17 luglio 2007

Horn, il romanzo di un menestrello

Un poema in antico inglese, storiograficamente acuto e ora tradotto in italiano, riporta alle atmosfere dei regni medievali, tra principesse, avventure e traditori
di Bianca Garavelli
Il "menestrello" dei primi secoli dopo il Mille era un personaggio di cultura e insieme di spettacolo, una specie di intrattenitore ben preparato su leggende e saghe, di gran successo nelle corti anche perché non doveva temere la concorrenza di televisione e Internet, né perdere nulla della propria dignità autoriale. A esplorare questo mondo affascinante, non minato dal consumismo ma non privo di regole e scaltrezze, ci invita questo libro agile e piacevole, che ha attraversato i secoli per arrivare a raccontarci ancora le vicende, prima tramandate oralmente, del giovane Horn figlio del re Murri e a sua volta destinato a diventare re. Il poema King Horn, scritto nella seconda metà del tredicesimo secolo, «probabilmente il romance più antico in medio inglese a noi pervenuto», ci è stato tramandato anonimo, ma nasconde segreti e sorprese di un bravo menestrello, minstrel in medio inglese, che lo fanno uscire dalla sbrigativa catalogazione di testo "popolare" e minore che finora lo aveva segnato. Laura Rizzà, docente di Lingua inglese presso la facoltà di Conservazione dei beni culturali dell'Ateneo di Bologna, lo ha tradotto per la prima volta in italiano, e lo ha fatto oggetto di un'approfondita analisi testuale. Mettendolo a confronto con un testo quasi coevo scritto in anglo-normanno, lingua diffusa in Inghilterra dopo la conquista, Rizzà scopre come alcuni brevi passaggi della storia siano sapientemente sottolineati, in modo da suggerire che il "buon re" Murri padre di Horn, che «regnò all'ovest / per tutto il tempo della vita», non sia poi così "buono" in quanto re, e che le disgrazie del padre che portano alla perdita del regno suo e del figlio, siano causati da un'eccessiva ingenuità e debolezza. In parte, e almeno all'inizio, questa imprudente trascuratezza dei propri doveri e mancanza di nerbo nelle decisioni passa dal padre al figlio, ma in seguito, grazie a prove superate e avventure vittoriose, Horn corregge i suoi difetti e diventa un prode combattente, un "cavaliere" degno di essere re. In questa vicenda piena di fughe e ritorni, di agguati e battaglie, di tradimenti e prove d'amore, assume un ruolo importante un personaggio femminile, Rymenhild, figlia del re di Westernesse, insolitamente attiva nel dichiarare il proprio amore a Horn, del resto descritto come giovane di bellezza angelica e irresistibile. È lei a offrirsi di sposarlo, in questo simile a una celebre donna del mito medievale, Melusina, lei a innescarne il miglioramento e il successo. Infatti Horn, che ai suoi occhi non è un principe ma un esule senza terra, dichiara di volerla sposare solo dopo aver dimostrato il suo valore come cavaliere, e così fa. Solo dopo essersi coperto di gloria contro i Saraceni che gli avevano ucciso il padre, vendicandolo, e aver sconfitto il traditore Fikenhild che gli ha portato via l'amata, Horn conquista gloria, amore e regno. Ma anche grazie all'anello che Rymenhild gli ha donato, che se non è dichiaratamente magico ha tuttavia il potere di far giungere il pensiero di lei e, subito dopo, la vittoria. Una vicenda così articolata, intervallata da sogni e premonizioni, segnala la sua sintonia con una società in grado di apprezzare un intrattenimento colto, ma non al punto da riuscire a seguirlo nella lingua francese in cui i primi romanzi erano scritti. Lo sconosciuto autore si rivela così una personalità letteraria di tutto rispetto, degno interlocutore di una nuova società inglese in cerca di autonomia dall'influenza francese, sempre più raffinata e in continua evoluzione.

King Horn, A cura di Laura Rizzà, Carocci, pp. 128; € 13,50
«Avvenire» del 7 luglio 2007

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