La lettera del grande Beniamino Placido e l'anticonformismo inviso a molti
di Pierluigi Battista
«Repubblica» ha pubblicato una meravigliosa lettera del 1990 dell'ironico, pungente, indimenticabile Beniamino Placido alla figlia Barbara, dove si rievocava il brillante spirito anticonformista del Partito d'Azione. Eugenio Scalfari, anch'egli folgorato dalla limpidezza intellettuale di questa lettera, ci esorta sull'Espresso a una sua attenta rilettura, per capire di che pasta morale e culturale fossero fatti gli azionisti, quelli del motto «non mollare», nemici del conformismo, indomiti combattenti sul fronte delle guerre alle dittature. Certo, bisognerebbe che ci abbeverassimo nuovamente alla lezione azionista, riandando con la memoria a quella magnifica e sfortunata pattuglia di «irregolari» che seppero sfidare la boria dei dottrinari di ogni chiesa. In quel cenacolo di anticonformisti, però, alcuni furono più «irregolari» di altri e subirono le conseguenze dell'ostracismo decretato dai funzionari del politicamente corretto con l' appoggio, purtroppo, proprio di altri sodali dell' avventura azionista: che invece non se la sentirono di prolungare la loro gloriosa battaglia antifascista fino al punto di spingerla contro ogni forma di totalitarismo. Scalfari ricorderà certamente l'esempio di Aldo Garosci. Ma la lettura del preziosissimo volume di Luisa Mangoni, «Leggere i libri», potrebbe aiutare a ricostruire ancora meglio, grazie a una documentazione imponente, l'atmosfera di sospetto e di isolamento che all' interno della casa editrice Einaudi incombeva negli anni Quaranta sugli irregolari (oltre Garosci, due nomi fra tutti: Venturi e Valiani) un po' più irregolari di altri un po' più docili e accomodanti. Ecco come nel '47 Fabrizio Onofri trattava per esempio in una lettera a Giulio Einaudi un libro dell'azionista Garosci: «Come sono sicuro che tu non avresti mai pubblicato certi libri di Koestler (tipo «Buio a mezzogiorno»), così mi stupisco che tu abbia stampato Garosci, un libro che ripete le solite vecchie calunnie sui comunisti francesi asserviti a Mosca. Ritengo che il limite dell' anticomunismo tu non dovresti mai oltrepassarlo». E la risposta imbarazzata di Einaudi: «Sono perfettamente d' accordo con te che deve porsi come limite negativo l' anticomunismo». E la dose rincarata di Antonio Giolitti, allora ben lontano dalle inquietudini revisioniste del '56: «Un classico esempio di anticomunismo con maschera rivoluzionaria alla Garosci». Un esempio, testualmente, di cui «sbarazzarsi». L'ossessione dell' «anticomunismo», ovviamente alimentata dal Pci, trovava in una casa editrice cementata dall'incontro tra la cultura comunista e parte di quella azionista un fertile terreno. Ma altri azionisti, irregolari e anticonformisti, non accettarono la censura e non fecero di quell' incontro l'alibi per giustificare silenzi e omertà. Non vollero diventare, come altri azionisti, antitotalitari dimidiati (e lessero «Buio a mezzogiorno»). Sono gli irregolari di cui più sentiamo il bisogno. E la mancanza.
«Corriere della Sera» del 15 febbraio 2010
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