di Andrea Maria Candidi e Serena Riselli
Si rassegnino i romantici: la formula del «finché morte non vi separi» sembra non funzionare più e ogni tre matrimoni celebrati uno finisce con una separazione. A dirlo sono i dati più aggiornati a disposizione (quelli del ministero della Giustizia, relativi al primo semestre 2009): quasi 300 coppie sposate ogni mille chiedono la separazione, soprattutto consensuale. E a questa media bisogna aggiungere i 234 divorzi richiesti nel frattempo. Ma qui la crisi era iniziata già da un pezzo.
I dati sulle separazioni presentano forti differenze se si scorre la cartina dell'Italia. Nel Centro-Nord ci si separa di più che al Sud; la regione che fa registrare il tasso maggiore di crisi è il Piemonte (associato alla Valle d'Aosta nella rilevazione) con 418 istanze di separazione ogni mille nozze; mentre i più fedeli risiedono in Basilicata (138 domande ogni mille matrimoni).
Sociologi ed esperti si interrogano sulle cause. La ragione principale è il mutamento della società: «L'idea della separazione è entrata a far parte del senso comune collettivo», spiega Grazia Cesaro dell'Unione nazionale camere minorili. Anche l'emancipazione femminile ha aiutato il processo. «Le donne non hanno più paura di separarsi – aggiunge Bruno Schettini, docente alla Seconda università di Napoli –, hanno più indipendenza economica e meno timore di affrontare la vita senza un compagno». Secondo Marco Albertini, ricercatore in sociologia dei processi culturali presso l'università di Bologna, il trend delle separazioni è dovuto anche al fatto che «in Italia le coppie hanno iniziato a separarsi più tardi rispetto al resto d'Europa. Ci si sposa ancora molto, mentre nel Nord-Europa si preferisce la convivenza».
Mettere fine a un matrimonio, però, non è mai facile. Ci vogliono quattro anni per divorziare, se i coniugi sono d'accordo, che diventano sette se l'intesa non c'è e il percorso diventa giudiziale. Senza considerare i costi di una separazione che, secondo Grazia Cesaro, «porta sempre a un impoverimento, dalla necessità di un'altra casa all'assegno di mantenimento».
Quando la coppia scoppia, la cosa più importante è la tutela dei figli, soprattutto se minori. «Chi si separa dovrebbe per prima cosa tenere conto del bene della prole – dice Laura Laera, presidente dell'Associazione dei giudici della famiglia e minorili (Aimmf) –. Bisognerebbe lavorare per sviluppare una cultura della conciliazione contro quella del conflitto, e le istituzioni dovrebbero farsene carico, anche attraverso strutture di tipo sociale». Per questo, molti pensano che il futuro delle separazioni passi per i centri di mediazione familiare perché, secondo Valeria Riccio, consulente tecnico del Tribunale di Napoli, «il sistema giudiziario da solo non è in grado di affrontare la coppia e la famiglia disfunzionale. Servono centri per le famiglie in difficoltà che abbiano funzioni terapeutiche e di sostegno».
Con la legge 54/06 sull'affido condiviso, il giudice può consigliare (ma non obbligare) le coppie a frequentare un centro di mediazione. Secondo Daniele Marraffa, presidente di sezione al tribunale di Caltanissetta, «sono utili per fornire un primo servizio di assistenza ai minori e alle famiglie. Ma ci sono ancora numerose resistenze di tipo culturale verso questi centri, senza contare che in molti territori mancano le strutture».
C'è chi chiede un intervento del legislatore: «Sarebbe opportuna una legge che preveda l'istituzione di centri di mediazione familiare pubblici o privati – suggerisce Bruno Schettini – e che regoli la figura del mediatore. Esiste già una legge-quadro europea, che però l'Italia non ha ancora sviluppato». Nel frattempo è ancora fermo in Parlamento il Ddl sul divorzio breve (si veda l'articolo a lato). «Oggi le coppie devono affrontare due cause: una per la separazione e una per il divorzio – spiega Bruno De Filippis, giudice presso la Corte d'Appello di Salerno e uno degli ideatori della norma – con un notevole dispendio di tempo e denaro. La nuova normativa vuole semplificare questo processo, rendendolo più veloce». Contrario Daniele Marraffa: «La legge potrebbe avere risvolti negativi per i figli. Per sveltire le pratiche, preferirei aumentare il personale nei tribunali».
