Dopo numerose conquiste, alle volte condivisibili, per quanto riguarda la tutela dei viventi, il movimento animalista punta diritto anche in Italia al proprio obiettivo autentico: il superamento giuridico e pratico della prospettiva antropocentrica
di Andrea Galli
Hiasl è uno scimpanzé di 26 anni e vive a Vienna. Catturato nel 1983 in una foresta della Sierra Leone e destinato a un laboratorio per ricerche mediche, per un problema di documenti fu fermato alla dogana e consegnato a una casa protetta per animali. Dove è rimasto in pace fino a pochi mesi fa, quando un’animalista anglo-austriaca, temendo che Hiasl potesse finire nuovamente in uno zoo o fra le mani di uno scienziato, a causa della difficoltà dei suoi custodi nel coprire le spese per cibo e veterinario, ne ha chiesto l’affidamento legale. Poiché però l’affidamento può riguardare solamente persone vere e proprie, il tribunale della città di Mödling ha dovuto decidere se riconoscere o meno all’anzianotto primate la condizione umana.
Il caso è stato seguito con curiosità dai media fino in Giappone e in Nuova Zelanda, mentre schiere di animalisti intravedevano la possibilità di una sentenza dirompente: la prima in cui fosse riconosciuta l’insussistenza di una linea di divisione fra uomo e animale. Speranza frustrata il 24 aprile dal giudice Barbara Bart, che pur non pronunciandosi nettamente sulla paraumanità di Hiasl, ha negato l’affidamento.
L’episodio è l’ultimo di una lunga serie che ha portato alla luce un fenomeno di grande portata. Non tanto, o semplicemente, il peso del variegato movimento animalista, che dal 1975 – anno di pubblicazione di Animal Liberation del filosofo Peter Singer – a oggi ha raggiunto proporzioni imponenti, con colossi transnazionali come People for the Ethical Treatment of Animals (Peta) che dichiara 600mila aderenti in più di 20 Paesi, con università come Harvard che hanno inaugurato seminari e creato posti da ricercatore sul tema, con una produzione libraria fluviale e l’appoggio indiretto di grandi network televisivi, nei cui programmi e tg le minacce ai beluga del Mar di Bering, la caccia alle foche canadesi o gli abusi sulle oche rimpinguate forzatamente per la produzione di fois gras hanno acquisito la visibilità di drammi umani tari.
Il fenomeno riguarda, più specificamente, come i fautori della liberazione animale si siano avvicinati in diversi Paesi, passo dopo passo, grazie a progressivi scivolamenti giuridici e semantici, al loro traguardo principale: che va ben al di là della semplice "tutela" dei viventi, in alcuni casi condivisibile, ma riguarda il superamento della differenza ontologica tra uomo e animale, con relativo riconoscimento al secondo di veri e propri diritti.
Già nel 2002 il Bundestag votò per aggiungere le parole «e degli animali» all’articolo 20 della Costituzione tedesca, che obbliga lo Stato a rispettare e proteggere la dignità degli esseri umani. Lo scorso anno il Parlamento della comunità autonoma delle Isole Baleari ha votato una risoluzione di appoggio al Great Ape Project, il manifesto e la relativa associazione internazionale che si propongono di ottenere dalle Nazioni Unite una dichiarazione dei diritti di orango, scimpanzé e bonobo. Il governo spagnolo di José Luis Rodríguez Zapatero, dopo aver annunciato la stessa intenzione, ha deciso di soprassedere aspettando tempi più propizi. In Olanda, alle elezioni politiche dello scorso novembre, il Partij voor de Dieren (PvdD), partito animalista fondato nel 2002, ha conquistato per la prima volta due seggi in Parlamento. E da lì si batte per il riconoscimento dei diritti animali, una battaglia considerata dalla sua giovane leader, Marianne Thieme, la diretta prosecuzione «di quella contro la schiavitù e per la libertà delle donne». Tra gli intellettuali che hanno supportato la campagna elettorale del PvdD spiccano due dei maggiori scrittori olandesi contemporanei, Jan Wolkers e Harry Mulisch.
