Il buono scuola migliora l'istruzione (perfino quella pubblica), lo confermano gli studi più recenti e i numeri della Svezia
di Roberto Persico
Il voucher scolastico funziona, parola di Economist. La questione, nelle sue linee generali, è nota: il voucher nasce dall'idea, formulata per la prima volta dall'economista Milton Friedman nel 1955, secondo cui lo Stato dota ogni cittadino di un assegno virtuale (il voucher, appunto) da spendere per l'istruzione dei figli nella scuola di sua scelta, chiunque ne sia il gestore. «Lo Stato paga, i genitori scelgono, le scuole competono, gli standard salgono, tutti guadagnano» sintetizzava Friedman. Ugualmente note le obiezioni degli oppositori, riconducibili sostanzialmente a tre: la gente non è in grado di valutare quale sia la scuola migliore; per accaparrarsi i "clienti" le scuole abbasserebbero gli standard di insegnamento; il sistema della scelta non farebbe che approfondire le divisioni sociali esistenti. Ma i dati che ormai si accumulano smentiscono ogni critica. Perlomeno secondo l'Economist.
Miglioramento nel rendimento scolastico
Ultima in ordine di tempo un ricerca condotta da Harry Patrinos, esperto di economia dell'educazione della Banca Mondiale, su un programma realizzato a partire dagli anni Novanta in Colombia: per favorire l'accesso alle scuole superiori, un certo numero di voucher è stato distribuito per sorteggio fra migliaia di richiedenti di ogni ceto sociale. Si è generato così un gruppo di beneficiari assolutamente casuale, privo di condizionamenti d'origine. Ebbene, i risultati dell'indagine mostrano che gli alunni che hanno usufruito del voucher hanno, indipendentemente dal livello sociale d'origine, il 15-20 per cento di probabilità in più di terminare la scuola superiore, il 5 per cento in meno di ripetere un anno, risultati finali leggermente superiori e un più alto tasso di accesso all'università. I dati colombiani in realtà confermano quel che già da tempo si rileva negli Stati Uniti, dove i risultati scolastici dei destinatari di voucher sono migliori anche nei casi in cui il contributo è inferiore a quel che lo Stato spende pro capite per le proprie scuole. Cioè si ottiene di più con una spesa minore.
In Svezia, risparmio economico e miglioramento del sistema
Anzi, un dato inatteso e rivoluzionario offerto dagli studi recenti testimonia che il voucher sembra essere l'unico elemento di reale promozione sociale offerto dal sistema di istruzione. In tutti gli studi infatti - gli americani, si sa, fanno statistiche su tutto - la correlazione tra risultati scolastici e ambiente di provenienza è fortissima, e pare che non ci sia insegnamento che riesca a modificarla. L'unica categoria in cui la corrispondenza salta è quella dei beneficiari di voucher. E la laicissima e socialdemocratica Svezia, che ha introdotto il principio nel 1992, ha visto aumentare le scuole private dall'1 al 10 per cento del sistema, ottenendo insieme un risparmio economico e un miglioramento dei risultati. E naturalmente le scuole private, divenute ormai gratuite, sono frequentate da alunni di ogni ceto sociale, in cerca solo di una preparazione migliore. I dati svedesi poi confermano quelli di Caroline Hoxby, economista di Harvard: dove è in vigore il sistema dei voucher, anche le scuole statali migliorano i propri risultati. Sembra, conclude l'Economist, «che quelli che lavorano nelle scuole statali siano come tutti: fanno meglio quando devono fare i conti con un po' di concorrenza».
In Italia lo statalismo scolastico non funziona
Solo in Italia queste semplici evidenze non fanno breccia. Al contrario. I numeri recentemente resi noti dalla Fidae, l'associazione delle scuole cattoliche, sono un bollettino di guerra: tra il 1997 e il 2005 il numero degli istituti è sceso del 10,3 per cento, quello delle scuole gestite del 12, le classi del 4,6. Il tentativo di bonus fiscale timidamente avanzato dal governo Berlusconi è naufragato nelle pieghe delle successive Finanziarie, e nell'infinita lista dei presunti beneficiari del "tesoretto" l'unica voce assente è quella della liberalizzazione dell'istruzione.
