De Rita: ecco i cattivi frutti del «liberatevi da...»
di Danilo Paolini
Tredici anni fa, in occasione di uno scandalo della sanità esploso a Milano, disse che «il gene egoista non è solo dei politici, è antica la contaminazione della corruzione, si è ridotta la lealtà verso la collettività e si pensa al particulare ». Oggi, di fronte al riproporsi della questione morale, Giuseppe De Rita ricomincia da lì. Di nuova Tangentopoli non vuol sentire parlare. Vede invece il diffondersi di una «piccola corruzione». Piccolo il taglio delle banconote («le cronache riferiscono di arresti per 5 o 10mila euro», osserva), piccola la statura morale dei protagonisti, piccole le motivazioni che li muovono. Il rischio della «contaminazione » è vivo più che mai, perché «è aumentata l’autonomia del giudizio personale: la corruzione è un peccato dal quale i singoli si autoassolvono».
Ed è anche un reato...
Esatto. Il problema sta proprio nella soggettivizzazione del reato e del peccato. Quante volte sentiamo dire, da una persona ripresa per la sua condotta: «Sì, l’ho fatto, ma non l’ho sentito come peccato». Così accade per il reato. Diventa soggettivo. Ci sono pubblici amministratori che si mettono in tasca la 'mazzetta' e percepiscono la cosa come normale, o al limite come una questione da rimettere al proprio giudizio interno e personale. Sono convinti che altri non possano giudicarli, non riconoscono l’autorità esterna. Questo soggettivismo etico è cresciuto negli ultimi 20 o 30 anni di storia italiana.
Ma quando sono politici o funzionari pubblici a comportarsi così, non c’è il rischio d’infondere nei cittadini un senso di sfiducia verso le istituzioni?
Guardi, sono convinto che le responsabilità della contaminazione non siano riconducibili solo alla sfera politica. Il soggettivismo etico è il frutto di un processo sociale, in grado di contagiare chiunque. Con questo non voglio dire che noi italiani siamo 60 milioni di furbacchioni (ma il termine utilizzato dal professore è più romanesco e più colorito, ndr ), me ne guardo bene. Intendo sottolineare che quando la corruzione diventa «piccola corruzione» (il regalo di Natale, l’orologio, la escort...) porta con sé il rischio grave dell’autoassoluzione. Magari, dopo aver fatto cose del genere, non ci si va neanche a confessare, figuriamoci se si pensa di aver commesso un reato!
Una legge «fai da te», insomma...
Già. Tante persone ritengono soggettive le norme morali e quelle giuridiche. Così non c’è più regola, ma solo il mio giudizio sulla regola. È il clima che si va affermando: la devianza intesa come libertà, come momento di autonomia del proprio io.
E di chi sono le responsabilità di questo clima?
Io vedo tre cause. La prima è che non ci sono più modelli di comportamento, di moralità personale. In altri Paesi ci sono antiche tradizioni di questo tipo, penso al funzionario pubblico francese o al militare prussiano. Qui in Italia ogni volta che si parla di rilancio dei valori, si ha paura di cadere nella retorica. Invece le indicazioni di cultura alta servono. La seconda causa è l’assenza, su questo fronte, di corpi intermedi: i partiti e i sindacati, una volta, erano scuole di moralità. Lo abbiamo visto negli anni bui del terrorismo, quando il sindacato si schierò immediatamente contro. Era un corpo intermedio che riteneva necessarie e irrinunciabili alcune regole, come quelle della fabbrica e della lealtà tra lavoratori. Oggi tutti i corpi intermedi, dall’associazione industriali della più piccola delle province al più grande dei sindacati, non sono più capaci di dettare efficaci norme di comportamento.
Però Confindustria, partendo dalla Sicilia, ha dato un segnale importante con l’espulsione degli imprenditori che pagano il 'pizzo' o che non denunciano i tentativi d’estorsione.
Probabilmente quello è l’unico esempio che si può fare. Ma è un segnale, appunto.
La terza causa della «piccola corruzione »?
Consiste nel fatto che la politica, da diversi decenni, ha adottato come concetto di fondo la libertà individuale sfrenata. Quanto tempo è che in Italia si fa la politica del «siate voi stessi»? Arricchitevi, siate voi stessi. Liberatevi dalle tradizioni, siate voi stessi. Liberatevi dalla moglie, siate voi stessi. Liberatevi dalla religione, siate voi stessi. E così via.
Quindi, non siamo di fronte a una nuova Tangentopoli?
Non scherziamo. Tangentopoli fu caratterizzata da ambiguità e miserie, tutte da condannare senza esitazione. Ma aveva anche un altro aspetto: in fondo tutti sapevamo che i soldi raccolti illegalmente servivano, oltre che per mantenere gli apparati di partito, per finanziare gli anticomunisti in Polonia, o per sostenere i socialisti in Portogallo oppure in Grecia. Voglio dire che il denaro di Tangentopoli, in genere, era usato per fini politici, non per comprarsi la macchina nuova. Oggi non vedo alcun obiettivo politico dietro la corruzione. Né vedo, per la verità, un partito che abbia l’ambizione di fare politica internazionale.
