Lo scrittore israeliano rilegge un classico
di Abraham Yehoshua
Yehoshua svela il segreto della «Metamorfosi»
Il 25 ottobre del 1915 Kafka scrive al suo editore Kurt Wolff una lettera in merito alla copertina del racconto La metamorfosi, in corso di pubblicazione. Questo il tenore della lettera: «Egregio signore, ultimamente Lei mi scrisse che Ottomar Starke avrebbe disegnato la copertina de La metamorfosi. Mi sono preso un piccolo, probabilmente inutile spavento. Inutile stando a ciò che conosco di quell’artista in Napoleone. Mi è venuto in mente, siccome Starke è un vero illustratore, che forse potrebbe voler disegnare l’insetto. Questo no, per favore, questo no! Non voglio limitare la sua libertà d’azione, voglio soltanto avanzare una preghiera derivante dalla mia conoscenza, ovviamente migliore, della storia. L’insetto non può essere disegnato. Ma non può neppure essere mostrato da lontano. Se questa intenzione non sussiste, se, dunque, la mia richiesta è ridicola, tanto meglio. A Lei sarei grato se volesse trasmettere il mio desiderio. Se potessi fare una proposta per una illustrazione, sceglierei scene come: i genitori e il procuratore dinanzi alla porta chiusa o, ancor meglio, i genitori e la sorella nella stanza illuminata, mentre la porta che dà nella stanza attigua, totalmente oscura, è aperta ». Allora, io proverò qui a delineare lo scarafaggio e capire di conseguenza come mai Kafka fosse così spaventato dall’idea che qualcuno lo raffigurasse. Non è neppure il caso di cominciare ad addentrarsi nell’immensa ricchezza di significati attribuiti a questo racconto di Kafka. Qui, infatti, la proverbiale ambivalenza ontologica di Kafka giunge all’apice, e non è sbagliato dire che siamo di fronte a uno fra i racconti più studiati nella letteratura del XX secolo, se non il più studiato di tutti. Nella selva di significati spicca ovviamente quello psicoanalitico, che non di rado suscita opposizione proprio per la sua ambizione ad essere totale, e perché presenta la propria interpretazione come ultima, definitiva. In effetti, un’interpretazione psicoanalitica non ha bisogno di alcun supporto storico, sociologico o filologico, è persino autonoma dai dati biografici dell’autore. I personaggi delle tragedie di Sofocle, Shakespeare o Molière sono, in tale contesto, presi per quello che sono, e sotto questo profilo è lecito analizzare loro e i loro complessi come se vivessero qui, accanto a noi. Kafka per parte sua è ben noto alla psicoanalisi. In un certo senso l’ha ispirata, perché tutto ciò che scriveva poteva essere interpretato in un senso psicoanalitico. Tenterò qui soltanto una delle possibili interpretazioni psicoanalitiche, che si fonderà esclusivamente sul testo, senza alcun rapporto con i dati biografici di Kafka, osservando solo l’agente di commercio Gregor Samsa e la sua famiglia così come compaiono nel racconto. La domanda che mi guida è la seguente: che cosa è esattamente l’insetto descritto nella storia? Dobbiamo prenderlo solo come una metafora, come un oggetto allegorico, o è possibile conferirgli una qualche pregnanza, per lo meno nella stessa misura in cui diamo concretezza alle cose nei sogni, che hanno magari un’alta carica simbolica ma anche una nitida concretezza? Se questo insetto viene interpretato esclusivamente come simbolo metaforico o allegorico, un simbolo generale di disumanizzazione, allora perdiamo secondo me qualcosa di importante in questo racconto, che, al di là di tutto ciò che riguarda l’insetto, tiene bene testa a un approccio realistico generale. Kafka aveva evidentemente in mente qualcosa di molto concreto, non soltanto un simbolo metaforico. Così scrive a Yanok a proposito di questo racconto: «È un sogno terribile, è una concezione terribile. Il sogno svela la realtà, mentre l’idea ne è una risultanza. È la mostruosità della vita, la natura terrifica dell’arte». Torneremo su queste parole di Kafka a proposito del racconto; quanto a me, m’incoraggiano lungo la via che cerco. Gregor viene da una famiglia borghese, dove troviamo un padre forte (in primo luogo fisicamente, ma la sua forza si rivela assai più sostanziale, generale). Questo padre ha avuto guai finanziari, forse a causa dei suoi istinti prepotenti. Gregor ha deciso di tirare fuori suo padre dalle avversità economiche andando a fare l’agente di commercio nella ditta in cui suo padre aveva fallito. Il fatto che il figlio vada a risollevare le sorti del padre nello stesso luogo in cui questi aveva fallito, e non altrove, ha un significato particolare: con ciò si enfatizza e intensifica il dato della «sostituzione» del padre, e se ne svela ulteriormente il fallimento. Quel posto di lavoro Gregor