I buoni scuola regionali sono gli unici a reggere, ma restano esposti ai venti di ogni cambio di maggioranza. Eppure, a parole, la consapevolezza che l'uscita dalle secche dello statalismo sia l'unica salvezza della scuola si fa largo anche in settori insospettabili: perfino il Manifesto, il 22 maggio scorso, inneggiava al sistema inglese, dove «i presidi pubblicano un bando, gli insegnanti si presentano, fanno dei colloqui e alla fine il preside sceglie i migliori. La scuola con insegnanti preparati e studenti con buoni profitti ha un punteggio alto e le famiglie possono scegliere per i loro figli quelle che ritengono più adeguate. I professori che non lavorano vengono licenziati».
La qualità dell’istruzione
«L'Economist conferma la bontà della nostra intuizione», commenta Valentina Aprea, deputata di Forza Italia e prima firmataria di una proposta di legge che prevede l'introduzione del finanziamento per quota capitaria, l'esatto equivalente del voucher. «La modifica del sistema di finanziamento sulla base della scelta delle famiglie coniuga maggior libertà e maggior efficacia per tutti. Sono invece felicemente sorpresa dall'uscita del Manifesto: forse è davvero possibile inserire nell'agenda politica una svolta nel sistema di governance anche nel nostro paese».
Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale presidi, fa eco alla Aprea: «È un riconoscimento del valore che la dirigenza ha nel conseguire l'efficacia e l'efficienza di un sistema, un primo passo verso una riflessione non viziata da pregiudizi ideologici per l'introduzione in Italia di quegli elementi (valutazione individuale e di sistema, distinzione dei ruoli professionali, introduzione di elementi di carriera all'interno dei ruoli) che altrove si sono dimostrati fondamentali per aumentare la qualità dell'istruzione».
Reale libertà di educazione per tutti
Trionfante il commento di Vincenzo Silvano, presidente della Federazione Opere Educative: «È la tesi che appoggiamo da sempre. Anche se i buoni scuola sono solo un palliativo, importante ma non risolutivo, del vuoto creato dalla mancata applicazione della legge sulla parità. L'ideale sarebbe un sistema che garantisca reale libertà di educazione per tutte le famiglie e per tutte le scuole, un sistema in cui ogni ipotesi educativa, in armonia con la Costituzione, possa trovare cittadinanza. Non per nulla tra i soci della nostra associazione c'è anche una scuola ebraica».
Miglioramento nel rendimento scolastico
Ultima in ordine di tempo un ricerca condotta da Harry Patrinos, esperto di economia dell'educazione della Banca Mondiale, su un programma realizzato a partire dagli anni Novanta in Colombia: per favorire l'accesso alle scuole superiori, un certo numero di voucher è stato distribuito per sorteggio fra migliaia di richiedenti di ogni ceto sociale. Si è generato così un gruppo di beneficiari assolutamente casuale, privo di condizionamenti d'origine. Ebbene, i risultati dell'indagine mostrano che gli alunni che hanno usufruito del voucher hanno, indipendentemente dal livello sociale d'origine, il 15-20 per cento di probabilità in più di terminare la scuola superiore, il 5 per cento in meno di ripetere un anno, risultati finali leggermente superiori e un più alto tasso di accesso all'università. I dati colombiani in realtà confermano quel che già da tempo si rileva negli Stati Uniti, dove i risultati scolastici dei destinatari di voucher sono migliori anche nei casi in cui il contributo è inferiore a quel che lo Stato spende pro capite per le proprie scuole. Cioè si ottiene di più con una spesa minore.
In Svezia, risparmio economico e miglioramento del sistema
Anzi, un dato inatteso e rivoluzionario offerto dagli studi recenti testimonia che il voucher sembra essere l'unico elemento di reale promozione sociale offerto dal sistema di istruzione. In tutti gli studi infatti - gli americani, si sa, fanno statistiche su tutto - la correlazione tra risultati scolastici e ambiente di provenienza è fortissima, e pare che non ci sia insegnamento che riesca a modificarla. L'unica categoria in cui la corrispondenza salta è quella dei beneficiari di voucher. E la laicissima e socialdemocratica Svezia, che ha introdotto il principio nel 1992, ha visto aumentare le scuole private dall'1 al 10 per cento del sistema, ottenendo insieme un risparmio economico e un miglioramento dei risultati. E naturalmente le scuole private, divenute ormai gratuite, sono frequentate da alunni di ogni ceto sociale, in cerca solo di una preparazione migliore. I dati svedesi poi confermano quelli di Caroline Hoxby, economista di Harvard: dove è in vigore il sistema dei voucher, anche le scuole statali migliorano i propri risultati. Sembra, conclude l'Economist, «che quelli che lavorano nelle scuole statali siano come tutti: fanno meglio quando devono fare i conti con un po' di concorrenza».
In Italia lo statalismo scolastico non funziona
Solo in Italia queste semplici evidenze non fanno breccia. Al contrario. I numeri recentemente resi noti dalla Fidae, l'associazione delle scuole cattoliche, sono un bollettino di guerra: tra il 1997 e il 2005 il numero degli istituti è sceso del 10,3 per cento, quello delle scuole gestite del 12, le classi del 4,6. Il tentativo di bonus fiscale timidamente avanzato dal governo Berlusconi è naufragato nelle pieghe delle successive Finanziarie, e nell'infinita lista dei presunti beneficiari del "tesoretto" l'unica voce assente è quella della liberalizzazione dell'istruzione.
I buoni scuola regionali sono gli unici a reggere, ma restano esposti ai venti di ogni cambio di maggioranza. Eppure, a parole, la consapevolezza che l'uscita dalle secche dello statalismo sia l'unica salvezza della scuola si fa largo anche in settori insospettabili: perfino il Manifesto, il 22 maggio scorso, inneggiava al sistema inglese, dove «i presidi pubblicano un bando, gli insegnanti si presentano, fanno dei colloqui e alla fine il preside sceglie i migliori. La scuola con insegnanti preparati e studenti con buoni profitti ha un punteggio alto e le famiglie possono scegliere per i loro figli quelle che ritengono più adeguate. I professori che non lavorano vengono licenziati».
La qualità dell’istruzione
«L'Economist conferma la bontà della nostra intuizione», commenta Valentina Aprea, deputata di Forza Italia e prima firmataria di una proposta di legge che prevede l'introduzione del finanziamento per quota capitaria, l'esatto equivalente del voucher. «La modifica del sistema di finanziamento sulla base della scelta delle famiglie coniuga maggior libertà e maggior efficacia per tutti. Sono invece felicemente sorpresa dall'uscita del Manifesto: forse è davvero possibile inserire nell'agenda politica una svolta nel sistema di governance anche nel nostro paese».
Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale presidi, fa eco alla Aprea: «È un riconoscimento del valore che la dirigenza ha nel conseguire l'efficacia e l'efficienza di un sistema, un primo passo verso una riflessione non viziata da pregiudizi ideologici per l'introduzione in Italia di quegli elementi (valutazione individuale e di sistema, distinzione dei ruoli professionali, introduzione di elementi di carriera all'interno dei ruoli) che altrove si sono dimostrati fondamentali per aumentare la qualità dell'istruzione».
Reale libertà di educazione per tutti
Trionfante il commento di Vincenzo Silvano, presidente della Federazione Opere Educative: «È la tesi che appoggiamo da sempre. Anche se i buoni scuola sono solo un palliativo, importante ma non risolutivo, del vuoto creato dalla mancata applicazione della legge sulla parità. L'ideale sarebbe un sistema che garantisca reale libertà di educazione per tutte le famiglie e per tutte le scuole, un sistema in cui ogni ipotesi educativa, in armonia con la Costituzione, possa trovare cittadinanza. Non per nulla tra i soci della nostra associazione c'è anche una scuola ebraica».
«Tempi» del 31 maggio 2007
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