Il mito nato dalla Rivoluzione francese è in crisi, mentre si rivaluta la via americana: parla il sociologo Luca Diotallevi
di Paolo Viana
Come ti smonto il mito della laicità, partendo da Hobbes, passando per la Gloriosa Rivoluzione inglese di fine Seicento, fino ad arrivare al Vaticano II: è la sfida lanciata da Luca Diotallevi nel libro Un’alternativa alla laicità (edizioni Rubbettino, pagine 260, euro 14), con il quale il sociologo analizza la genesi dell’idea giacobina di laicità, ne rintraccia i legami con l’assolutismo, la contrappone alla tradizione anglosassone della religious freedom e infine si interroga sulla relazione tra cattolicesimo e crisi della laicità. Per concludere che «la laicità va relativizzata», come argomenta in quest’intervista.
Chi ammette la crisi della laicità, sovente la spiega con la rinascita della religione. Quest’opposizione esiste veramente?
«È un’opposizione debole, sia perchè chi osserva, empiricamente, il ritorno delle religioni dovrebbe ammettere che si tratta di un fenomeno dalle dimensioni più ridotte di quelle che servirebbero per provocare da sole la crisi della laicità, sia perché chi riduce il problema all’interdipendenza tra questi due fenomeni si dimostra subalterno allo schema della laicità che contrappone modernità e religione. A mio parere, invece, vi è spazio per una critica ancor più radicale della laicità e parte dall’esistenza, nella stessa modernità, di un modello di separazione dei poteri politici da quelli religiosi non solo diverso ma alternativo - a quello della laicità di matrice giacobino. Parlo della religious freedom anglosassone».
Cosa le separa?
«Un muro. Come insegnava Thomas Jefferson, quello che divide politica e religione nel caso della
laïcité separa pubblico e privato, mentre quello della religious freedom corre all’interno dello spazio pubblico. Le conseguenze sono enormi: nel primo caso di attua una privatizzazione della religione che può dettare norme etiche solo nel campo privato, mentre alla politica è riservato il compito di dominare tutto il mondo pubblico. Questo passaggio è particolarmente costoso per il cristianesimo ».
Perché la rinascita delle religioni non dovrebbe mettere in tensione il principio di libertà religiosa esattamente come avviene per quello di laicità?
«Perché la religious freedom postula la stessa dignità pubblica per tutte le istituzioni: governo, parlamento, ma anche impresa, chiesa, famiglia... Lo Stato si occupa dell’ordine pubblico, le altre istituzioni hanno il loro spazio e l’emergere di un’istanza non pregiudica la tenuta del modello. Al contrario, nel regime 'francese' sopravvive solo lo Stato, che fagocita tutto quanto, diritto compreso, completando il processo noto come 'assolutismo'. Tutto ciò ha caratteristiche premoderne piuttosto che moderne, per la pretesa della politica di controllare tutti gli aspetti della società e di renderla omogenea».
Ammesso che sia così, il principio francese di laicità resta comunque più familiare all’ordinamento europeo di quello 'americano'.
«Le radici della religious freedom, celebrata dall’ordinamento statunitense, affondano nella rivoluzione inglese: nasce con la Gloriosa rivoluzione e non con i padri pellegrini. Quell’esperienza politica si concluse senza separare lo spazio pubblico dalla religione, come fecero invece i francesi; del resto, non dimentichiamolo, l’humus era diverso, cioè gli anglicani erano molto più vicini ai cattolici di quanto non lo fossero i riformati francesi. A partire dal 1600 si svilupparono comunque due storie politiche e giuridiche parallele: in quella francese prevalse il re, in quella inglese, poi esportata negli Usa, il Parlamento, con una diversa dignità assegnata al fenomeno religioso nella società. Sul piano giuridico, in Francia, il diritto viene assimilato alla legge dello Stato, mentre nei regimi di common law si riconosce l’esistenza di diritti che in molti casi precedono la legge. A parte il fatto che l’Inghilterra fa parte della storia europea nè più nè meno della Francia, questo secondo approccio lo ritroviamo sia nella storia italiana che in quella comunitaria.
La Costituente infatti attenuerà l’assolutismo dello Stato fascista con innesti di diritto comune e attraverso il riconoscimento di una pluralità di ordinamenti, come si evince da tanti articoli della prima parte del testo. La stessa ispirazione è poi alla base del processo di integrazione europea: la rintracciamo nella creazione della Ceca, con cui fu sottratta una quota di sovranità statale sull’utilizzo delle materie, sovranità che era stata tra l’altro all’origine di due guerre mondiali».
In altre parole, la laicità non è il fulcro del nostro ordinamento e della modernità, ma un corpo estraneo?
