André Glucksmann si schiera al fianco del pontefice per un’alleanza tra fede e ragione
di Andrè Glucksmann
A Ratisbona ha smascherato il nichilismo
Il discorso di Ratisbona, raccomandando l’«autocritica», non attribuisce affatto soltanto ai musulmani la facoltà di scivolare nel fanatismo di una fede che rifiuta l’ausilio della ragione. Il riferimento a Duns Scoto, per il passato, e ai nichilisti di oggi indica quanto il rischio di una trasgressione fondamentale non risparmi nessuno, credente o non credente. Di qui il richiamo a ricentrare il dialogo delle religioni e il confronto dei credenti con gli agnostici: non accontentarsi dei voti che per essere pii rischiano di rimanere vuoti. Il discorso di Ratisbona, quindi, invitava a non limitarsi a pregare insieme, nascondendo quello che dilania e separa gli uomini di fede nonostante la loro buona volontà così imperturbabilmente manifestata. Ponendo l’accento sulla necessità di esaminare in modo franco gli argomenti che irritano e i bagni di sangue nei quali annegano le nostre professioni di fede, Benedetto XVI resta fedele all’esortazione di Giovanni Paolo II, «non abbiate paura!». (...) Una fede che ignori o eviti la modesta ragione filosofica rischia di trovarsi in balia di una violenza cieca. L’alternativa ragione-violenza non oppone le religioni una contro l’altra ma pone ognuna contro se stessa. L’imperativo della conoscenza di sé non riguarda le scelte passate e superate, ma le decisioni urgenti e presenti. Quello che oggi, affascinati dall’Islam e dall’islamismo, chiamiamo «risveglio» delle religioni o «ritorno» della fede manifesta l’esatto contrario. L’Islam subisce una sorta di kidnapping, di Opa; le sue convinzioni più sincere sono deviate e confiscate da un culto della morte terrificante. Nel XX secolo il cristianesimo europeo ha conosciuto un fenomeno simile. In due riprese. Nella prima, durante la Prima guerra mondiale, i belligeranti hanno combattuto pretendendo che Dio li sostenesse. Ricordate Berlino nel 1914: la dichiarazione di guerra viene annunciata alla porta di Brandeburgo, il popolo non intona «Deutschland uber Alles», ma un cantico di Lutero musicato da Johann Sebastian Bach. Reciprocamente, quando Benedetto XV, durante la Grande guerra, chiede il cessate il fuoco, si scontra contro la «sacra unione» dei fratelli nemici, i vescovi cattolici tedeschi, francesi e belgi lo bocciano. Seconda esperienza: silenzio e impotenza del cristianesimo di fronte alla barbarie nazista. In passato due rinunce sono state la disgrazia dell’Europa: uccidere in nome di Dio e chiudere gli occhi. Un tale nichilismo omicida e suicida imperversa di nuovo nell’attualità planetaria. Oggi come ieri, dei giusti, degli eroi, dei santi, spesso dei semplici cittadini resistono. (...) Il discorso di Ratisbona, lungi dal costituire un’improvvisazione ispirata dall’attualità, addirittura una provocazione, come è stato affermato, tocca il punto più profondo del testo biblico e delle meditazioni insondabili delle tre religioni del Libro. Chi uccide in nome di Dio può essere sia chi crede in Dio sia chi non crede. Se crede, si istituisce luogotenente di un potere arbitrario e privo di ragione; egli confonde Dio e Tifone e si permette di tutto. Se non crede, uccide in sé la ragione e si erge a supremo Tifone che non si vieta nulla. In entrambi i casi, l’oblio della ragione in cielo e in terra sopprime ogni differenza tra collera dall’alto e collera dal basso, identifica orgogliosamente uomo e divinità, sopprime la possibilità di distinguere bene e male. La letteratura del XIX secolo, per lo più russa, ha esplorato in anticipo il vicolo cieco di una eliminazione definitiva dei divieti verso cui si precipiteranno, a testa bassa, un gran numero di posseduti del XX e del XXI secolo. (...) Ogni confessione deplora naturalmente che le altre non condividano i suoi ideali e la sua visione di Bene supremo. Per lungo tempo la ragione europea ha approfittato della pluralità dei servizi divini e del relativismo che ne deriva, pronta a instaurarsi come legislatrice e a sostituirsi alla fede, legittimandosi come religione assoluta. Questo era l’obiettivo dell’idealismo tedesco del XIX secolo, dei suoi epigoni e continuatori. A partire dalla collaborazione di Platone con Dioniso, tiranno di Siracusa, fino alle peggiori compromissioni degli zeloti di Lenin, Stalin o Hitler, l’orgoglio trascendentale, che inghiotte in un solo boccone sia la ragione che la fede, ci fa precipitare di catastrofe in catastrofe. Nel XXI secolo, alla fine postmoderna dei grandi racconti ideologico-storici, il nichilismo prospera nelle piaghe della filosofia, proclamando non soltanto la relatività dei beni e dei valori, ma più radicalmente la relatività del male. Da qui l’arbitrio irriducibilmente culturalista e di parte della nostra definizione di inumano. Violentare, perché no? Purificare etnicamente, perché no? Il genocidio, perché no? Uccidere padre e madre, fratello e sorella, why not? Il suicidio della ragione socratica genera mostri. «Uccidi il prossimo tuo come te stesso!». L’imperativo nichilista oltrepassa allegramente i confini geografici e geopolitici. Esso copre ormai l’intero ventaglio delle violenze possibili e fa proliferare il massacro degli innocenti. Dalla bomba umana individuale, santificata come «bomba atomica dei poveri», fino alle armi di distruzione di massa a disposizione di personaggi che si fanno notare per la loro grande irresponsabilità, le minacce si moltiplicano. Il XX secolo ancora distingueva la capacità tecnica di porre fine alla storia umana (Hiroshima) dalla capacità spirituale di incidere senza scrupoli nella carne (Auschwitz). Hitler non ha mai posseduto la bomba e gli americani, che l’hanno costruita per resistergli, da parte loro non hanno mai ammesso una ideologia di morte. Stalin stesso, fortemente scosso per il rischio di crollo scampato dal suo potere nel 1941, non si è mai azzardato a trasgredire i due tabù della dissuasione. Ecco perché la Guerra fredda è rimasta fredda. Questi due divieti, che impongono ritegno e prudenza, tengono sempre meno a freno i furori di guerra. Il ricordo di Hiroshima si offusca, la memoria di Auschwitz viene contraddetta e banalizzata. La percezione del male è derisa. Da un lato vi sono gli Stati padrini, dotati dell’arma assoluta, che si considerano santuarizzati; dall’altro, le organizzazioni terroriste senza legge né scrupoli; fra i due, un nichilismo generalizzato tesse una tela patogena. Ragione e fede devono far emergere insieme una sfida nuova: il nichilismo trasforma la forza di fare in capacità di disfare e la volontà di potere in volontà di nuocere. La religione ha bisogno di una ragione autonoma che non saprebbe sostituirsi a essa. Esercitando una funzione rettrice in un campo interamente sottomesso alla sua giurisdizione, quello delle virtù teologali (fede, speranza, carità), la religione si avvicina maggiormente alla ragione nel campo più secolare delle virtù chiamate cardinali. (...) Il nichilismo si sforza di rendere il male non visibile né dicibile né pensabile. Contro una simile devastazione mentale e mondiale, la lezione di Ratisbona richiama «la fede biblica» e «gli interrogativi della filosofia greca» a rinnovare senza concessioni una alleanza che mi auguro sia definitiva e vittoriosa.
«Corriere della sera» del 14 luglio 2007
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