Hanno conquistato le classifiche, dominato i premi e ora stringono un patto. Con le peggiori intenzioni
di Cristina Taglietti
Il gruppo di Scurati a Milano, quello di Piperno a Roma Uniti per il successo. L’accusa di Nove: cercano il potere
Milano chiama, Roma risponde: nasce sulla direttrice delle due capitali la nuova mappa del potere culturale italiano. Giovani scrittori uniti da vincoli di solidarietà e amicizia avanzano, si mettono in scena, promuovono e si promuovono l’un l’altro, oscurando il resto del panorama. Da Antonio Scurati ad Alessandro Piperno, da Roberto Saviano a Leonardo Colombati, il catalogo è, negli ultimi tempi, abbastanza ristretto. «C’è effettivamente una nuova generazione di autori, nati dopo il 1960, molto unita» spiega Franco Cordelli, scrittore e critico sempre attento a ciò che si muove sulla scena editoriale. «Appannato il gruppo Einaudi, dove è ormai difficile rintracciare una fisionomia riconoscibile sia nella collana maggiore sia in Stile Libero, tanto che i nomi di rilievo sono rimasti Pincio e Trevisan, il gruppo più attivo è quello romano di "Nuovi Argomenti". Isolatosi Emanuele Trevi, ora c’è un quartetto composto da Alessandro Piperno, Mario Desiati, Leonardo Colombati cui, più recentemente, si è aggiunto Roberto Saviano. All’interno ci sono due poetiche diverse, una che unisce Piperno e Colombati, l’altra Saviano e Desiati. Poi ci sono "solitari" di valore, come Antonio Pascale o Andrea Di Consoli, oppure gruppi "critici", come quello di "Alias"». Al di là delle tematiche letterarie, i quattro di «Nuovi Argomenti » sono tutti amici, si dice che si siano anche dati dei soprannomi legati ad aspetti peculiari della loro personalità, per cui Desiati è diventato il Miserabile, Saviano il Martire, Piperno il Mellifluo e Colombati è Pancotto. «Diciamo che più che condividere un orizzonte letterario comune, siamo compagni di "magnate" - scherza Piperno -. Il fatto che siamo scrittori pare più un caso, anche se è vero che siamo tutti figli di Enzo Siciliano. Desiati e Saviano sono accomunati da origini socio-antropologiche affini: entrambi vengono dal sud, entrambi hanno un atteggiamento militante. Io e Leonardo invece siamo romani, di estrazione borghese, anche se dal punto di vista letterario io preferisco il dramma, lui è più postmoderno». Il gruppo di «Nuovi Argomenti» ha legami molto stretti con Milano. «Sono amico di Antonio Scurati e Giuseppe Genna, anche se ho idee completamente differenti sulla letteratura rispetto a loro - spiega Piperno -. Però tutti e due sono molto diversi dallo scrittore tradizionale, borghese. Hanno ambizioni molto alte, sono degli ideologi, degli intellettuali veri e propri, Genna in un modo folle e vertiginoso, Scurati in modo più razionale». Comunque nel prossimo numero di «Nuovi Argomenti», curato da Piperno e dedicato ai «Demoni», collabora anche Scurati, capofila del polo del Nord. Attorno a lui, legati da un’amicizia che risale ai tempi della Pantera e della Statale di Milano, quando tutti erano studenti di filosofia, ci sono Giuseppe Genna, scrittore e grande animatore della scena online, e Igino Domanin, autore di Gli ultimi giorni di Lucio Battisti. «Scurati, che è un eccellente comunicatore - dice Cordelli - ha fatto un’alleanza strategica con Baricco, e aperture che potrebbero lasciare perplessi, come quella a Pietrangelo Buttafuoco». Alleanze e amicizie che si ricompongo da oggi alla Palazzina Liberty di Milano, dove Scurati, curatore con Alessandro Bertante di «Officina Italia», un vero e proprio festival dell’inedito in cui gli scrittori leggono brani delle opere che stanno creando, ha convocato, insieme agli altri, Baricco, Piperno, Genna, Lucarelli e, appunto, Pietrangelo Buttafuoco. L’intento dell’operazione, lo spiega lo stesso Scurati, è anche di rivendicare la raggiunta maturità di questo nuovo gruppo di autori. «È una generazione che ha conquistato un suo piccolo posto nel mondo, che ha già avuto un certo successo, accomunata da una condizione intellettuale di tipo post ideologico. Anzi, è stato proprio il liberarsi della vecchia zavorra ideologica che, secondo me, ha favorito questa nuova fioritura letteraria. È chiaro che, classificati in base alle vecchie categorie, io, Piperno e Buttafuoco non dovremmo neppure sederci allo stesso tavolo. E invece in un’epoca post ideologica