Professore, che misure inserirebbe nel disegno di legge anticorruzione annunciato dal governo?
Eviterei un provvedimento di quel tipo. Cercherei invece di agire quotidianamente e in maniera mirata laddove c’è un potere vero: se c’è corruzione nella pubblica amministrazione, già esistono gli strumenti di controllo e di vigilanza per combatterla seriamente.
Ed è anche un reato...
Esatto. Il problema sta proprio nella soggettivizzazione del reato e del peccato. Quante volte sentiamo dire, da una persona ripresa per la sua condotta: «Sì, l’ho fatto, ma non l’ho sentito come peccato». Così accade per il reato. Diventa soggettivo. Ci sono pubblici amministratori che si mettono in tasca la 'mazzetta' e percepiscono la cosa come normale, o al limite come una questione da rimettere al proprio giudizio interno e personale. Sono convinti che altri non possano giudicarli, non riconoscono l’autorità esterna. Questo soggettivismo etico è cresciuto negli ultimi 20 o 30 anni di storia italiana.
Ma quando sono politici o funzionari pubblici a comportarsi così, non c’è il rischio d’infondere nei cittadini un senso di sfiducia verso le istituzioni?
Guardi, sono convinto che le responsabilità della contaminazione non siano riconducibili solo alla sfera politica. Il soggettivismo etico è il frutto di un processo sociale, in grado di contagiare chiunque. Con questo non voglio dire che noi italiani siamo 60 milioni di furbacchioni (ma il termine utilizzato dal professore è più romanesco e più colorito, ndr ), me ne guardo bene. Intendo sottolineare che quando la corruzione diventa «piccola corruzione» (il regalo di Natale, l’orologio, la escort...) porta con sé il rischio grave dell’autoassoluzione. Magari, dopo aver fatto cose del genere, non ci si va neanche a confessare, figuriamoci se si pensa di aver commesso un reato!
Una legge «fai da te», insomma...
Già. Tante persone ritengono soggettive le norme morali e quelle giuridiche. Così non c’è più regola, ma solo il mio giudizio sulla regola. È il clima che si va affermando: la devianza intesa come libertà, come momento di autonomia del proprio io.
E di chi sono le responsabilità di questo clima?
Io vedo tre cause. La prima è che non ci sono più modelli di comportamento, di moralità personale. In altri Paesi ci sono antiche tradizioni di questo tipo, penso al funzionario pubblico francese o al militare prussiano. Qui in Italia ogni volta che si parla di rilancio dei valori, si ha paura di cadere nella retorica. Invece le indicazioni di cultura alta servono. La seconda causa è l’assenza, su questo fronte, di corpi intermedi: i partiti e i sindacati, una volta, erano scuole di moralità. Lo abbiamo visto negli anni bui del terrorismo, quando il sindacato si schierò immediatamente contro. Era un corpo intermedio che riteneva necessarie e irrinunciabili alcune regole, come quelle della fabbrica e della lealtà tra lavoratori. Oggi tutti i corpi intermedi, dall’associazione industriali della più piccola delle province al più grande dei sindacati, non sono più capaci di dettare efficaci norme di comportamento.
Però Confindustria, partendo dalla Sicilia, ha dato un segnale importante con l’espulsione degli imprenditori che pagano il 'pizzo' o che non denunciano i tentativi d’estorsione.
Probabilmente quello è l’unico esempio che si può fare. Ma è un segnale, appunto.
La terza causa della «piccola corruzione »?
Consiste nel fatto che la politica, da diversi decenni, ha adottato come concetto di fondo la libertà individuale sfrenata. Quanto tempo è che in Italia si fa la politica del «siate voi stessi»? Arricchitevi, siate voi stessi. Liberatevi dalle tradizioni, siate voi stessi. Liberatevi dalla moglie, siate voi stessi. Liberatevi dalla religione, siate voi stessi. E così via.
Quindi, non siamo di fronte a una nuova Tangentopoli?
Non scherziamo. Tangentopoli fu caratterizzata da ambiguità e miserie, tutte da condannare senza esitazione. Ma aveva anche un altro aspetto: in fondo tutti sapevamo che i soldi raccolti illegalmente servivano, oltre che per mantenere gli apparati di partito, per finanziare gli anticomunisti in Polonia, o per sostenere i socialisti in Portogallo oppure in Grecia. Voglio dire che il denaro di Tangentopoli, in genere, era usato per fini politici, non per comprarsi la macchina nuova. Oggi non vedo alcun obiettivo politico dietro la corruzione. Né vedo, per la verità, un partito che abbia l’ambizione di fare politica internazionale.
Professore, che misure inserirebbe nel disegno di legge anticorruzione annunciato dal governo?
Eviterei un provvedimento di quel tipo. Cercherei invece di agire quotidianamente e in maniera mirata laddove c’è un potere vero: se c’è corruzione nella pubblica amministrazione, già esistono gli strumenti di controllo e di vigilanza per combatterla seriamente.
«Avvenire» del 21 febbraio 2010
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