di Maria Laura Rodotà
Il Financial Times è ingeneroso. Non vuole ammettere quanto siamo avanti; quanto da noi siano radicati dei fenomeni che nel Regno Unito sono solo nuove mode: il familismo ipocrita alla David Cameron (certo più chic di Pezzotta); le yummy mummies (fanno figli e non parlano d’altro, sono una versione più magra delle nostre Signore Mie); l’invasione delle bonone (lì relegate a tabloid popolari, riviste per ragazzotti, programmi tv sui giovani ubriaconi o sulle mogli dei calciatori). Detto questo, tanto per cambiare, che figura. Non tanto per i maschi italiani, o per le ragazze ben fisicate che facendo foto o mostrando il gluteo in tv guadagnano - per il momento - assai di più che con una laurea e una via crucis di contratti a termine. Per le donne italiane riprese in bikini solo da familiari affettuosi, per il resto affaticate, o rassegnate, o ambedue. Affaticate perché è vero quel che scrive Adrian Michaels sul FT: chi lavora non è aiutata dalle istituzioni (anche chi per miracolo trova un posto al nido pubblico, con uno stipendio normalissimo schizza nella fascia alta e paga 450 euro al mese), non dagli orari dei negozi (geniali; a Milano gli alimentari sono chiusi il lunedì pomeriggio, i figli di chi lavora rischiano settimanalmente la sana pizza take away); soprattutto, non dalla mentalità dominante, per cui di cucina-bambini-casa si deve occupare la donna, oppure la colf. Gli inglesi saranno pure odiosi quando parlano di noi; ma loro, nei bagni per uomini, da tempo trovano dei fasciatoi. Lì per un padre è naturale cambiare i pannolini al pupo. Da noi meno. E non si vedono cambiamenti. Nel delirio di calcoli sull’età pensionabile viene sempre tenuto conto che il lavoro delle donne è più faticoso, include un destino da pulitrici e badanti anche da vecchie. Il governatore della regione economicamente più importante, la Lombardia, interrogato in tv sugli asili nido, risponde che ci vogliono aiuti finanziari per far restare le donne «a càààsa» (detto come il Ranzani quando lascia l’Anna a Cantù). E poi, problema per il futuro: le donne visibili in Italia sono quasi tutte bellone (anche le nuove leve minigonnate della politica) o astrologhe o cose del genere; per le più giovani ci sono pochi modelli. A molte ragazzine piace Emma Bonino, parla chiaro e ha una mobilità da Cartoonia, ma non basta. Perché è inutile aspettarsi cambiamenti dai maschi, la questione sono le femmine. E le mamme italiane; di femmine stavolta. Molte si preoccupano perché le figlie tengono troppo ai voti; e si preoccupano di più se non hanno un fisico impeccabile (garantito autentico, sentito dire in spiaggia a una tredicenne carina e smilza: «Amore, guarda qui, sei a rischio cellulite, lascia perdere il gelato e prendi un’acqua naturale»; se poi la figlia privata dell’onesto piacere del Cucciolone decide di sfruttare il fisico e va a fare la cubista la colpa non è sua, francamente). Non sono segnali di ambizione estetica nell’ex Paese della Bellezza, come ipotizza il FT; sono segni di rassegnazione, a un pensiero unico sull’aspetto fisico e sul valore di mercato delle donne che sull’aspetto, principalmente, è ancora basato. Per cui: è vero, in una giornata media siamo massmediaticamente bombardate da diecimila modelle-letterine-attricine, più casomai una Binetti (a proposito di Binetti: nell’Europa civile i diritti riproduttivi sono acquisiti e non a rischio, per non dire dei Pacs, per non dire della banalissima epidurale; anche questo rende le italiane meno libere). Ed è vero, per le donne c’è una Trappola Italiana fatta di costrizioni pratiche e familiari, ossessione per l’aspetto, frustrazioni lavorative. Però è riduttivo, come fa il FT, dire che la riscossa delle italiane può essere la lettera di Veronica Lario a Berlusconi. Va bene, tante mogli sono nella sua situazione (altrove mollano i mariti). Ma serve qualcosa di più. Forse dovrebbero cominciare i media, i giornali per primi, a parlare di donne interessanti, che ce ne sono tante. Le ragazze troverebbero più interessanti i giornali, tra l’altro. Forse anche gli uomini, o sennò possono guardare le figure (bellone nelle pubblicità ce n’è tantissime, non lo notano solo gli inglesi).
«Corriere della sera» del 15 luglio 2007
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