di Ernesto Galli della Loggia
Si accontenti chi vuole di credere che «il problema è politico» e riguardi quindi la destra e la sinistra. Sì, questa volta a essere presi con le mani nel sacco sono stati esponenti del Pdl, ma in passato la stessa cosa è accaduta con esponenti del Pd: ma anche dando per scontato che le imputazioni a loro carico siano domani convalidate da una sentenza, davvero la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? Davvero in questo Paese la sfera della politica è malata e il resto della società è sano? Non è così, con ogni evidenza. Ognuno di noi sa bene che non è così, e non bisogna smettere di dirlo, anche se i soliti moralisti di professione grideranno scandalizzati che in questo modo si finirebbe per occultare «le precise responsabilità politiche». Ma figuriamoci: cosa volete mai che si occulti, con tutta la stampa ormai scatenata dietro Monica e Francesca, dietro Bertolaso, Balducci, e compagnia bella?
Proprio perché non ha alcuna natura propriamente politica ma affonda radici profondissime nel corpo sociale - cosicché nella politica essa si riversa soltanto, essendo uno degli ambiti dove più facile è la sua opera - la corruzione italiana sfugge a ogni facile terapia. Come si è visto quando, convinti per l’appunto del suo carattere politico, abbiamo creduto che almeno per ridurne la portata bastasse mutare il sistema elettorale, o fare le privatizzazioni, o cambiare la legge sugli appalti, o finanziare i partiti in altro modo dal finanziamento diretto; o che l’esempio di «Mani pulite», di cui proprio oggi è paradossalmente il 18mo anniversario, potesse segnare una svolta. Invece è stato tutto inutile. La corruzione italiana appare invincibile. Rinasce di continuo perché in realtà non muore mai, dal momento che a mantenerla viva ci pensa l’enorme serbatoio del Paese. La verità, infatti, è che è l’Italia la causa della corruzione italiana: lo si può dire senza rischiare l’accusa di lesa maestà? Chi si ostina a credere che «il problema è politico», che tutto si riduca a destra e sinistra, lo sa che le tangenti continuano a girare vorticosamente anche nel privato: che dappertutto qui da noi, quando ci sono soldi in ballo, non si dà e non si fa niente per niente?
Lo sa che i concorsi più vari (non solo le gare d’appalto!) sono sempre, in misura maggiore o minore, manipolati? Riservati agli amici e ai protetti quando non direttamente truccati in un modo o nell’altro dai concorrenti con la complicità delle commissioni, e il tutto naturalmente in barba a ogni credo politico? E che colore politico pensa che abbia l’evasione fiscale dilagante? O i tentativi a cui si dedicano incessantemente milioni di italiani di violare i regolamenti urbanistici ed edilizi in tutti i modi possibili e immaginabili (spessissimo riuscendoci grazie all’esborso di mazzette)? E a quale schieramento politico addebitare, mi chiedo, il sistematico taglieggio che da noi viene praticato da quasi tutti coloro che offrono una merce o un servizio al pubblico, come le società autostradali, quelle di assicurazione, le compagnie telefoniche, le compagnie petrolifere, quelle aeree, le banche, le quali tutte possono a loro piacere fissare tariffe esagerate, imporre contratti truffaldini, balzelli supplementari, clausole capestro, sicure dell’impunità? Sì lo so, tecnicamente forse non è corruzione. Ma so pure che in molti altri Paesi comportamenti del genere sono severamente sanzionati anche sul piano penale. Da noi no, sono considerati normali. Perché?
La risposta è nella nostra storia profonda, nei suoi tratti negativi che i grandi ingegni italiani hanno sempre denunciato: poca legalità, assenza di Stato, molto individualismo anarchico, troppa famiglia, e via enumerando. Perciò l'Italia è apparsa tante volte un Paese bellissimo ma a suo modo terribile. E lo appare ancor di più oggi, dopo aver perso anche gli ultimi pezzi delle sue fedi e dei suoi usi antichi. Più terribile e incarognito che mai. Più corrotto. Spesso queste cose le capisce per prima l'arte, e in particolare il cinema, il nostro cinema, a cui tanto deve la conoscenza di ciò che è stata ed è l'Italia vera. Quell'Italia vera che riempie, ad esempio, le immagini dell'ultimo film di Pupi Avati, Il fratello più piccolo, in arrivo proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche. Un ritratto spietato di che cosa è diventato questo Paese: una società dove gli unici «buoni» sembra non possano che essere dei disadattati senz’arte né parte; dove, nell'ultima scena, dal volto pur devastato e ormai annichilito di un grandissimo De Sica, ladro e canaglia ridotto all'ozio forzato su un terrazzino di periferia, non cessa tuttavia di balenare il guizzo di un’inestinguibile mascalzonaggine. È di una lucida resa dei conti del genere che abbiamo bisogno; di guardare a fondo dentro di noi e dentro la nostra storia. Non di credere, o di fingere di credere, che cambiare governo serva a cambiare tutto e a diventare onesti.