«È il frutto della Francia moderna, tutto qui, la quale è solo una parte, e neppure la più in salute, del patrimonio culturale e sociale europeo. Il peso che si assegna nella Costituzione italiana ad elementi come la famiglia, il mercato, la stessa libertà religiosa è in contrasto con il modello assolutista mentre almeno tendenzialmente è in linea con quello poliarchico, sul quale la Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II si esprime chiaramente e che viene richiamato anche dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI. La laicità non può pertanto sottrarsi alla propria crisi richiamandosi alla tradizione 'monarchica' europeo-continentale, perché esiste una tradizione polarchica altrettanto europea; né contrapponendo modernità e religione, perchè esiste un filone altrettanto moderno che non postula la privatizzazione del sentimento religioso. Come evidenziarono, affrontando il tema della libertà religiosa in ambito conciliare, John Courtney Murray e Pietro Pavan».
«È un’opposizione debole, sia perchè chi osserva, empiricamente, il ritorno delle religioni dovrebbe ammettere che si tratta di un fenomeno dalle dimensioni più ridotte di quelle che servirebbero per provocare da sole la crisi della laicità, sia perché chi riduce il problema all’interdipendenza tra questi due fenomeni si dimostra subalterno allo schema della laicità che contrappone modernità e religione. A mio parere, invece, vi è spazio per una critica ancor più radicale della laicità e parte dall’esistenza, nella stessa modernità, di un modello di separazione dei poteri politici da quelli religiosi non solo diverso ma alternativo - a quello della laicità di matrice giacobino. Parlo della religious freedom anglosassone».
Cosa le separa?
«Un muro. Come insegnava Thomas Jefferson, quello che divide politica e religione nel caso della
laïcité separa pubblico e privato, mentre quello della religious freedom corre all’interno dello spazio pubblico. Le conseguenze sono enormi: nel primo caso di attua una privatizzazione della religione che può dettare norme etiche solo nel campo privato, mentre alla politica è riservato il compito di dominare tutto il mondo pubblico. Questo passaggio è particolarmente costoso per il cristianesimo ».
Perché la rinascita delle religioni non dovrebbe mettere in tensione il principio di libertà religiosa esattamente come avviene per quello di laicità?
«Perché la religious freedom postula la stessa dignità pubblica per tutte le istituzioni: governo, parlamento, ma anche impresa, chiesa, famiglia... Lo Stato si occupa dell’ordine pubblico, le altre istituzioni hanno il loro spazio e l’emergere di un’istanza non pregiudica la tenuta del modello. Al contrario, nel regime 'francese' sopravvive solo lo Stato, che fagocita tutto quanto, diritto compreso, completando il processo noto come 'assolutismo'. Tutto ciò ha caratteristiche premoderne piuttosto che moderne, per la pretesa della politica di controllare tutti gli aspetti della società e di renderla omogenea».
Ammesso che sia così, il principio francese di laicità resta comunque più familiare all’ordinamento europeo di quello 'americano'.
«Le radici della religious freedom, celebrata dall’ordinamento statunitense, affondano nella rivoluzione inglese: nasce con la Gloriosa rivoluzione e non con i padri pellegrini. Quell’esperienza politica si concluse senza separare lo spazio pubblico dalla religione, come fecero invece i francesi; del resto, non dimentichiamolo, l’humus era diverso, cioè gli anglicani erano molto più vicini ai cattolici di quanto non lo fossero i riformati francesi. A partire dal 1600 si svilupparono comunque due storie politiche e giuridiche parallele: in quella francese prevalse il re, in quella inglese, poi esportata negli Usa, il Parlamento, con una diversa dignità assegnata al fenomeno religioso nella società. Sul piano giuridico, in Francia, il diritto viene assimilato alla legge dello Stato, mentre nei regimi di common law si riconosce l’esistenza di diritti che in molti casi precedono la legge. A parte il fatto che l’Inghilterra fa parte della storia europea nè più nè meno della Francia, questo secondo approccio lo ritroviamo sia nella storia italiana che in quella comunitaria.
La Costituente infatti attenuerà l’assolutismo dello Stato fascista con innesti di diritto comune e attraverso il riconoscimento di una pluralità di ordinamenti, come si evince da tanti articoli della prima parte del testo. La stessa ispirazione è poi alla base del processo di integrazione europea: la rintracciamo nella creazione della Ceca, con cui fu sottratta una quota di sovranità statale sull’utilizzo delle materie, sovranità che era stata tra l’altro all’origine di due guerre mondiali».
In altre parole, la laicità non è il fulcro del nostro ordinamento e della modernità, ma un corpo estraneo?
«È il frutto della Francia moderna, tutto qui, la quale è solo una parte, e neppure la più in salute, del patrimonio culturale e sociale europeo. Il peso che si assegna nella Costituzione italiana ad elementi come la famiglia, il mercato, la stessa libertà religiosa è in contrasto con il modello assolutista mentre almeno tendenzialmente è in linea con quello poliarchico, sul quale la Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II si esprime chiaramente e che viene richiamato anche dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI. La laicità non può pertanto sottrarsi alla propria crisi richiamandosi alla tradizione 'monarchica' europeo-continentale, perché esiste una tradizione polarchica altrettanto europea; né contrapponendo modernità e religione, perchè esiste un filone altrettanto moderno che non postula la privatizzazione del sentimento religioso. Come evidenziarono, affrontando il tema della libertà religiosa in ambito conciliare, John Courtney Murray e Pietro Pavan».
«Avvenire» del 13 febbraio 2010
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