In Italia non mancano segnali in questo senso. È di recente formazione il Partito Animalista Italiano, guidato da Cristiano Ceriello, che annunciava per la primavera scorsa la costituzione della Prima Internazionale Animalista assieme, oltre al PvdD, allo spagnolo Partido Antitaurino Contra el Maltrato Animal, all’ingl ese Animal Count e al suo omologo tedesco, il Tierschutzpartei.
Si pensi a una scrofa alla catena, a una gallina incarcerata in batteria, a un vitellino in box senza conforto (né latte) materno, a un cane randagio assetato […] si dovrebbe ritenere che i sogni e le lotte della sinistra e del comunismo contro lo sfruttamento, per l’eguaglianza, la solidarietà e la risposta ai bisogni fondamentali, debbano estendersi a tutti i viventi». Così scriveva Marinella Correggia sul quotidiano Liberazione nel febbraio 2001, in un articolo dal titolo «Compagni animali». La preoccupazione è stata ripresa il 30 maggio scorso da Pietro Folena, deputato di Rifondazione Comunista e presidente della commissione cultura della Camera, che ha organizzato un incontro a cui hanno partecipato Tom Regan, nume di riferimento insieme a Singer del movimento per la liberazione animale, il giurista Stefano Rodotà, il sottosegretario all’Economia e dirigente dei Verdi Paolo Cento e il deputato dei Comunisti Italiani e storico Nicola Tranfaglia. Tema della tavola rotonda, la necessità di un nuovo patto sociale in cui la difesa dei diritti umani si accompagni a quella dei diritti animali. E senza troppi sconti, sembrerebbe: dopo due ore di dibattito, Enrico Moriconi, consigliere dei Verdi per la regione Piemonte, sottolineava il lungo cammino che resta ancora da percorrere, perché se per molti può essere «facile interessarsi ai diritti degli animali di affezione», in Usa c’è chi si è già mosso contro le violenze «sulle aragoste gettate vive su una piastra elettrica o immerse nell’acqua bollente», costringendo ristoranti e catene commerciali a una significativa retromarcia.
Del resto l’anelito della sinistra radicale non si staglia nel vuoto. Sono stati poco notati alcuni passaggi del programma di governo stilato dall’Unione, dal titolo Per il bene dell’Italia. «Alla luce della nuova e crescente sensibilità nei confronti degli animali – si legge a pagina 151 del documento – ci impegniamo affinch é il nostro rapporto con essi sia il più informato, solidale e rispettoso nello spirito della Dichiarazione universale dei diritti dell’animale dell’Unesco». Una dichiarazione, quest’ultima, che risale al 1978 e in cui si stabilisce che «i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo» e, fra le altre cose, «che l’educazione deve insegnare sin dall’infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali» (forse non è un caso che l’attuale sottosegretario alle Politiche per la Famiglia sia Chiara Acciarini, responsabile nazionale del Gruppo Vita Animale dei Democratici di Sinistra e già curatrice del volume Animali: i loro diritti, i nostri doveri).
Inoltre, pur non spendendo una parola sul sacrificio di embrioni umani a scopi scientifici, il programma dell’Unione sottolinea che occorre «promuovere e favorire la ricerca effettuata con metodi alternativi all’utilizzo di animali e progressivamente abolire la ricerca e la sperimentazione che ne facciano uso» (pagina 153).
Ma non è solo la sinistra a mostrare interesse e impegno per l’argomento. La Lega Antivivisezione (Lav), che si batte «contro ogni sfruttamento degli animali con un grande obiettivo di libertà: i diritti degli animali», dopo le ultime elezioni politiche dichiarava di essere a conoscenza di un buon numero di parlamentari concretamente disponibili a lavorare sui temi animalisti, 35 di centrosinistra e 13 di centrodestra. La stessa Michela Vittoria Brambilla, presidente dei Circoli della Libertà e astro nascente della CdL, è presidente della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e presidente per la provincia di Lecco della Lega Nazionale per la Difesa del Cane.
Infine, anche la magistratura ha voluto dare il suo contributo alla causa. Con una sentenza del 5 giugno scorso la Corte di Cassazione ha stabilito, letteralmente, che «l’animale condotto al seguito o trasportato in autovettura richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa ve rso un minore», respingendo il ricorso di un 27enne che aveva trascinato il suo cane con la macchina perché, ubriaco, non si era accorto che nel ripartire la bestiola era rimasta impigliata nella portiera. Una solerzia quasi superiore a quella della pubblica amministrazione, dove, dal 1994 a oggi, a partire dal Comune di Roma, poi in quello di Genova, Firenze, Milano e via di seguito, sono stati aperti una miriade di «uffici per i diritti degli animali».
Forse, insomma, se Hiasl fosse stato dirottato in Italia a quest’ora avrebbe già una mamma. E un vitalizio da parte dello Stato.
Il caso è stato seguito con curiosità dai media fino in Giappone e in Nuova Zelanda, mentre schiere di animalisti intravedevano la possibilità di una sentenza dirompente: la prima in cui fosse riconosciuta l’insussistenza di una linea di divisione fra uomo e animale. Speranza frustrata il 24 aprile dal giudice Barbara Bart, che pur non pronunciandosi nettamente sulla paraumanità di Hiasl, ha negato l’affidamento.
L’episodio è l’ultimo di una lunga serie che ha portato alla luce un fenomeno di grande portata. Non tanto, o semplicemente, il peso del variegato movimento animalista, che dal 1975 – anno di pubblicazione di Animal Liberation del filosofo Peter Singer – a oggi ha raggiunto proporzioni imponenti, con colossi transnazionali come People for the Ethical Treatment of Animals (Peta) che dichiara 600mila aderenti in più di 20 Paesi, con università come Harvard che hanno inaugurato seminari e creato posti da ricercatore sul tema, con una produzione libraria fluviale e l’appoggio indiretto di grandi network televisivi, nei cui programmi e tg le minacce ai beluga del Mar di Bering, la caccia alle foche canadesi o gli abusi sulle oche rimpinguate forzatamente per la produzione di fois gras hanno acquisito la visibilità di drammi umani tari.
Il fenomeno riguarda, più specificamente, come i fautori della liberazione animale si siano avvicinati in diversi Paesi, passo dopo passo, grazie a progressivi scivolamenti giuridici e semantici, al loro traguardo principale: che va ben al di là della semplice "tutela" dei viventi, in alcuni casi condivisibile, ma riguarda il superamento della differenza ontologica tra uomo e animale, con relativo riconoscimento al secondo di veri e propri diritti.
Già nel 2002 il Bundestag votò per aggiungere le parole «e degli animali» all’articolo 20 della Costituzione tedesca, che obbliga lo Stato a rispettare e proteggere la dignità degli esseri umani. Lo scorso anno il Parlamento della comunità autonoma delle Isole Baleari ha votato una risoluzione di appoggio al Great Ape Project, il manifesto e la relativa associazione internazionale che si propongono di ottenere dalle Nazioni Unite una dichiarazione dei diritti di orango, scimpanzé e bonobo. Il governo spagnolo di José Luis Rodríguez Zapatero, dopo aver annunciato la stessa intenzione, ha deciso di soprassedere aspettando tempi più propizi. In Olanda, alle elezioni politiche dello scorso novembre, il Partij voor de Dieren (PvdD), partito animalista fondato nel 2002, ha conquistato per la prima volta due seggi in Parlamento. E da lì si batte per il riconoscimento dei diritti animali, una battaglia considerata dalla sua giovane leader, Marianne Thieme, la diretta prosecuzione «di quella contro la schiavitù e per la libertà delle donne». Tra gli intellettuali che hanno supportato la campagna elettorale del PvdD spiccano due dei maggiori scrittori olandesi contemporanei, Jan Wolkers e Harry Mulisch.
In Italia non mancano segnali in questo senso. È di recente formazione il Partito Animalista Italiano, guidato da Cristiano Ceriello, che annunciava per la primavera scorsa la costituzione della Prima Internazionale Animalista assieme, oltre al PvdD, allo spagnolo Partido Antitaurino Contra el Maltrato Animal, all’ingl ese Animal Count e al suo omologo tedesco, il Tierschutzpartei.
Si pensi a una scrofa alla catena, a una gallina incarcerata in batteria, a un vitellino in box senza conforto (né latte) materno, a un cane randagio assetato […] si dovrebbe ritenere che i sogni e le lotte della sinistra e del comunismo contro lo sfruttamento, per l’eguaglianza, la solidarietà e la risposta ai bisogni fondamentali, debbano estendersi a tutti i viventi». Così scriveva Marinella Correggia sul quotidiano Liberazione nel febbraio 2001, in un articolo dal titolo «Compagni animali». La preoccupazione è stata ripresa il 30 maggio scorso da Pietro Folena, deputato di Rifondazione Comunista e presidente della commissione cultura della Camera, che ha organizzato un incontro a cui hanno partecipato Tom Regan, nume di riferimento insieme a Singer del movimento per la liberazione animale, il giurista Stefano Rodotà, il sottosegretario all’Economia e dirigente dei Verdi Paolo Cento e il deputato dei Comunisti Italiani e storico Nicola Tranfaglia. Tema della tavola rotonda, la necessità di un nuovo patto sociale in cui la difesa dei diritti umani si accompagni a quella dei diritti animali. E senza troppi sconti, sembrerebbe: dopo due ore di dibattito, Enrico Moriconi, consigliere dei Verdi per la regione Piemonte, sottolineava il lungo cammino che resta ancora da percorrere, perché se per molti può essere «facile interessarsi ai diritti degli animali di affezione», in Usa c’è chi si è già mosso contro le violenze «sulle aragoste gettate vive su una piastra elettrica o immerse nell’acqua bollente», costringendo ristoranti e catene commerciali a una significativa retromarcia.
Del resto l’anelito della sinistra radicale non si staglia nel vuoto. Sono stati poco notati alcuni passaggi del programma di governo stilato dall’Unione, dal titolo Per il bene dell’Italia. «Alla luce della nuova e crescente sensibilità nei confronti degli animali – si legge a pagina 151 del documento – ci impegniamo affinch é il nostro rapporto con essi sia il più informato, solidale e rispettoso nello spirito della Dichiarazione universale dei diritti dell’animale dell’Unesco». Una dichiarazione, quest’ultima, che risale al 1978 e in cui si stabilisce che «i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo» e, fra le altre cose, «che l’educazione deve insegnare sin dall’infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali» (forse non è un caso che l’attuale sottosegretario alle Politiche per la Famiglia sia Chiara Acciarini, responsabile nazionale del Gruppo Vita Animale dei Democratici di Sinistra e già curatrice del volume Animali: i loro diritti, i nostri doveri).
Inoltre, pur non spendendo una parola sul sacrificio di embrioni umani a scopi scientifici, il programma dell’Unione sottolinea che occorre «promuovere e favorire la ricerca effettuata con metodi alternativi all’utilizzo di animali e progressivamente abolire la ricerca e la sperimentazione che ne facciano uso» (pagina 153).
Ma non è solo la sinistra a mostrare interesse e impegno per l’argomento. La Lega Antivivisezione (Lav), che si batte «contro ogni sfruttamento degli animali con un grande obiettivo di libertà: i diritti degli animali», dopo le ultime elezioni politiche dichiarava di essere a conoscenza di un buon numero di parlamentari concretamente disponibili a lavorare sui temi animalisti, 35 di centrosinistra e 13 di centrodestra. La stessa Michela Vittoria Brambilla, presidente dei Circoli della Libertà e astro nascente della CdL, è presidente della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e presidente per la provincia di Lecco della Lega Nazionale per la Difesa del Cane.
Infine, anche la magistratura ha voluto dare il suo contributo alla causa. Con una sentenza del 5 giugno scorso la Corte di Cassazione ha stabilito, letteralmente, che «l’animale condotto al seguito o trasportato in autovettura richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa ve rso un minore», respingendo il ricorso di un 27enne che aveva trascinato il suo cane con la macchina perché, ubriaco, non si era accorto che nel ripartire la bestiola era rimasta impigliata nella portiera. Una solerzia quasi superiore a quella della pubblica amministrazione, dove, dal 1994 a oggi, a partire dal Comune di Roma, poi in quello di Genova, Firenze, Milano e via di seguito, sono stati aperti una miriade di «uffici per i diritti degli animali».
Forse, insomma, se Hiasl fosse stato dirottato in Italia a quest’ora avrebbe già una mamma. E un vitalizio da parte dello Stato.
«Avvenire» del 29 luglio 2007
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