di Maria Romana De Gasperi
Le scuole hanno mandato i nostri ragazzi in vacanza. Ci sono solo gli universitari che presentano le tesi e faticano sotto questo sole feroce che non dà ancora tregua. I problemi si ripresenteranno a settembre. Mi vengono in mente le parole che mio padre disse al primo convegno sulla scuola nel 1949: lo Stato, secondo il suo pensiero, deve chiedere alla scuola di curare soprattutto quella morale civica che è il sale della democrazia e la sua condizione di vita. Come pare difficile oggi pretendere dalle generazioni giovani una coscienza morale che sembra avere poco spazio nei programmi della nostra classe politica. Gli esempi di un modo di vivere di quel mondo che appare sempre più chiuso in se stesso, nei propri privilegi, distaccato dalla vita della strada, emergono sempre più spesso e lasciano amarezza, delusione, rabbia e senso della propria impotenza. Non solo, ma aprono ai meno onesti la possibilità di comportarsi secondo le proprie comodità senza provare vergogna né ritegno quando approfittano dei beni che dovrebbero essere di tutti. Si sente già qualche voce, per ora abbastanza rara, che spera ci possa essere nel nostro futuro qualcuno che metterà il famoso ordine. E questo pensiero può essere un tarlo che lentamente corrode la nostra democrazia perché è a esso che ci si appella quando non ci sia più vero contatto e vera fiducia tra il popolo che vota e la casta che governa. Non è su questa strada che dobbiamo portare i giovani. «Non bisogna scoraggiarsi, diceva loro De Gasperi. Lo scoraggiamento è il pericolo principale delle democrazie: non occorrono mezzi artificiosi, promesse mirabolanti per infondere coraggio. Questi sono mezzi degli assolutismi. Basta la coscienza profonda e la certezza di voler attuare il proprio proposito». «Non esiste il problema dei giovani, ma una serie di problemi che interessano la gioventù». Spostava su di loro il compito di studiare e proporre soluzioni nuove. Non c’è stato discorso nel quale non abbia raccomandato con forza lo studio serio e profondo della storia, della sociologia cristiana ed anche delle dottrine degli avversari non sopportando quello che egli chiamava «il pressappochismo». Sapeva che solo attraverso una personale fatica si acquista una convinzione reale e profonda della strada che ognuno ha davanti a sé e deve scegliere. Cercò di trascinare i più esposti alle arti della retorica e ai richiami della fantasia ad affrontare la durezza della realtà in ogni tempo della storia. Molti giovani oggi ci chiedono dove andare, chi seguire. Non abbiamo buone risposte. Di fronte ad un prossimo futuro che si presenta privo di entusiasmo e opaco, la gioventù deve trovare in se stessa la forza di propulsione per camminare diritta. Ognuno di noi è un mondo intero nel quale possiamo trovare la ragione e la forza per progredire soli o assieme ad altri se sarà possibile. L’importante è non scoraggiarsi mai.
Avvenire del 21 luglio 2007
Nessun commento:
Posta un commento