È una risata fragorosa e intermittente la compagna che rincorre gli ultimi giorni di Charles Baudelaire. Il primo a citarla è il suo editore, Auguste Poulet-Malassis, che, insieme all’amico Arthur Stevens, nell’aprile del 1866, va a prendere il poeta alla casa di cura di Bruxelles dove è stato ricoverato per l’attacco di emiplegia che lo ha colpito un mese prima, durante una visita alla chiesa di Saint-Loup, a Namur. Una chiesa di gesuiti, “meraviglia sinistra e galante”, un’eccezione nel detestato Belgio dell’esilio. Baudelaire sembra essersi in parte ripreso, i religiosi della clinica sono scandalizzati dalle imprecazioni che lancia di continuo, e i due amici lo fanno salire in carrozza per portarlo all’Hotel Grand-Miroir, dove lo aspetta la madre, accorsa dalla Francia.
“Come la vettura si è messa al passo, ha cominciato a prendere un piacere visibile riguardo alle vetrine e alle attività nella strada. Comprende tutte le cose semplici che gli si dicono, specialmente quelle relative al suo stato…” scrive Poulet-Malassis a Charles Asselineau, che sarà il primo biografo dell’autore dei “Fiori del male”. A un certo punto, la lettera ha un sussulto, come forse la vettura. Baudelaire è preso da un fou rire dopo un accenno di Stevens ai fiori d’arancio. Poulet-Malassis reprime il brivido per la risata folle e incongrua e decide che è un buon segno: “Questo vi prova che il senso del comico e dell’ironia non lo ha abbandonato”.
A Caroline, la madre amata, che lo ama sì, ma senza accettarlo mai del tutto, la risata di Charles fa paura. Dichiarata. Qualche volta fanno delle gite in campagna. Baudelaire non sta meglio. E’ peggiorato. Si appoggia a un bastone di malacca per camminare. Ha perso quasi del tutto l’uso della parola. Ma ride. Un’ebbrezza di risate, che per la vedova Caroline Aupick è gelida e feroce; assomiglia ad alcune delle poesie del figlio. Come quella che detesta e vorrebbe estirpare dalle “Fleurs”, contro il parere degli amici e degli ammiratori, “Il Rinnegamento di San Pietro”. Alla sua lettura – letterale – appare empia. Non si cala nelle profondità religiose del figlio. Lo ascolta ridere, con angoscia. “Quella testa ha lavorato troppo” dice a tutti. Forse aveva ragione. Nelle lettere che i parenti e gli amici di Baudelaire si scambiano, nei mesi della malattia del poeta – la paralisi inferta dall’ictus si aggrava sempre di più – si parla, nella terminologia medica dell’epoca, di “rammollimento cerebrale”. Evoca lo squagliarsi progressivo di uno degli intelletti, poetici e critici, tra i più rapidi e fulminanti di ogni letteratura.
Anche Asselineau, l’ammiratore, è stranito quando lo va ad accogliere alla Gare du Nord, al ritorno a Parigi. Baudelaire lo riconosce e si lascia andare ad un’ilarità prolungata che raggela l’amico. Le risate rintoccano come le campane degli spleen di Parigi. E’ l’ultima testimonianza prima della paralisi e del silenzio. Poi ci saranno solo bisbigli al capezzale di rue du Dome. Rimpianti, discussioni ereditarie. La musica di Wagner suonata al piano, nella stanza in penombra. Fino alla fine.
Bisogna stare attenti a queste risate: dopo gli amici, colpiranno tutti i suoi biografi, i poeti che lo eleggono a maestro ad ogni cambio di generazione, e ancora oggi, i romanzieri che lo collocano in trame letterarie, come Bernard-Henry Lévy, autore nel 1988 di un romanzo, “Gli ultimi giorni di Charles Baudelaire”, in cui anche il “bon chic” BHL, subisce la fascinazione della risata esasperata del genio. Poi fantastica sul silenzio che segue, come se fosse volontario, o desiderato, o metaforico, segno di estremo distacco.
