L'ex garante per la privacy commenta la condanna di tre dirigenti per il video delle percosse a un disabile: "Una lettura sbrigativa del provvedimento potrebbe rafforzare chi vuole imporre filtri alla rete"
di Alessio Balbi
"Negli ultimi tempi in Italia si stanno manifestando, nei riguardi di internet, iniziative di tipo censorio che potrebbero essere rafforzate da una lettura sbrigativa della sentenza Google". E' l'allarme di Stefano Rodotà, ex garante per la privacy, dopo la decisione del tribunale di Milano che ha condannato tre dirigenti del colosso americano per il filmato delle percosse a un ragazzo disabile pubblicato su Google Video a fine 2006. David Carl Drummond, George De Los Reyes e Peter Fleitcher sono stati condannati a sei mesi di carcere per violazione della legge sulla privacy.
Professor Rodotà, lei che è stato presidente dell'Authority, può spiegare qual è il reato commesso dai tre dirigenti?
"Sarà fondamentale leggere la motivazione della sentenza, perché se la premessa fosse che Google non ha rimosso tempestivamente il video mettendo in atto un comportamento omissivo, si tratterebbe di una giusta applicazione delle norme vigenti e la sentenza non imporrebbe nessun intervento censorio preventivo da parte dei provider"
Facciamo un po' di storia: il video viene caricato su Google l'8 settembre 2006. Google lo rimuove il 7 novembre. I giornali iniziano a occuparsi della questione il 12 novembre, quindi quando il filmato era già stato rimosso. Come si fa a dire che Google non si è mosso in tempo?
"Vedremo se questo accertamento sui tempi è stato fatto in sede giudiziaria. Si dovrà stabilire se a Google fosse pervenuta una segnalazione o se c'era stato qualche intervento da parte di un'autorità di garanzia. E' utile ricordare che la normativa vigente, in particolare il decreto legislativo 70 del 2003, prevede che il provider non è responsabile per i contenuti immessi dagli utenti, se li rimuove appena viene effettivamente a conoscenza di un fatto illecito"
Il mondo politico sta commentando ampiamente la sentenza, senza conoscerne le motivazioni. C'è il rischio che venga usata come precedente per imporre filtri come quelli che il presidente dell'Agcom, Calabrò, ravvisa nel decreto Romani?
"L'Italia aveva assunto un ruolo di punta nel dibattito internazionale affermando che internet non richiede strumenti di tipo penalistico, ma una Costituzione, un "Internet Bill of Rights". Nell'ultimo periodo, il governo ha abbandonato questa linea, manifestando iniziative di tipo censorio. Ora questo clima potrebbe essere rafforzato da una lettura sbrigativa della sentenza e anche da un'eventuale motivazione del tribunale che non tenesse conto della natura della rete. Ogni giorno su YouTube o su Facebook vengono introdotti centinaia di migliaia di contenuti, e questo esclude possibilità di controlli preventivi come quelli previsti su stampa, radio e tv"
I pm hanno parlato di tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica d'impresa.
"Gli interessi in gioco non sono solo l'iniziativa economica e la dignità, ma anche usare questi strumenti come momento nuovo di manifestazione del pensiero. Ogni forma di comunicazione di massa porta con sé dei rischi, non possiamo buttare l'acqua sporca col bambino. Queste forme di controllo finirebbero con l'uccidere i social network. Segnalo che il video su Google riguardava un disabile. Giorni fa su Facebook è stato chiuso un gruppo contro i disabili. C'è evidentemente in Italia, e non solo, un rifiuto delle persone diverse da noi. Condannando i dirigenti di Google o chiudendo un gruppo su Facebook non abbiamo eliminato problema: se c'è una febbre sociale non la eliminiamo rompendo il termometro. Queste manifestazioni orribili ci segnalano un virus nella società che richiede adeguata attenzione e non si risolve solo con gli interventi della magistratura"
Come valuta le proteste dell'ambasciatore statunitense in Italia?
"L'ambasciatore ha fatto riferimento al recente discorso di Hillary Clinton. Quello è stato un intervento straordinario: non ha ignorato i rischi che ci sono in rete, in particolare per quanto riguarda pedofilia e terrorismo, ma ha ribadito che gli strumenti di tipo repressivo e censorio che cancellano la libertà di manifestazione del pensiero non sono percorribili. Certo, la Clinton parlava di un paese autoritario, la Cina. Ma ci troviamo di fronte a un dilemma antico: poiché libertà di pensiero può trasformarsi in uno strumento aggressivo, la limitiamo. Non vorrei tornare alla diffidenza nei confronti della conoscenza, come in quel sonetto del Belli che si chiude con il prete che dice: "I libri non sò robba da cristiani, figli per carità non li leggete". Questo problema accompagna la modernità da quando la conoscenza è uscita dai circuiti elitari diventando fatto di massa. Una sfida continua da affrontare senza sacrificare posizioni di nessuno".
