Esami di maturità
di Maurizio Ferrera
Gli esami di maturità sono finiti, gli studenti possono tirare un respiro di sollievo. Le statistiche ministeriali segnalano che quest’anno gli esami sono stati più difficili: la percentuale dei bocciati è raddoppiata. Anche i voti sono meno appiattiti verso l’alto. Per capire cosa è successo, occorreranno dati e confronti approfonditi. Nell’attesa, vale forse la pena di sollevare un problema più generale: quanto efficace è la scuola italiana nel selezionare capaci e meritevoli? Nel riconoscere, sostenere, premiare le doti e i talenti dei propri studenti? Per rispondere c’è bisogno di un qualche punto di riferimento, altrimenti si finisce subito nei luoghi comuni (le scuole italiane non fanno più selezione, una vale l’altra), nelle valutazioni impressionistiche (il liceo di mia figlia funziona benissimo) o nelle dispute di principio (cos’è il talento? Qual è la «vera» funzione della scuola?). Il punto di riferimento più utile oggi in Europa è offerto dal sistema scolastico inglese: quello che ha fatto maggiori sforzi per accrescere e misurare la propria capacità di selezionare abilità e talenti. In breve, la storia è questa. Nel 1999 un’indagine della Camera dei Comuni concluse che la scuola inglese non si occupava abbastanza degli studenti più bravi (inclusi quelli con doti fuori dal comune in settori come musica, sport, arte e attività creative in genere). Il governo ha messo dunque a punto una strategia per muovere in questa direzione. Ad ogni scuola è stato chiesto di nominare un docente responsabile dell’istruzione «di eccellenza». Sono stati messi a disposizione fondi per finanziare attività specificamente rivolte agli studenti più dotati, anche in collaborazione con soggetti esterni: università, mondo delle imprese, della cultura, dello spettacolo, dello sport. È stato creato un sistema nazionale di monitoraggio sui percorsi formativi di eccellenza e le scuole più efficaci e innovative hanno ricevuto la menzione di leading edge schools. Nel 2002 è stata infine istituita la National Academy for Gifted and Talented Youth, con due compiti principali: stimolare e «certificare» il rendimento dei giovani più bravi; formare gli insegnanti che vogliano dedicarsi a questo gruppo di studenti. Naturalmente all’Accademia si accede per concorso e i docenti ammessi hanno stipendi più elevati. Perché questo riorientamento della scuola pubblica inglese verso i più bravi? Per valorizzare tutto il «capitale umano» della società e meglio preparare le classi dirigenti del futuro. Ma soprattutto per attutire l’influenza delle condizioni economiche e dello status sociale su rendimenti scolastici, carriere, percorsi di vita dei giovani inglesi. Per far sì, in altre parole, che anche i giovani di famiglia povera possano coltivare e sviluppare le proprie capacità e i propri talenti. Non a caso la strategia del governo è stata chiamata «Agenda per l’equità e l’eccellenza educativa». Il caso inglese non è isolato nel panorama europeo. Il rafforzamento della funzione selettiva della scuola (soprattutto quella secondaria), della sua capacità di scoprire, sostenere e valorizzare abilità e talenti (e non solo di «registrarli» con un sistema di voti) è all’ordine del giorno in molti altri Paesi ed è stata oggetto di una recente comunicazione della Commissione europea. Se Londra non convince, si può scegliere un altro punto di riferimento: ma la direzione di marcia dei migliori sistemi educativi è molto simile a quella inglese. Quanto lontana è la scuola italiana dal punto di riferimento? In termini di organizzazione, siamo sicuramente lontani. Ma se il governo desse i segnali e gli incentivi giusti, forse molte scuole, molti docenti e sicuramente moltissimi studenti reagirebbero con prontezza e persino entusiasmo nella direzione auspicata. Come in molti altri ambiti dell’economia e della società italiana, ciò che serve è una scossa. In questo caso, una scossa «per l’equità e l’eccellenza educativa»: il motto inglese indica i due principali obiettivi da perseguire, nel giusto ordine di priorità.
«Corriere della sera» del 27 luglio 2007
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