Difficile: i fiori del successo stavano per sbocciare per monsieur Baudelaire, pure tra le delusioni e le affannose ricerche di contanti, necessari per pagare lo sperpero dell’irrazionale. I primi discepoli lo acclamano nel 1864, tre anni prima della morte: sono Paul Verlaine e Stephane Mallarmé. “Questi giovani mi fanno una gran paura. Non c’è niente che mi piaccia di più che essere solo” ribatte Baudelaire. Ma pregusta il ribaltamento della fortuna. E riempie il taccuino di progetti. Il romanzo di Lévy accenna anche al mistero di un tesoro letterario rimasto sepolto. E inedito. Le prose di Baudelaire. Oltre i poemetti dello spleen, oltre i “Paradisi artificiali”, oltre i “Razzi”, l’“Igiene”, “Il cuore messo a nudo”, gli anatemi contro il Belgio. Sull’ipotesi di una grande opera letteraria in prosa rimasta ignota, si sono dannati il cuore non solo romanzieri fantasiosi come BHL, ma anche gli studiosi più seri del poeta dei “Phares”. Molti indicano l’origine del mistero proprio negli ultimi giorni di Baudelaire. I giorni della malattia e delle risate. La fine di Baudelaire ne ha moltiplicato le vite postume. L’eroe romantico.
Il Grande Maledetto. Le poesie dei “Relitti”, condannate nel processo del 1857 ad essere eliminate dalla prima edizione dei “Fiori del Male”, in quanto oscene, furono riammesse alla legittimità delle lettere francesi solo nel 1949. E poi. Il rivoluzionario dandy che in redingote tra le barricate del 1848 incitava a fucilare il patrigno generale Aupick, colpevole di averlo messo sotto tutela perché sperperava l’eredità paterna. Il conservatore che ammirava Joseph De Maistre (“Mi ha insegnato a ragionare”). Il cantore della sensualità che coniava aforismi contro le donne. E che si era preso la sifilide in una delle sue prime visite al bordello.
Il mostro fatto di poesia. Le contraddizioni di Baudelaire affascinano a distanza. In Italia è stata pubblicata di recente una selezione di lettere da noi finora inedite nel “Vulcano malato”, a cura di Cinzia Bigliosi Franck (Fazi Editore). Negli Stati Uniti sono usciti i saggi di Walter Benjamin sul poeta francese (“The writer of modern life: Essays on Charles Baudelaire” a cura di Michael Jennings, Belknap Press). Lo scrittore per l’infanzia Lemony Snicket ha battezzato Baudelaire gli orfani protagonisti della sua saga neo-gotica. Il nome del poeta maledetto, a una ricerca su Google, ammicca da 6 milioni e 130 mila siti Internet. Uno degli scrittori più cliccati del web. E più usati. Il suo nome appare su blog letterari come su saponette, t-shirt, borse da viaggio, sul dorso di porta-container, su calze di lana, su etichette discografiche, su siti di pornografia lesbica. Baudelaire come brand, sorte simile a quella di Ernest Hemingway e Jack Kerouac, scrittori a noi più vicini. Brandelaire dicono gli spiritosi. Un saccheggio e un successo.
A riprova, in un’asta tenuta lo scorso 27 giugno da Sotheby’s a Parigi, una prima edizione dei “Fiori del male” con dedica al pittore Eugene Delacroix, “a testimonianza di un’ammirazione eterna”, ha raggiunto la cifra record di 603 mila euro. Gli studiosi del poeta, però, hanno guardato con più interesse, nella stessa vendita che celebra i 150 anni dalla prima edizione dei “fiori malsani”, a un gruppo di lettere che la cerchia del poeta si spedisce nei giorni della sua agonia e in quelli successivi. Una buona parte è inedita. Come sono inedite alcune delle note preparatorie – anche queste battute nell’asta – che il fotografo Nadar, uno dei più grandi amici e compagni di flanerie parigina, redasse per il suo “Charles Baudelaire intime: le poète vierge”. Nadar attribuisce all’amico una serie di battute tranchant. Eccone una: “Odio i testamenti e odio le tombe/ questi corvi delle lettere. Sono tra quelli che si allontanano appena cominciano gli elogi funebri”. Lo attraevano invece le movenze di una donna nella folla, le cascate di luce che dividevano il buio, come sui palchi dei teatri. In un teatro, come ricorda Nadar, videro insieme per la prima volta Jeanne Duval, l’attrice mulatta che diventerà l’idolo scuro e l’amante-strega “dal fianco d’ebano”. Scrive il fotografo: “In una tenuta consacrata di soubrette, il piccolo grembiule e la cuffia a nastri svolazzanti, una ragazza alta, troppo alta, che sorpassa di una buona testa le proporzioni ordinarie, è già una cosa che colpisce.
Ma non è finita: questa soubrette di dimensioni straordinarie è una negra, una vera negra, o almeno una mulatta…” Quando Nadar si volta verso Baudelaire, il poeta è completamente concentrato sulla giovane donna. Allora è Baudelaire il dandy, quello che spende migliaia di franchi al mese, prima dell’interdizione. “Il più grande cacciatore di donne davanti all’Eterno che io abbia incontrato” lo ricorda Nadar. A non tutti piaceva Jeanne. Ci sono dei bei disegni di mano di Baudelaire, che non rimandano un “vampiro”, ma una pin-up dell’ ‘800 dal sorriso paffuto. Ma lo spettacolo, secondo il poeta, era vederla muoversi: “Quando cammini con quella tua cadenza/ bella d’abbandono/ fai pensare a un serpente che danza/ in cima ad un bastone./ Sotto il fardello della tua pigrizia/ la tua testa d’infante/ dondola mollemente con la grazia/ di un giovane elefante”. In un dipinto di Manet è già una rovina. Era stata colpita da paralisi prima del suo amante. Ma gli sopravvive. L’ultimo a vederla (come era stato il primo) è proprio Nadar, che nel 1870 la incrocia sui boulevards mentre arranca sulle stampelle. Jeanne non visita il capezzale di Baudelaire. Il poeta ha rotto definitivamente con lei anni prima. Ci sono invece i parenti e gli amici più stretti, che intrecciano lettere che compongono un diario della malattia, e delineano la prima prospettiva della sua opera negli anni che seguono. Malassis, un po’ bottegaio, in una sua missiva, fa i conti sui “Fiori del male”: “Se ne sono venduti 3.000 esemplari nelle loro due edizioni. E’ il libro del momento. (Baudelaire, ndr) Ne avrà dei benefici economici. Dei guadagni dovrebbero arrivare anche dai poemi in prosa, benché incompiuti. Restano ancora due o forse tre volumi di critica e “Opium e haschisch”, che ho faticato molto a smaltire, anche al ribasso. Sia detto tra parentesi, “I Fiori del male” e “I Relitti” sono tutto il bagaglio poetico del nostro amico, meno una trentina d’epigrammi contro il Belgio che gli ho impedito di pubblicare”. Stupisce la valutazione che l’editore di Baudelaire dà all’opera critica, alle poesie sparse, ai “Diari intimi” del suo amico.
Sono giorni d’incontri e di battaglie sotterranee tra gli amici letterati e i parenti. La madre Caroline preme per la pubblicazione delle opere complete, ma vorrebbe escludere alcune poesie. Si spaventa per il furore silenzioso del figlio a causa di un paio di pantofole rotte. Sempre Malassis scrive: “Mme Aupick non comprende e non ha mai compreso nulla del carattere di suo figlio, ed è senza dubbio, malgrado l’eccellenza dei suoi sentimenti materni, una delle persone più inadatte ad occuparsi di lui e a capire i suoi desideri”. Caroline ama Charles di “un amore infantile”. Ma mentre è abbattuta dal dolore, si preoccupa di costruire il monumento letterario, pure edulcorato, del suo Charles. All’indomani della morte del figlio scrive a Theodore de Banville: “Niente deve arrestare la pubblicazione in programma, nemmeno in caso di successione contestata”. Altro personaggio centrale degli ultimi giorni di Baudelaire è Félicité, la vedova del fratello.
“E’ una figura enigmatica, pare che Baudelaire si sia invaghito di lei negli ultimi anni della sua vita” dice Cinzia Bigliosi Franck. “E c’è chi sostiene che sia stata lei la custode degli ultimi lavori in prosa di Baudelaire. E che li abbia fatti sparire”. Illumina su Félicité Baudelaire una lettera di Asselinau a Malassis, del 22 aprile, in cui racconta una cena con la cognata di Charles. E’“una bella donna anziana, molto fredda. Mi sono trovato come dentro al cuore del nemico”. Sempre Asselinau confida a Malassis di aver letto alcuni inediti: “Ho appena letto le carte del nostro amico. Non ho trovato nulla di pubblicabile”. Di sicuro, Baudelaire è più vicino alla famiglia nei suoi ultimi anni. Di certo, riempie i quaderni di progetti letterari. Restano alcuni frammenti di drammi. Ed elenchi di titoli. “Il Mantenitore”, su un uomo che mantiene una ballerina.
“Il Pretendente malagascio”. “L’Innamorato della vecchia. Interdetto perché crede ai fantasmi”. “Jeanne e l’automa”. “Il pazzo ragionevole e la bella avventuriera” (“Che orrore e che godimenti nell’amore per una spia, una ladra…” scrive nei “Diari intimi”).
Caroline Aupick non è l’unica donna a vegliare il poeta morente. Félicité non è la sola a conservare segreti. Suzanne Leenhof, la moglie di Manet, suona Wagner al piano per calmarlo. Gli fa visita Apollonie Sabatier, la dama dei salotti culturali, la donna spirituale celebrata in alcune delle poesie più limpide, ma che una sola notte d’amore con Baudelaire fa scendere sulla terra. La carne per Baudelaire non è compatibile con il cielo. E chissà se passa l’italiana Elisa Guerri, o Nierri, o Guerrini, donna misteriosa dai molti nomi, spia e avventuriera, amica della contessa di Castiglione e della Sabatier, che fa da modello alla Sisina della poesia dei “Fiori”; e che sarebbe E. G., la protagonista del progetto di romanzo sulla torbida avventuriera. (Elisa Guerri abitava a rue de Castiglione: tra i nomi delle strade delle amiche del poeta delle “Correspondances” ci sono delle strane corrispondenze: per esempio, la Sabatier, la donna spirituale teneva salotto in un palazzo all’Ile Saint Louis; Jeanne Duval, la carne e i sensi, abitava in rue de la femme sans tete). Vengono a vederlo gli amici, gli scrittori, i critici: quelli che amava, e che lo sottovalutarono sempre. Come Charles Saint-Beuve, di cui Baudelaire scriveva che nelle sue frasi stipava monete d’oro su gusci di noce. E che lo difese solo in via anonima al processo per oscenità dei “Fiori del male”. Il poeta Theodore de Banville: di lui diceva che “non è materialista; è luminoso. La sua poesia rappresenta le ore felici”.
Non renderà un grande servizio alla sua memoria. Baudelaire muore il 31 agosto 1867. Il funerale è il 2 settembre, a Passy. In una lettera del 1890, Verlaine ricorda quel giorno: “Nel momento in cui il feretro scendeva nella fossa, il cielo, che era stato minaccioso tutto il giorno, tuonò, e seguì un diluvio. Si notava molto l’assenza a queste tristi esequie di Theophile Gautier, che il Maestro aveva tanto amato e di M. Le conte de Lisle, che faceva professione di essere suo amico…”.
Nell’asta parigina si fanno notare alcuni curiosi documenti. Sono delle valutazioni scritte da Theodore de Banville, Francois Coppée e Anatole France incaricati di selezionare le poesie per un’antologia della celebre rivista “Parnasse Contemporain”, che uscirà nel 1876. I giudizi su Baudelaire non sono favorevoli. Il più velenoso è Anatole France: “Baudelaire: No. Sarebbe odioso”. L’amico Banville non è più generoso: “Baudelaire: la stampa di questi versi, che siano o no di Baudelaire, sarebbe un sacrilegio”. Coppée è asciutto: “Baudelaire: impossibile”. I fiori malsani cresciuti sui suoi versi facevano ancora paura. Charles Baudelaire, l’impossibile. La sua risata echeggia da più di sei milioni di siti Internet.
«Il Foglio» del 14 luglio 2007
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