L'orgoglio della carta contro l'iPad
di Luca Goldoni
Preferisco le pagine perché posso farci le orecchie
Pietà! Ho appena acquistato l'iPhone e annaspo nella sua schermata di icone (giochi, messaggi, immagini, Internet, YouTube, foto, Gps, mappe, Borsa, musica scaricabile, ecc.). Non mi sono ancora assuefatto ai tasti telefonici virtuali che basta sfiorarli e ti mettono fulmineamente in comunicazione con ignari interlocutori. Mi sono appena familiarizzato con un terzo, sì e no, dei servizi offerti (come un taxista che usi una Lamborghini). E mi sento aggredire dal nuovissimo iPad, l'ultima diavoleria con una ulteriore concentrazione di magie tecnologiche, per esempio una vasta biblioteca digitale fra cui scegliere romanzi e saggi. A questo punto non scriverò il solito elogio del libro tradizionale celebrando la sua «fisicità» (il fruscio delle pagine, il sentore della vecchia carta, l'odore di colla della rilegatura). E neppure m'inchinerò al primato ecologico del libro elettronico (per fabbricarlo neppure un ramo d'albero abbattuto e per trasportarlo neppure un Tir inquinante, basta un tasto per fiondarlo da una parte all' altra del pianeta). Mi limiterò a illustrare due motivi biecamente utilitari per cui continuerò ad adorare il libro di carta e a bocciare l'altro, «liofilizzato» come le fiorentine degli astronauti.
Motivo n. 1. Il grande Gillo Dorfles confessa in un' intervista di preferire ai segnalibri l'orecchietta alla pagina e di martirizzare il testo sottolineando e commentando con punti esclamativi o interrogativi. Spiega che aiutano la sua memoria visiva. Se esistesse sul telecomando un tasto «interactiv» avrei abbracciato Dorfles perché, se qualcosa può avvicinare il pigmeo che sono io al gigante che è lui, sono proprio le sconvenienti orecchiette e la memoria visiva. Da studente sottolineavo furiosamente, nella convinzione che un concetto o una data, debitamente evidenziati, si trasferissero automaticamente nella mia memoria. Senonché finivo col sottolineare tutto e rischiavo di imprimermi bene in testa solo le frasi non sottolineate, per esempio «non si può non osservare che». Oggi, pur distribuendo commenti con maggior sobrietà, riesco benissimo a orientarmi nel già letto e, grazie a questa «personalizzazione», ho l' alibi per stroncare il fenomeno dei libri che prestiamo e che non rivedremo più, perché ce ne dimentichiamo noi e il destinatario: «L'ho scarabocchiato con note personali che ti disturberebbero nella lettura».
Motivo n. 2. Proprio su queste colonne ho esaminato tempo fa i vari stili di lettura. Tutto è cominciato quando, digitando Google, mi sono azzardato a porre il quesito «leggere a letto» e - tenetevi forte - ho scoperto 632 mila voci. Si va dalle confessioni («Per me non leggere a letto significa non esistere») alle invenzioni per rendere tale consuetudine più confortevole (un piccolo leggio collegato a un faretto posteriore «che non disturba il coniuge» oppure le «pagine luminose» brevettate dal dottor Haito dell' Università di Edimburgo). Da non credere.
È una vita che i libri li leggo soltanto a letto: ne ignoro i motivi anatomici e metabolici, ma so di essere uno dei 600 mila. Ecco dunque il mio manuale di lettura orizzontale: se il libro è un tascabile ci si pianta il pollice in mezzo e si procede senza problemi. Ma se è massiccio bisogna ricorrere a tecniche defatiganti: per esempio, lo si appoggia «a L» sul cuscino e ci si mette di fianco. Però si legge solo la pagina verticale e per passare alla successiva si deve spostare la «L» sull'altra parte del cuscino e torcere il collo in quella direzione. Se la rilegatura lo consente, si tenta di piegare il volume a tenda canadese. Dopo una decina di pagine e di relativi esercizi, generalmente ci si mette supini e si alza il libro, impugnandolo a braccia tese come un volante. Ma è una posizione in cui si resiste pochissimo. Allora si abbassa il libro appoggiandolo sullo sterno e si flette la testa fino al cric dell' epistrofeo. A questo punto si prova a pancia in giù, prima appoggiati ai gomiti con la colonna vertebrale tesa come una balestra, poi col libro sul pavimento, metà faccia sul cuscino e solo un occhio utilizzabile. Dopo di che, si ricomincia: libro a L, «a V» rovesciata, paralume di tre quarti a destra, ecc. In genere, dopo un quarto d' ora di questo estenuante kamasutra libresco, mi addormento, mi cade il libro, mia moglie mi toglie gli occhiali e spegne la luce. Bene. Mi chiedo che accadrebbe se piombasse sul pavimento da 70 cm d'altezza il fragile sofisticatissimo romanzo elettronico. Quanto ricaverei dalla sua rottamazione o dalla supervalutazione di un usato che vale zero? È certo che non mi posso permettere di perdere 7/800 euro per notte.
«Corriere della Sera» del 27 febbraio 2010
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