il più ideologico degli scrittori, Buttafuoco, mi costringe al confronto». Scurati non si sottrae al discorso sul potere e ammette che l’operazione è anche frutto del bisogno di imporsi in modo visibile e riconosciuto sulla scena editoriale. «La nostra generazione è rimasta ancora schiacciata da quella formidabile del ‘68 che ha praticamente bruciato la successiva. Quindi, da parte nostra, c’è un sano orgoglio che ha a che fare con una "presa del potere" intellettuale. A Roma i nostri coetanei sono più bravi a crearsi delle posizioni che, pur in ambito ristretto, permettono una gestione del potere. Penso a realtà piccole, ma importanti, come Minimum fax. A Milano, invece, ha sempre prevalso una sorta di etica individualista, nonostante magari esista una forte storia comune». Per Scurati tra loro e la generazione del ‘68 non c’è nulla, e infatti a Officina Italia non c’è traccia di ex cannibali e affini, di autori come Ammaniti, Scarpa, Nove che pure dal ‘96, quando sconvolsero l’editoria, hanno continuato a produrre e percorrere strade alternative. «Non ci sono perché non ho mai trovato significativo il loro lavoro» spiega Scurati. «La verità è che Scurati e Genna sono uomini di potere - ribatte Aldo Nove -. E questa operazione c’entra poco con la letteratura e molto con la volontà di imporsi come caposcuola. I tempi in cui la letteratura si afferma sono molto lunghi e vanno al di là delle iniziative estemporanee. Ci sono due modi per far parlare di sé: uno è l’originalità, il valore del proprio lavoro, l’altro è l’autopromozione. Loro hanno scelto il secondo. Vedremo tra dieci anni che cosa è rimasto». Rispetto a «cannibali» e affini, secondo Nove, i nuovi scrittori sono più furbi: «Nessuno di noi si è mai preoccupato di cercare il potere, nessuno ha mai pensato a questo aspetto del lavoro letterario. Abbiamo usato il nostro tempo scrivendo, nient’altro».
L’incontro «Officina Italia» Parte oggi a Milano, «Officina Italia», festival dedicato alla creatività artistica, ideato e curato da Antonio Scurati e Alessandro Bertante. Alle 22.30 incontro tra Roberto Saviano, Carlo Lucarelli e Carlo Bonini; modera Maurizio Bono. Tema: «La scrittura e la vita. Letteratura e giornalismo nella carne del mondo». Incontri alla Palazzina Liberty.
«Corriere della sera» del 3 maggio 2007
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L’Italia letteraria divisa sui «nuovi padroni»
Scurati: non siamo gruppo di potere. Sanguineti: cannibali più innovativi
Di Cristina Taglietti
Scurati: non siamo gruppo di potere. Sanguineti: cannibali più innovativi
Di Cristina Taglietti
Vitalità intellettuale e comunanza creativa o semplice ricerca del potere? Le dichiarazioni di Aldo Nove sul «Corriere» di giovedì non sono piaciute ad Antonio Scurati e Giuseppe Genna, accusati dall’ex cannibale di ricercare la ribalta mediatica e riconoscimenti istituzionali. L’accusa di Nove prendeva in particolare spunto dall’iniziativa milanese Officina Italia in corso in questi giorni e organizzata dallo stesso Scurati con Alessandro Bertante, che riunisce a Milano scrittori come Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Alessandro Baricco, Pietrangelo Buttafuoco. «Innanzitutto non mi riconosco affatto nel titolo sui "padroni della letteratura" - chiarisce Scurati -. Non siamo certo un "partito". Quella visione del potere ci è totalmente estranea. Semmai siamo un movimento che nasce dal basso, autorganizzato, senza pretese egemoniche. La mia è una visione "agonistica" della cultura che però non si esercita nei confronti di altri scrittori, ma in società, verso i poteri forti o oppressivi. La militanza dello scrittore è lì». L’antagonista di Scurati, in questo senso, è chiaro: «Penso alla generazione del ‘68, una generazione capace e rapace, capace nell’uso del potere simbolico e rapace nell’occupazione dei posti di potere. Nei loro confronti può esserci un sano conflitto generazionale. L’occhio malevolo con cui alcuni guardano a Officina Italia fa parte, invece, di una sterile cultura del risentimento che non mi appartiene». Eppure il giudizio di Scurati, come quello di Genna, sull’esperienza dei cannibali è preciso: «Ho risposto a una domanda sull’assenza dei "cannibali" dall’iniziativa. Stimo l’acume critico di Scarpa, seguo con interesse la narrativa di Ammaniti, ma in quell’etichetta non