Dalla Spagna alla Svezia: i nuovi «adulti-bambini» per necessità
di Maria Luisa Agnese
Università e master all' estero poi il lavoro (che non c' è) Così i figli tornano dai genitori
Lucy Tobin è una giovane giornalista freelance inglese, a 24 anni ha già scritto due libri e collabora con testate prestigiose del suo Paese. Tutt' altro che una malinconica bambocciona all' italiana. Eppure proprio il giorno in cui si è brillantemente laureata a Oxford, nel giugno 2008, la sua vita ha cominciato a girare alla rovescia, e in una specie di tormentoso back to the future che condivide con molti della sua generazione, ha dovuto rinunciare all' indipendenza che aveva assaporato negli anni dell' università, è tornata a casa, si è ritrovata a dormire nella sua cameretta di bambina, con la testa sul cuscino dove aveva fatto le prime prove di bacio. «Con Howard, il mio fidanzato, quando studiavamo avevamo un menage quasi matrimoniale, ora ci auguriamo la buonanotte ognuno da casa dei genitori e andiamo a cena fuori una volta la settimana» ha raccontato Lucy in un articolo su The Guardian. E lo stesso vale per le sue amiche. Una di loro ha scritto su Facebook del suo imbarazzo quando il padre di Dave, il suo ragazzo, è entrato in camera la mattina e li ha trovati a letto. «Fra dieci anni ci riderò su, ma per ora è terribile». L' implosione dell' economia mondiale si è abbattuta sulle generazioni post baby boomer del mondo occidentale e adesso per loro l' ultima spiaggia è la speranza di mettere da parte qualcosa per pagarsi presto un mutuo e una nuova casa tutta per sé. È la sindrome del figliol prodigo targato 2010, costretto a tornare indietro suo malgrado, non perché pentito o colto da voglia di bambagia, ma perché colpito dagli spiriti della crisi: niente a che fare insomma con i bamboccioni di Padoa-Schioppa, con il familismo italico che protegge i suoi figli con l' onda lunga dei risparmi. Ormai tutte le famiglie, dall' America alla Spagna e persino alla Svezia Paese modello, sono costrette a fare i conti con i boomerang kids, i figli che sconvolgono il tran tran familiare con la forza di un contraccolpo imprevisto, di nuovo in famiglia dopo aver spiccato il volo per studiare, lavorare, persino sposarsi. Il neologismo globale li ha rinominati Kidults, crasi fra kids, ragazzi, e adults, adulti, costretti dagli eventi in una sorta di limbo sospesi fra l'ebbrezza di un'età adulta che hanno brevemente assaporato, e il ritorno coatto all' infanzia a causa di una situazione economica che penalizza tutti. L' Independent li chiama i nuovi mummy' s boy, figli di mamma: oggi vivono in famiglia più ragazzi in età fra i 25 e i 35 anni che sotto i 25. E il numero di maschi è il doppio rispetto a quello delle femmine. Insomma ovunque, in Europa, ci si sta italianizzando? «Direi che sono bamboccioni per forza» risponde Gian Ettore Gassani, avvocato presidente dell' Ami, associazione matrimonialisti che quotidianamente assiste casi di questo tipo. «A qualcuno, è vero, fa comodo trovarsi di nuovo le camicie lavate dalla mamma, ma la maggior parte soffre questa situazione umiliante e senza prospettive. Sono barboni dello spirito». Ritorno che è egualmente sofferente per entrambi i sessi. Antonella Mancini, ex impiegata romana, è tornata a casa dopo la separazione, ma non sta nella sua ex cameretta. Quella è stata riadattata per il figlio di poco più di due anni che dorme nell'ex lettino di Antonella e gioca con il suo vecchio Topo Gigio, mentre lei è passata con la mamma: «Non mi faccio troppe domande, per ora il mio pensiero primario è lui, il resto passa in secondo piano. E meno male che ci sono i miei genitori». «Una situazione che sarà destinata ad aumentare con la flessibilizzazione del mercato e che bloccherà ulteriormente un'Italia già più mammona di tutti gli altri» avverte Letizia Mencarini, professore di demografia all' Università di Torino. E che soprattutto investe tutti, anche i figli privilegiati. «Sono fuori casa da quando a 14 anni sono andata in collegio in Svizzera; ho fatto uno stage a New York, poi sono tornata nella mia cameretta. È deprimente, uno scombussolamento, anche se lo considero un passaggio, accetto tutti i lavori per essere di nuovo indipendente» dice Federica Giacomotti, 24 anni. «Non sei più abituata a sentire qualcuno che la mattina ti urla qualcosa nell' altra stanza. Così metto da parte i soldi». Anche Andrea Medica, figlio di un urologo ligure, ventiquattrenne che ha fatto un lungo stage di lavoro a Chicago, vive il ritorno come una parentesi. «Non è stata durissima. Anzi all'inizio era anche divertente, avevo tanto da raccontare. Ora però scalpito». Ma almeno c'è la mamma che lava le camicie, non è comodo? «No, quello che mi manca di più è proprio la mia autonomia, là avevo imparato a fare tutto da solo, comprese le lavatrici, e gli amici americani volevano sempre venire a mangiare da me». C' è chi stringe i denti sognando la fuga dall' Italia, attirato da realtà lavorative più premianti e meritocratiche, per quanto impegnative. Ma c' è anche chi ha sperimentato un percorso diverso, di definitivo ritorno a casa, con spiraglio di speranza: Paola Trizio, 34 anni lontano da Bari, prima a New York poi a Milano, per inseguire la sua passione, la fotografia. Adesso è tornata a lavorare in gioielleria con la famiglia: «Per una zingara come me è bello sentirsi protetti. E poi sono contenta perché metto tutta la mia esperienza e la creatività in questo lavoro». Come dire che persino da una rinuncia può nascere un mondo nuovo.
Hanno detto
Antonella Mancini Non mi faccio domande Il primo pensiero è mio figlio. Meno male che ci sono i miei
Hanno detto
Antonella Mancini Non mi faccio domande Il primo pensiero è mio figlio. Meno male che ci sono i miei
Federica Giacomotti Sono fuori casa da quando a 14 anni sono andata in collegio in Svizzera. Ora è uno scombussolamento
Andrea Medica Mi manca la mia autonomia, a Chicago avevo imparato a fare tutto, comprese le lavatrici
Paola Trizio Per una zingara come me è bello sentirsi protetti. Metto a disposizione la mia esperienza
«Corriere della Sera» del 27 febbraio 2010
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