Ricerca sui «marcatori» della memoria, necessari per ricostruire la sequenza degli eventi
di Massimo Piattelli Palmarini
La percezione psicologica non è scandita dall' orologio Sensazione soggettiva I nostri ricordi vanno a doppia velocità: rapida se siamo mentalmente impegnati, lenta quando ci annoiamo
Dovrebbe un po' stupirci il fatto che tutti abbiamo continuamente bisogno di un orologio e che dobbiamo consultarlo molte volte al giorno. Come se non bastasse, dobbiamo spesso consultare un calendario per ricostruire cosa abbiamo fatto e quando, magari anche solo dopo un paio di settimane. L'inevitabile constatazione è che il nostro apparato psicologico e neurale è un pessimo valutatore del tempo oggettivo. Quanto al tempo soggettivo, è una banalità dire che il tempo vola quando siamo mentalmente impegnati e scorre lento quando ci si annoia. Gli psicologi, però, hanno voluto vederci più chiaro. Cosa influisce sistematicamente sulla sensazione soggettiva del tempo trascorso? Sull'ultimo numero di Psychological Science Gal Zauberman (University of Pennsylvania), Jonathan Levav (Columbia University), Kristin Diehl (University of Southern California) e Rajesh Bhargave (University of Texas) riassumono i risultati di alcuni interessanti esperimenti. Per coglierne il succo, immaginiamoci la seguente, comunissima situazione. Incontriamo per caso un nostro conoscente, o un lontano parente, che non vedevamo da qualche anno, con suo figlio. Sapevamo che aveva avuto un figlio, magari avevamo visitato la madre in clinica subito dopo la nascita, quindi sappiamo all'incirca (in teoria), quanti anni ha. Eppure siamo sbalorditi. «Ma come, questo è Piero? Ma non dirmi, è incredibile, quanto è cresciuto!». Comunissimo, eppure stranissimo. Ben sappiamo, in astratto, quanto cresce in media un bimbo o una bimba e poi un ragazzo o una ragazza, in tre, cinque, dieci anni. Perché, allora, siamo presi tanto alla sprovvista? Non lo siamo certo nel seguire la crescita dei nostri propri figli o dei figli di amici e parenti che vediamo spesso. La spiegazione, secondo questi psicologi, risiede nella mancanza di «marcatori» temporali per quella situazione. Tra la visita in clinica, allora, e l' incontro attuale non c' è stata per noi una serie di eventi che riguardano Piero, una serie di marcatori temporali. La nostra sensazione del tempo trascorso, per quanto concerne Piero, si è appiattita, quindi la crescita di Piero ci sembra subitanea, inspiegabile. Lo sarebbe assai meno se sapessimo che è il primogenito di tre o quattro fratelli e sorelle. Infatti, una serie di eventi che sono da noi percepiti come simili a quanto ora ci si presenta, o classificati tutti come appartenenti a uno stesso lungo evento (una guerra che si protrae, una degenza in ospedale, un corso di lezioni) allunga la durata soggettiva del tempo trascorso. I dati degli esperimenti appena pubblicati mostrano che questo fattore conta più dell' importanza dell'evento passato, della sua carica emotiva e del numero di dettagli che la nostra memoria ha conservato per quell'evento. Questo vale sia per eventi pubblici (poniamo, l'assassinio di Yitzhak Rabin, intervallo dell'ordine di anni), personali (poniamo, la decisione iniziale di iscriversi a quell' università, ordine di mesi) o occasionali (anno di uscita del film «Balla coi lupi»). La spiegazione basata sui «marcatori di eventi» risulta ben confermata. Non importa incitare i soggetti interrogati a ricordarsi di alcuni marcatori. Chiedendo loro dopo (questo è importante: dopo) la stima da loro espressa, si constata che la durata soggettiva si allunga quando spontaneamente erano loro venuti alla mente tre o quattro marcatori, si accorcia quando non ne era venuto in mente nessuno. Inutile dire che, quando questi marcatori sono anche soggettivamente importanti, emotivamente carichi e ricordati in grande dettaglio, l'effetto si ingrandisce. In un trattato di fisica lessi una volta la seguente astuta definizione: il tempo è ciò che succede quando non succede niente. Ma il tempo psicologico non è quello della fisica. Aveva ragione il filosofo Martin Heidegger, uno dei padri della fenomenologia, quando scrisse «il tempo sussiste solamente come risultato degli eventi che in esso succedono». Che anno era? Mah, direi oltre ottant' anni fa (ma l'ho verificato, quindi ho barato).
«Corriere della Sera» del 16 febbraio 2010
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