trovo nulla di significativo. Quella sì fu un’operazione di marketing, calata dall’alto da un potentato editoriale. Einaudi mise insieme un gruppo eterogeneo che, sul terreno letterario, mancava di sostanza comune. Polemizzando con noi, mi dispiace dirlo, Nove fa dell’autobiografia. Noi, al contrario, siamo intellettuali che hanno fatto percorsi individuali, scrivendo molto, in diversi ambiti, e che oggi si ritrovano accomunati da un modello che non è quello della comunità chiusa, ma, al contrario, un modello liberale di società aperta, "ad includendum", non "ad excludendum". La nostra porta è aperta a chiunque, verso l’esterno non verso l’interno. Secondo Giuseppe Genna, poi, «a differenza dei cannibali, questa è una generazione di intellettuali a tutto tondo, che interpreta la complessità del reale, non è un’operazione orchestrata da Balestrini e Barilli. Ma non si tratta solo di noi, ci sono altri, come i Wu Ming a Bologna, dove operano anche Carlo Lucarelli e Valerio Evangelisti, che interpretano bene questo ruolo. Non è che fuori dai riflettori questa generazione non abbia scritto, studiato, lavorato, come fa intendere Nove. L’iniziativa milanese ha il merito di ricostruire un tessuto connettivo culturale che a Milano si era slabbrato. I quattro di Roma hanno rialzato una testata storica, Nuovi Argomenti, che negli ultimi anni nessuno comprava più. Questo non è potere, è condivisione, di cui tutti dovrebbero essere contenti». Il potere semmai è una loro prerogativa, dice Genna: «Sono loro che hanno rubriche sui giornali, dirigono collane, vanno in tv». Ribatte Nove: «Genna prima scriveva che io ero il più bravo scrittore d’Italia, poi ha cambiato idea, forse per compiacere qualcuno più potente. Per quanto riguarda la mia direzione della collana Tea, più che un’operazione di potere è che in dieci anni di lavoro ho acquisito qualche credibilità». Sul ruolo dei cannibali nel panorama culturale recente, Genna concorda sostanzialmente con Scurati: «Il loro era un frizzare dell’intelligenza a vuoto, un puro gesto estetico, una riduzione della letteratura a linguaggio». «Il confronto con la generazione del ‘68 mi sembra un ritorno al passato - commenta Silvia Ballestra che non è una ex cannibale, ma ha rapporti di amicizia con molti di loro -. Quella dei cannibali è un’esperienza storicizzata, con cui fare i conti. Il gruppo di Scurati mi sembra un "clubbino" molto organizzato ma chiuso, lo dimostra il fatto che non ci siano donne a Officina Italia, anche se Scurati, a cui va riconosciuto il merito di esporsi, ha fatto ammenda. È un po’ triste questa visione tutta al maschile e, francamente, anche un po’irrealistica». Chi non è d’accordo con Scurati e Genna sul ruolo dei cannibali all’interno della nostra letteratura è il critico e poeta Edoardo Sanguineti: «È vero che fu un’etichetta appiccicata dall’esterno, ma resta il fatto che quello è l’unico fenomeno letterario degli ultimi decenni. Scrittori come Nove, Scarpa, Ammaniti, o come Rossana Campo e Isabella Santacroce, proposero un modello aggressivo e pieno di ironia, in grado di accendere una luce su un clima davvero nuovo, che rompeva con trent’anni di storielle tutte simili. Anche dal punto di vista dello stile allora emerse una certa sveltezza di scrittura che mi pare molto più efficace di molti romanzi lunghi di oggi, mutuati in modo un po’ meccanico da modelli americani. Dopo non più visto nulla che potesse competere con quell’esperienza. Per quanto riguarda la nuova leva, dalle loro dichiarazioni di poetica mi sembrano molto tranquillizzanti, quasi un ritorno all’ordine». Sul fatto di porsi sulla scena in modo attivo Sanguineti riconosce nell’atteggiamento qualcosa di familiare. «Anche noi, intesi come Gruppo 63, cercavamo di far capire che esistevamo. Eravamo ancora esentati dal dover andare nei talk show. Certo abbiamo avuto subito il sostegno di Feltrinelli, poi di Einaudi, ma non fu una faccenda editoriale. Lo scandalo, la rottura con l’esistente, nel nostro caso, nasceva da ciò che dicevamo e scrivevamo. Si rispondeva con durezza all’establishment, si spaziava dalla prosa alla poesia, dal teatro al cinema. Vediamo che cosa faranno loro. Il tempo giudicherà». E su questo, finalmente, tutti sono d’accordo.
«Corriere della sera» del 5 maggio 2007
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