non lo ama, e in ditta nessuno nutre particolare simpatia per lui. La gente lo tratta con somma diffidenza e in una certa misura lo umilia, memore com’è del fallimento paterno. Il duro lavoro del figlio non serve solo per pagare il debito del padre: se questo fosse l’unico scopo, la durata del lavoro sarebbe stata assai più breve, e anche il padre sarebbe stato in una certa forma mobilitato, per collaborare alla restituzione del debito. Ma il fallimento del padre serve a creare la dipendenza della famiglia da Gregor, a fargli prendere il posto del padre stesso. Prima di tutto il padre smette di lavorare, senza una ragione precisa. Sta di fatto che dopo la metamorfosi di Gregor in scarafaggio il padre torna al lavoro e dimostra che ne sarebbe stato capace, in tutti quegli anni di ozio. Gregor per parte sua mantiene la famiglia non certo al livello di ristrettezze di chi si trova sommerso dai debiti: vivono in una casa grande che richiede molte spese (dopo la morte di Gregor la famiglia decide di trasferirsi in un appartamento più piccolo ed economico). Durante tutti quegli anni di lavoro per restituire il debito, i genitori mettono da parte del denaro. In altre parole, Gregor ha trasformato il fallimento del padre in un pretesto per ereditare il suo posto (un motivo analogo si trova, fra l’altro, nel racconto Il verdetto, scritto prima de La metamorfosi), e ha impedito al padre di partecipare allo sforzo di risanamento della famiglia, perché egli vuole sostituirsi a lui e con ciò rendere ancora più profondo il suo fallimento. Così il padre si indebolisce (benché questa debolezza si sveli in seguito come fittizia, e temporanea), e la scena classica che si evidenzia è più o meno questa: «Le stoviglie della colazione coprivano il tavolo in gran quantità, perché la colazione era per il padre il pasto più importante della giornata, che egli protraeva per ore leggendo diversi giornali». L’immagine del padre fannullone che prolunga la prima colazione, di fronte a quella del figlio sottotenente con la spada e la divisa, bene esemplifica il tipo di relazioni che vigeva in famiglia. Con la maschera della sollecitudine per i propri cari, con la risoluta decisione che il fallimento del padre non può intaccare il processo di riabilitazione della vita familiare, Gregor finisce (consapevolmente o meno) per asservire a sé la famiglia. In effetti, malgrado sia un agente di commercio, Gregor non pare minimamente interessato al mondo esterno, e sono proprio i suoi frequenti viaggi a esprimere il profondo legame libidico che intrattiene con la famiglia. Il suo vero interesse emotivo è rivolto esclusivamente verso la casa. Quando in uno dei suoi lunghi viaggi riceve le lettere della sorella, in cui lei parla del padre che legge il giornale a voce alta (che notizia sconvolgente!), Gregor ha la sensazione che la casa sia piena di gioia e allegria. Anche la madre descrive al procuratore l’attrazione di suo figlio per la casa e la sua assoluta fedeltà alla famiglia, in questi termini: «Quel ragazzo non ha in testa altro che la ditta. Io mi arrabbio quasi, perché alla sera non esce mai; ora è stato otto giorni in città, ma è rimasto a casa tutte le sere. Sta seduto con noi al tavolo e legge in silenzio il giornale, oppure studia gli orari ferroviari». Non è la famiglia a pretendere che lui stia lì, piuttosto è lui che è attratto dalla famiglia come una specie di padre privo di interessi libidici al di fuori di essa. In effetti, facendo l’agente di commercio, Gregor avrebbe l’opportunità di una vita eccitante, fuori. Invece è vero il contrario: tutto il mondo esterno in cui passa gran parte del suo tempo si riassume conseguentemente in «due, tre amici di altre ditte, una cameriera di un albergo di provincia, un dolce, fuggevole ricordo, la cassiera di un negozio di cappelli, alla quale - seriamente, ma con troppa lentezza - aveva fatto la corte». Tutti i suoi impulsi libidici si concentrano infine sull’immagine di una donna impellicciata che egli ha ritagliato da una rivista illustrata, come un timido sbocco della libido: e per serbare questa innocente immagine lotterà anche quando sarà ormai un insetto.
Il brano qui pubblicato è tratto dal saggio di Abraham Yehoshua dedicato alla «Metamorfosi», il capolavoro di Franz Kafka, è incluso nel numero speciale della rivista «Giudizio Universale», da oggi in edicola. Fra gli altri autori presenti: Tahar Ben Jelloun recensisce «Don Chisciotte»; Marc Augé «Madame Bovary»; Jonathan Coe «I viaggi di Gulliver»; Javier Cercas «Il deserto dei tartari»; Björn Larsson «L’isola del tesoro»
«Corriere della sera» del 6 luglio 2007
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