I dati sulle separazioni presentano forti differenze se si scorre la cartina dell'Italia. Nel Centro-Nord ci si separa di più che al Sud; la regione che fa registrare il tasso maggiore di crisi è il Piemonte (associato alla Valle d'Aosta nella rilevazione) con 418 istanze di separazione ogni mille nozze; mentre i più fedeli risiedono in Basilicata (138 domande ogni mille matrimoni).
Sociologi ed esperti si interrogano sulle cause. La ragione principale è il mutamento della società: «L'idea della separazione è entrata a far parte del senso comune collettivo», spiega Grazia Cesaro dell'Unione nazionale camere minorili. Anche l'emancipazione femminile ha aiutato il processo. «Le donne non hanno più paura di separarsi – aggiunge Bruno Schettini, docente alla Seconda università di Napoli –, hanno più indipendenza economica e meno timore di affrontare la vita senza un compagno». Secondo Marco Albertini, ricercatore in sociologia dei processi culturali presso l'università di Bologna, il trend delle separazioni è dovuto anche al fatto che «in Italia le coppie hanno iniziato a separarsi più tardi rispetto al resto d'Europa. Ci si sposa ancora molto, mentre nel Nord-Europa si preferisce la convivenza».
Mettere fine a un matrimonio, però, non è mai facile. Ci vogliono quattro anni per divorziare, se i coniugi sono d'accordo, che diventano sette se l'intesa non c'è e il percorso diventa giudiziale. Senza considerare i costi di una separazione che, secondo Grazia Cesaro, «porta sempre a un impoverimento, dalla necessità di un'altra casa all'assegno di mantenimento».
Quando la coppia scoppia, la cosa più importante è la tutela dei figli, soprattutto se minori. «Chi si separa dovrebbe per prima cosa tenere conto del bene della prole – dice Laura Laera, presidente dell'Associazione dei giudici della famiglia e minorili (Aimmf) –. Bisognerebbe lavorare per sviluppare una cultura della conciliazione contro quella del conflitto, e le istituzioni dovrebbero farsene carico, anche attraverso strutture di tipo sociale». Per questo, molti pensano che il futuro delle separazioni passi per i centri di mediazione familiare perché, secondo Valeria Riccio, consulente tecnico del Tribunale di Napoli, «il sistema giudiziario da solo non è in grado di affrontare la coppia e la famiglia disfunzionale. Servono centri per le famiglie in difficoltà che abbiano funzioni terapeutiche e di sostegno».
Con la legge 54/06 sull'affido condiviso, il giudice può consigliare (ma non obbligare) le coppie a frequentare un centro di mediazione. Secondo Daniele Marraffa, presidente di sezione al tribunale di Caltanissetta, «sono utili per fornire un primo servizio di assistenza ai minori e alle famiglie. Ma ci sono ancora numerose resistenze di tipo culturale verso questi centri, senza contare che in molti territori mancano le strutture».
C'è chi chiede un intervento del legislatore: «Sarebbe opportuna una legge che preveda l'istituzione di centri di mediazione familiare pubblici o privati – suggerisce Bruno Schettini – e che regoli la figura del mediatore. Esiste già una legge-quadro europea, che però l'Italia non ha ancora sviluppato». Nel frattempo è ancora fermo in Parlamento il Ddl sul divorzio breve (si veda l'articolo a lato). «Oggi le coppie devono affrontare due cause: una per la separazione e una per il divorzio – spiega Bruno De Filippis, giudice presso la Corte d'Appello di Salerno e uno degli ideatori della norma – con un notevole dispendio di tempo e denaro. La nuova normativa vuole semplificare questo processo, rendendolo più veloce». Contrario Daniele Marraffa: «La legge potrebbe avere risvolti negativi per i figli. Per sveltire le pratiche, preferirei aumentare il personale nei tribunali».
«Il Sole 24 Ore» del 15 Febbraio 2010
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