Stalin sulle scelte del 1949 che avrebbero potuto rivelarsi tragiche. «Alcune frasi di questo documento erano già state citate dallo storico Silvio Pons nel 1992», osserva Zaslavsky che nella nuova versione del libro ha ricostruito in particolare la strategia mediterranea dell'Urss. «A lungo si è cercato il resoconto verbalizzato in russo negli archivi sovietici. Poi si è capito il rebus. A differenza di quanto capitava di solito, questa volta non c'era stato un verbale redatto da un interprete. I due dialogavano nella lingua di Stalin e il resoconto è scritto da Togliatti».
L'ultimo momento in cui si riteneva che la Penisola avesse sfiorato l'ora X e fosse stata assai prossima allo sconvolgimento della lotta armata, era stato l'attentato a Togliatti del luglio 1948. Dopo un'imponente mobilitazione di massa aveva prevalso però la via della moderazione. L'altro fatidico incrocio con la possibilità di una violenta presa del potere era stata la sconfitta elettorale dell'aprile dello stesso anno. Nell'imminenza delle elezioni, il 23 marzo, durante un incontro segretissimo in un bosco vicino a Roma, Togliatti aveva chiesto lumi a Mosca tramite l'ambasciatore Kostylev. La reazione era stata immediata: «No ad azioni rivoluzionarie». Ma, al contrario di quel che si è sempre creduto, l'opzione-rivoluzione non era stata messa in cantina nel 1948. Togliatti coglie l'occasione di uno scambio riservato di opinioni con Stalin, durante i grandi festeggiamenti per il 70esimo compleanno del dittatore, forse nella dacia di Kuncevo forse al Cremlino.
Gli appunti presi dal Migliore sono contrassegnati da un paio di titoli: il primo è «questioni italiane» e l'altro «sulle condizioni economiche del Paese e dominio americano». Sotto le «questioni italiane» arriva la domanda se si può forzare. Stalin spiega che si potrà pensare a forzare la situazione solo in una prospettiva a lungo termine. I comunisti prima farebbero meglio a conquistarsi un posto al sole in un «governo di unità nazionale». «Anche Togliatti nonostante non rifiutasse la prospettiva rivoluzionaria non appariva molto convinto», osserva Zaslavsky. «Temeva che una guerra civile avrebbe inevitabilmente aperto le porte a una terza guerra mondiale. Ma proponeva agli “amici di Mosca” il quesito anche per essere coperto di fronte all'ala “massimalista” incarnata da Pietro Secchia che da tempo non dubitava della necessità dell'insurrezione immediata».
Il dittatore comunque dà lezioni a Togliatti. Mostra per esempio anche di temere più la Chiesa cattolica della Democrazia cristiana e ordina: «non attaccare religione. Potete anche credere al dio-gatto come gli egiziani», ammonisce. In ogni caso si dimostra prudente. «Era un grande statista e Togliatti ne interpretava le direttive da par suo. Ma a determinare l'opzione di Stalin è il quadro internazionale e dati fino a oggi mai recuperati. Per anni, per esempio, si è ritenuto che Stalin non avesse avuto nessun ruolo nella sollevazione comunista in Grecia», osserva lo storico, «pur evitando l'intervento militare diretto, invece, appoggiò la ripresa della lotta armata a partire dalla primavera del 1947. Era la prova generale per un'analoga iniziativa anche in Italia. Il fallimento dovuto alla determinazione americana fece scartare i piani che riguardavano la Penisola. Tito si stava nel frattempo mostrando sempre più indipendente. Fin dal 1948 Stalin non voleva “forzare” la situazione italiana poiché era iniziata anche la rottura con la Jugoslavia».
Se Stalin avesse dato il suo consenso? «Togliatti avrebbe obbedito. Nella cultura politica stalinista una critica aperta della suprema leadership era impensabile. Il moderatismo di Togliatti non sarebbe comunque bastato a evitare una nuova guerra civile. Se Stalin avesse deciso altrimenti avrebbe trovato entusiasti sostenitori della scelta rivoluzionaria sia in Secchia che in Pietro Nenni».
«La Stampa» del 10 luglio 2007
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