di Mario Cervi
Il battibecco tra il Corriere della Sera e Piero Fassino, arricchitosi d'un nuovo episodio, potrebbe essere catalogato tra le piccole bufere che punteggiano le storie d'amore (incluse le storie d'amore politico e giornalistico). Ma per gli argomenti usati, e per il ruolo importante che il segretario dei Ds ha nella vita pubblica italiana, quel battibecco diventa lo specchio d'una situazione inquietante.
Riassumo l'antefatto. Molto seccato dal rilievo che anche il Corriere aveva dato al caso Forleo, ossia alla richiesta d'utilizzare per fini di giustizia le intercettazioni telefoniche riguardanti le scalate bancarie, e coinvolgenti i massimi dirigenti della Quercia, Fassino aveva chiamato in causa nientemeno che Luigi Einaudi: il quale, in uno scambio di lettere del 1916 con il mitico direttore di via Solferino Luigi Albertini, gli aveva suggerito - contro gli speculatori ma anche contro i «Catoni da strapazzo» - il silenzio, pur con il rischio di vederlo male interpretato. Fassino sostiene che la citazione era scienza sua, da nessuno suggerita. Si può credergli o no. Sicuro è invece che, con l'accorata invocazione d'un silenzio d'oro, il segretario diessino esprimeva l'amaritudine angosciosa di chi s'era illuso di trovare ancora sostegno nella stampa amica.
Alla rampogna il Corriere aveva reagito con una paginata storico-politica di Ernesto Galli della Loggia mirante a dimostrare, insieme all'indipendenza mirabile del Corriere d'antan, anche quella del Corriere d'oggi. Ecco allora - siamo a ieri - una lettera di Fassino che, tributati gli omaggi di rito a Einaudi, ad Albertini, a Galli della Loggia, veniva tuttavia al dunque: e ribadiva che il Corriere ha rappresentato la vicenda Unipol-Bnl in un modo «che travalica abbondantemente il diritto di cronaca e d'informazione assecondando invece e talora sollecitando una pulsione distruttiva largamente diffusa nell'opinione pubblica, quasi un desiderio vendicativo di travolgere la politica». Più avanti Fassino affermava che i giornali sono attualmente «organica parte del sistema politico istituzionale», non solo testimoni ma «competitori nel sistema politico».
Dunque, non un oscuro signore ma il leader d'un grande partito sottolinea l'intreccio tra la politica e i quotidiani, a cominciare dai maggiori. Non ci sono Vestali illibate a custodire il tempio dell'imparzialità. Allora tante tonanti polemiche contro la stampa schierata perdono senso, perché non l'ultimo venuto ma Fassino riconosce al Corriere della Sera un ruolo competitivo e attivo nelle manovre di palazzo, e evidentemente si duole per il fatto che questo ruolo, esistendo, non sia stato svolto a dovere. Con molta lealtà e chiarezza la direzione del Corriere ha due volte preso posizione, in vista delle elezioni politiche, e sempre a favore dello stesso schieramento. «Abbiamo un giornale», gongolava Fassino. Figuratevi come rimase.
Riassumo l'antefatto. Molto seccato dal rilievo che anche il Corriere aveva dato al caso Forleo, ossia alla richiesta d'utilizzare per fini di giustizia le intercettazioni telefoniche riguardanti le scalate bancarie, e coinvolgenti i massimi dirigenti della Quercia, Fassino aveva chiamato in causa nientemeno che Luigi Einaudi: il quale, in uno scambio di lettere del 1916 con il mitico direttore di via Solferino Luigi Albertini, gli aveva suggerito - contro gli speculatori ma anche contro i «Catoni da strapazzo» - il silenzio, pur con il rischio di vederlo male interpretato. Fassino sostiene che la citazione era scienza sua, da nessuno suggerita. Si può credergli o no. Sicuro è invece che, con l'accorata invocazione d'un silenzio d'oro, il segretario diessino esprimeva l'amaritudine angosciosa di chi s'era illuso di trovare ancora sostegno nella stampa amica.
Alla rampogna il Corriere aveva reagito con una paginata storico-politica di Ernesto Galli della Loggia mirante a dimostrare, insieme all'indipendenza mirabile del Corriere d'antan, anche quella del Corriere d'oggi. Ecco allora - siamo a ieri - una lettera di Fassino che, tributati gli omaggi di rito a Einaudi, ad Albertini, a Galli della Loggia, veniva tuttavia al dunque: e ribadiva che il Corriere ha rappresentato la vicenda Unipol-Bnl in un modo «che travalica abbondantemente il diritto di cronaca e d'informazione assecondando invece e talora sollecitando una pulsione distruttiva largamente diffusa nell'opinione pubblica, quasi un desiderio vendicativo di travolgere la politica». Più avanti Fassino affermava che i giornali sono attualmente «organica parte del sistema politico istituzionale», non solo testimoni ma «competitori nel sistema politico».
Dunque, non un oscuro signore ma il leader d'un grande partito sottolinea l'intreccio tra la politica e i quotidiani, a cominciare dai maggiori. Non ci sono Vestali illibate a custodire il tempio dell'imparzialità. Allora tante tonanti polemiche contro la stampa schierata perdono senso, perché non l'ultimo venuto ma Fassino riconosce al Corriere della Sera un ruolo competitivo e attivo nelle manovre di palazzo, e evidentemente si duole per il fatto che questo ruolo, esistendo, non sia stato svolto a dovere. Con molta lealtà e chiarezza la direzione del Corriere ha due volte preso posizione, in vista delle elezioni politiche, e sempre a favore dello stesso schieramento. «Abbiamo un giornale», gongolava Fassino. Figuratevi come rimase.
«Il Giornale» del 31 luglio 2007
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