Professor Rodotà, lei che è stato presidente dell'Authority, può spiegare qual è il reato commesso dai tre dirigenti?
"Sarà fondamentale leggere la motivazione della sentenza, perché se la premessa fosse che Google non ha rimosso tempestivamente il video mettendo in atto un comportamento omissivo, si tratterebbe di una giusta applicazione delle norme vigenti e la sentenza non imporrebbe nessun intervento censorio preventivo da parte dei provider"
Facciamo un po' di storia: il video viene caricato su Google l'8 settembre 2006. Google lo rimuove il 7 novembre. I giornali iniziano a occuparsi della questione il 12 novembre, quindi quando il filmato era già stato rimosso. Come si fa a dire che Google non si è mosso in tempo?
"Vedremo se questo accertamento sui tempi è stato fatto in sede giudiziaria. Si dovrà stabilire se a Google fosse pervenuta una segnalazione o se c'era stato qualche intervento da parte di un'autorità di garanzia. E' utile ricordare che la normativa vigente, in particolare il decreto legislativo 70 del 2003, prevede che il provider non è responsabile per i contenuti immessi dagli utenti, se li rimuove appena viene effettivamente a conoscenza di un fatto illecito"
Il mondo politico sta commentando ampiamente la sentenza, senza conoscerne le motivazioni. C'è il rischio che venga usata come precedente per imporre filtri come quelli che il presidente dell'Agcom, Calabrò, ravvisa nel decreto Romani?
"L'Italia aveva assunto un ruolo di punta nel dibattito internazionale affermando che internet non richiede strumenti di tipo penalistico, ma una Costituzione, un "Internet Bill of Rights". Nell'ultimo periodo, il governo ha abbandonato questa linea, manifestando iniziative di tipo censorio. Ora questo clima potrebbe essere rafforzato da una lettura sbrigativa della sentenza e anche da un'eventuale motivazione del tribunale che non tenesse conto della natura della rete. Ogni giorno su YouTube o su Facebook vengono introdotti centinaia di migliaia di contenuti, e questo esclude possibilità di controlli preventivi come quelli previsti su stampa, radio e tv"
I pm hanno parlato di tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica d'impresa.
"Gli interessi in gioco non sono solo l'iniziativa economica e la dignità, ma anche usare questi strumenti come momento nuovo di manifestazione del pensiero. Ogni forma di comunicazione di massa porta con sé dei rischi, non possiamo buttare l'acqua sporca col bambino. Queste forme di controllo finirebbero con l'uccidere i social network. Segnalo che il video su Google riguardava un disabile. Giorni fa su Facebook è stato chiuso un gruppo contro i disabili. C'è evidentemente in Italia, e non solo, un rifiuto delle persone diverse da noi. Condannando i dirigenti di Google o chiudendo un gruppo su Facebook non abbiamo eliminato problema: se c'è una febbre sociale non la eliminiamo rompendo il termometro. Queste manifestazioni orribili ci segnalano un virus nella società che richiede adeguata attenzione e non si risolve solo con gli interventi della magistratura"
Come valuta le proteste dell'ambasciatore statunitense in Italia?
"L'ambasciatore ha fatto riferimento al recente discorso di Hillary Clinton. Quello è stato un intervento straordinario: non ha ignorato i rischi che ci sono in rete, in particolare per quanto riguarda pedofilia e terrorismo, ma ha ribadito che gli strumenti di tipo repressivo e censorio che cancellano la libertà di manifestazione del pensiero non sono percorribili. Certo, la Clinton parlava di un paese autoritario, la Cina. Ma ci troviamo di fronte a un dilemma antico: poiché libertà di pensiero può trasformarsi in uno strumento aggressivo, la limitiamo. Non vorrei tornare alla diffidenza nei confronti della conoscenza, come in quel sonetto del Belli che si chiude con il prete che dice: "I libri non sò robba da cristiani, figli per carità non li leggete". Questo problema accompagna la modernità da quando la conoscenza è uscita dai circuiti elitari diventando fatto di massa. Una sfida continua da affrontare senza sacrificare posizioni di nessuno".
«La Repubblica» del 25 febbraio 2010
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