di Pierluigi Battista
Michael Moore ha tutte le ragioni nel rivendicare la libertà di dire la sua. La piena, totale, incondizionata libertà di dire tutte le sciocchezze di cui è eventualmente capace e che, malgrado la loro enormità, gli consentiranno di diventare l' eroe del coraggio conculcato e il fiero smascheratore delle bugie del potere. E dunque c' è solo da sperare che nessuno tocchi Michael Moore e che Bush receda dall' improvvida scelta di incriminare il regista reo di aver infranto la legge americana con il suo viaggio a Cuba per girare «Sicko», il docu-film presentato a Cannes con il solito contorno di applausi e ovazioni. Perché impedire a un artista eccelso di recarsi a Cuba per adulare il dittatore dell' Avana? Non è Michael Moore solo l' ultimo dei «pellegrini politici» mirabilmente descritti da Paul Hollander, quegli intellettuali devoti (poeti, scrittori, registi, giornalisti) che si recavano in processione in qualche paradiso del «socialismo reale» per tornarne commossi e incantati, e sempre più agguerriti nella denuncia delle malefatte capitalistiche? E infatti a Cannes sono caduti in deliquio per il regista che, dopo «Fahrenheit 9/11», nel suo nuovo film accusa l' America criminale di non aver tutelato la salute dei soccorritori di Ground Zero. E che immagina di portare quei disgraziati a Guantanamo per usufruire della stessa assistenza gratuita dei detenuti di Al Qaeda, anche se lo sforzo sarà vano. E che dunque trasferisce i poveri malati nella Cuba di Castro, dove un magnifico servizio sanitario, sorretto dalla dedizione di magnifici medici, coadiuvato dall' impegno di un magnifico personale infermieristico, provvidenzialmente sotto la guida di un magnifico Partito (unico), provvederà alle cure delle vittime dell' arroganza yankee. Perché a Cuba i malati vengono curati, mentre negli Stati Uniti ricchi e terribili se non hai i soldi sei abbandonato a te stesso. Perché la Cuba di Castro è molto, ma molto meglio della Cuba di Guantanamo in mano agli americani. Straordinaria alterazione del principio di realtà, poetico fantasticare attorno al nulla e alla menzogna. Perché è reale che il sistema sanitario degli Stati Uniti soffre di spaventose iniquità, ma che la Cuba del dispotismo castrista sia il luogo della cura e della civiltà, dell' altruismo e del disinteressato sacrificio di sé, questa è una pura invenzione, come testimoniano tutte, ma proprio tutte le organizzazioni umanitarie che denunciano lo stato miserevole dei diritti umani sotto il regime dell' Avana, la soppressione di ogni più elementare libertà, la caccia al dollaro che ha fatto di Cuba un bordello ancor più funzionante di quelli che sfolgoravano nel regno di Fulgencio Batista. «Sicko» di Moore appare per ciò la rappresentazione artisticamente compiuta di quella «tirannia della penitenza» di cui ha scritto Pascal Bruckner a proposito delle società occidentali, un accecante odio di sé che smarrisce ogni misura nella denuncia delle «nostre» malefatte e cancella fino ad azzerarle quelle, ben altrimenti mostruose, di chi si erge a paladino dell' anti-Occidente, o dell' anti-America (che è più o meno la stessa cosa). Moore riceverà applausi e osanna, molti tesseranno elogi per la temerarietà visionaria della sua poetica, l' azione giudiziaria promossa dal governo americano illuminerà sul capo del grande regista l' aureola della santità e del martirio. I cubani non ignari del fatto che di funzionante a Cuba si segnala non tanto il sistema sanitario, ma quello carcerario, assisteranno increduli all' apoteosi hollywoodiana di un regime oppressivo e asfissiante. Complimenti a Michael Moore, genio della comunicazione. E della mistificazione.
«Corriere della sera» del 21 maggio 2007
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