21 febbraio 2010

Morale fai-da-te Così dilaga la piccola corruzione

De Rita: ecco i cattivi frutti del «liberatevi da...»
di Danilo Paolini
Tredici anni fa, in occasione di u­no scandalo della sanità esploso a Milano, disse che «il gene e­goista non è solo dei politici, è antica la contaminazione della corruzione, si è ridotta la lealtà verso la collettività e si pensa al particulare ». Oggi, di fronte al riproporsi della questione morale, Giu­seppe De Rita ricomincia da lì. Di nuo­va Tangentopoli non vuol sentire par­lare. Vede invece il diffondersi di una «piccola corruzione». Piccolo il taglio delle banconote («le cronache riferisco­no di arresti per 5 o 10mila euro», osser­va), piccola la statu­ra morale dei prota­gonisti, piccole le motivazioni che li muovono. Il rischio della «contamina­zione » è vivo più che mai, perché «è aumentata l’auto­nomia del giudizio personale: la corru­zione è un peccato dal quale i singoli si autoassolvono».
Ed è anche un reato...
Esatto. Il problema sta proprio nella soggettivizzazione del reato e del pec­cato. Quante volte sentiamo dire, da u­na persona ripresa per la sua condotta: «Sì, l’ho fatto, ma non l’ho sentito co­me peccato». Così accade per il reato. Diventa soggettivo. Ci sono pubblici amministratori che si mettono in tasca la 'mazzetta' e percepiscono la cosa come normale, o al limite come una questione da rimettere al proprio giu­dizio interno e personale. Sono convinti che altri non possano giudicarli, non ri­conoscono l’autorità esterna. Questo soggettivismo etico è cresciuto negli ul­timi 20 o 30 anni di storia italiana.
Ma quando sono politici o funzionari pubblici a comportarsi così, non c’è il rischio d’infondere nei cittadini un senso di sfiducia verso le istituzioni?
Guardi, sono convinto che le respon­sabilità della contaminazione non sia­no riconducibili solo alla sfera politica. Il soggettivismo etico è il frutto di un processo sociale, in grado di contagia­re chiunque. Con questo non voglio di­re che noi italiani siamo 60 milioni di furbacchioni (ma il termine utilizzato dal professore è più romanesco e più colorito, ndr ), me ne guardo bene. In­tendo sottolineare che quando la cor­ruzione diventa «piccola corruzione» (il regalo di Natale, l’orologio, la escort...) porta con sé il rischio grave dell’au­toassoluzione. Magari, dopo aver fatto cose del genere, non ci si va neanche a confessare, figuriamoci se si pensa di aver commesso un reato!
Una legge «fai da te», insomma...
Già. Tante persone ritengono soggetti­ve le norme morali e quelle giuridiche. Così non c’è più regola, ma solo il mio giudizio sulla regola. È il clima che si va affermando: la devianza intesa come li­bertà, come momento di autonomia del proprio io.
E di chi sono le responsabilità di que­sto clima?
Io vedo tre cause. La prima è che non ci sono più modelli di comportamento, di moralità personale. In altri Paesi ci sono antiche tradizioni di questo tipo, penso al funzionario pubblico france­se o al militare prussiano. Qui in Italia ogni volta che si parla di rilancio dei va­lori, si ha paura di cadere nella retori­ca. Invece le indicazioni di cultura alta servono. La seconda causa è l’assenza, su questo fronte, di corpi intermedi: i partiti e i sindacati, una volta, erano scuole di moralità. Lo abbiamo visto negli anni bui del terrorismo, quando il sindacato si schierò immediatamen­te contro. Era un corpo intermedio che riteneva necessarie e irrinunciabili al­cune regole, come quelle della fabbri­ca e della lealtà tra lavoratori. Oggi tut­ti i corpi intermedi, dal­l’associazione indu­striali della più piccola delle province al più grande dei sindacati, non sono più capaci di dettare efficaci norme di comportamento.
Però Confindustria, partendo dalla Sicilia, ha dato un segnale im­portante con l’espulsione degli im­prenditori che pagano il 'pizzo' o che non denunciano i tentativi d’estorsio­ne.
Probabilmente quello è l’unico esem­pio che si può fare. Ma è un segnale, ap­punto.
La terza causa della «piccola corruzio­ne »?
Consiste nel fatto che la politica, da di­versi decenni, ha adottato come con­cetto di fondo la libertà individuale sfre­nata. Quanto tempo è che in Italia si fa la politica del «siate voi stessi»? Arric­chitevi, siate voi stessi. Liberatevi dalle tradizioni, siate voi stessi. Liberatevi dalla moglie, siate voi stessi. Liberatevi dalla religione, siate voi stessi. E così via.
Quindi, non siamo di fronte a una nuo­va Tangentopoli?
Non scherziamo. Tangentopoli fu ca­ratterizzata da ambiguità e miserie, tut­te da condannare senza esitazione. Ma aveva anche un altro aspetto: in fondo tutti sapevamo che i soldi raccolti ille­galmente servivano, oltre che per man­tenere gli apparati di partito, per finan­ziare gli anticomunisti in Polonia, o per sostenere i socialisti in Portogallo op­pure in Grecia. Voglio dire che il dena­ro di Tangentopoli, in genere, era usa­to per fini politici, non per comprarsi la macchina nuova. Oggi non vedo alcun obiettivo politico dietro la corruzione. Né vedo, per la verità, un partito che abbia l’ambizione di fare politica inter­nazionale.
Professore, che misure inserirebbe nel disegno di legge anticorruzione an­nunciato dal governo?
Eviterei un provvedimento di quel tipo. Cercherei invece di agire quotidiana­mente e in maniera mirata laddove c’è un potere vero: se c’è corruzione nella pubblica amministrazione, già esisto­no gli strumenti di controllo e di vigi­lanza per combatterla seriamente.
«Avvenire» del 21 febbraio 2010

Nessun commento: