Sì, Merisi dipinse i popolani, ma non per scelta di classe Voleva portare la santità al livello dell’umano, perciò piacque all’arte della Controriforma
di Michele Dolz
Caravaggio come Marx: l’uno rivoluzionario sul piano estetico, l’altro sul piano filosofico. Così Roberto Gramiccia firmava un recente articolo su Liberazione , a proposito della mostra di Merisi a Roma. Sullo sfondo sempre il recupero sociale del popolo. Non per fare polemica, anche perché la grande arte ha sempre lasciato al fruitore ampi spazi d’interpretazione; per questo è arte vera. Ma un volo pindarico così audace (e gratuito) arricchisce senz’altro il già complesso catalogo esegetico di Caravaggio. Non credo sia possibile parlare di rivoluzioni estetiche prima del Novecento, perché nessuno dei geni, e dei movimenti che spesso hanno generato, ha rinnegato le istanze estetiche precedenti ma ne ha, per così dire, accelerato lo sviluppo. Pensiamo a Giotto, che all’alba del Trecento incanta con il suo naturalismo, con una profondità psicologica non raggiunta prima. Oppure a Michelangelo, che portò a esaltazione la comune riscoperta umanistica del corpo. Giotto ottenne il plauso di tutti. Michelangelo di quasi tutti, infatti fu a capo della Fabbrica di San Pietro e venne idolatrato dagli intellettuali del tempo, Vasari in testa. Non andò diversamente, leggende a parte, con Caravaggio: giunto a Roma nel 1592 (se stiamo alle datazioni tradizionali), dopo un primo periodo di stenti e una sorta di apprendistato presso il Cavalier d’Arpino, nel 1595 era già sotto l’ala del cardinal Del Monte, il quale «ridusse in buono stato Michele e lo sollevò dandogli luogo onorato in casa fra i gentiluomini ». Seguirono la fama tra i palazzi romani e le commissioni importanti e copiose. Naturale che la novità della sua pittura producesse polemiche. Ma il numero di tele rifiutate è proprio esiguo, di certo inferiore alla media. La «Conversione di Saulo» Odescalchi, per dire della più famosa, non fu probabilmente rifiutata, ma alla morte del committente seguirono nuovi accordi e il genio reimpostò completamente il dipinto. La Vergine morta come donna annegata nel Tevere è ritenuta oggi inattendibile dagli studiosi. Certo il suo temperamento rissoso, le querele, gli arresti per abuso di armi e il famoso «fattaccio» danno solo l’idea di un tipo inquieto, non di uno in rivolta contro alcuna istituzione. Anzi, scappando Merisi va a cercare rifugio presso altri potenti. Ad aiutarlo a fuggire da Roma fu il principe Filippo I Colonna, che gli offrì asilo in uno dei suoi feudi laziali. E poi a Napoli sempre sotto la protezione dei Colonna. Poi la Sicilia e poi Malta, dove venne investito «Cavaliere di grazia». Furono periodi di produzione feconda e serena, anzi in continuo perfezionamento espressivo e approfondimento umano. Un ulteriore litigio all’interno dell’Ordine gli costò l’espulsione. I piedi sporchi del popolano in primo piano: questa sì che è una novità, forse più importante del famoso chiaroscuro. Che la gente del popolo abbia preso il posto degli apostoli e dei discepoli; che Pietro assomigli troppo al calzolaio dell’angolo o quelli di Emmaus agli osti dei locali che frequentava. Perfino la Madonna diventa donna, alla mano e spesso popolana anche lei. Ma questo ha una lettura teologica possibile: la santità s’incarna, è roba di chiunque, non esistono esseri speciali tra cielo e terra. E non invano Caravaggio lasciò impostata l’arte della famigerata Controriforma.
«Avvenire» del 25 febbraio 2010
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