Proprio perché non ha alcuna natura propriamente politica ma affonda radici profondissime nel corpo sociale - cosicché nella politica essa si riversa soltanto, essendo uno degli ambiti dove più facile è la sua opera - la corruzione italiana sfugge a ogni facile terapia. Come si è visto quando, convinti per l’appunto del suo carattere politico, abbiamo creduto che almeno per ridurne la portata bastasse mutare il sistema elettorale, o fare le privatizzazioni, o cambiare la legge sugli appalti, o finanziare i partiti in altro modo dal finanziamento diretto; o che l’esempio di «Mani pulite», di cui proprio oggi è paradossalmente il 18mo anniversario, potesse segnare una svolta. Invece è stato tutto inutile. La corruzione italiana appare invincibile. Rinasce di continuo perché in realtà non muore mai, dal momento che a mantenerla viva ci pensa l’enorme serbatoio del Paese. La verità, infatti, è che è l’Italia la causa della corruzione italiana: lo si può dire senza rischiare l’accusa di lesa maestà? Chi si ostina a credere che «il problema è politico», che tutto si riduca a destra e sinistra, lo sa che le tangenti continuano a girare vorticosamente anche nel privato: che dappertutto qui da noi, quando ci sono soldi in ballo, non si dà e non si fa niente per niente?
Lo sa che i concorsi più vari (non solo le gare d’appalto!) sono sempre, in misura maggiore o minore, manipolati? Riservati agli amici e ai protetti quando non direttamente truccati in un modo o nell’altro dai concorrenti con la complicità delle commissioni, e il tutto naturalmente in barba a ogni credo politico? E che colore politico pensa che abbia l’evasione fiscale dilagante? O i tentativi a cui si dedicano incessantemente milioni di italiani di violare i regolamenti urbanistici ed edilizi in tutti i modi possibili e immaginabili (spessissimo riuscendoci grazie all’esborso di mazzette)? E a quale schieramento politico addebitare, mi chiedo, il sistematico taglieggio che da noi viene praticato da quasi tutti coloro che offrono una merce o un servizio al pubblico, come le società autostradali, quelle di assicurazione, le compagnie telefoniche, le compagnie petrolifere, quelle aeree, le banche, le quali tutte possono a loro piacere fissare tariffe esagerate, imporre contratti truffaldini, balzelli supplementari, clausole capestro, sicure dell’impunità? Sì lo so, tecnicamente forse non è corruzione. Ma so pure che in molti altri Paesi comportamenti del genere sono severamente sanzionati anche sul piano penale. Da noi no, sono considerati normali. Perché?
La risposta è nella nostra storia profonda, nei suoi tratti negativi che i grandi ingegni italiani hanno sempre denunciato: poca legalità, assenza di Stato, molto individualismo anarchico, troppa famiglia, e via enumerando. Perciò l'Italia è apparsa tante volte un Paese bellissimo ma a suo modo terribile. E lo appare ancor di più oggi, dopo aver perso anche gli ultimi pezzi delle sue fedi e dei suoi usi antichi. Più terribile e incarognito che mai. Più corrotto. Spesso queste cose le capisce per prima l'arte, e in particolare il cinema, il nostro cinema, a cui tanto deve la conoscenza di ciò che è stata ed è l'Italia vera. Quell'Italia vera che riempie, ad esempio, le immagini dell'ultimo film di Pupi Avati, Il fratello più piccolo, in arrivo proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche. Un ritratto spietato di che cosa è diventato questo Paese: una società dove gli unici «buoni» sembra non possano che essere dei disadattati senz’arte né parte; dove, nell'ultima scena, dal volto pur devastato e ormai annichilito di un grandissimo De Sica, ladro e canaglia ridotto all'ozio forzato su un terrazzino di periferia, non cessa tuttavia di balenare il guizzo di un’inestinguibile mascalzonaggine. È di una lucida resa dei conti del genere che abbiamo bisogno; di guardare a fondo dentro di noi e dentro la nostra storia. Non di credere, o di fingere di credere, che cambiare governo serva a cambiare tutto e a diventare onesti.
«Corriere della Sera» del 17 febbraio 2010
1 commento:
Essendo l’occasione fare l’uomo ladro sempre più assurdo risulta meravigliarci e richiamarsi a principi etico-moralistici per soffocare nella solita inconcludente retorica che non porterà mai a niente se non quello del mantenere in gioco la solita inconcludenza propizia a mantenere inalterato lo status quo!
Quando bisognerebbe minimante riconoscere che anche le regole opportune correttamente ed opportunamente allocate diventano elementi determinanti per determinare come si taglia l’erba specialmente per quanto riguarda le leggi elettorali.
Quando, oggigiorno, alla luce delle esigenze di una siffatta nuova accelerata realtà urge acquisire anche per i meccanismi elettorali sistemi completi e, tali da poterci muovere verso tutta la potenziale gamma estensiva direzionale negli esiti elettorali governativi rispetto alle limitate e limitanti possibilità che gli attuali pseudomodelli in dotazione inducono, costringono! Giacché per potenziare la governance!? Il sistema dovrebbe permettere d’addivenire sia a soluzioni governative di: destra quanto di sinistra oppure di centro e non essere induttivamente condizionato da modelli fatti passare per tali quando è mondialmente riconosciuto sin dalla loro concezione essere frutto di statuizioni formalmente corrette!
Giacché sarebbe opportuno considerare che democrazia e libero mercato imprescindibilmente sono facce della medesima medaglia e che per ovviare di ricadere nei medesimi errori, sarebbe opportuno iniettare maggiore effettiva concorrenza all’interno del sistema elettoral-istituzionale rispetto alla parzialità di quei parziali modelli elettorali in adozione per metterli a sistema affinché si possa così al meglio incarreggiare l’intero Sistema Paese mantenendo costante e permanente la concorrenza in ogni dove ed ambito per riverberarne virtuosi efficaci effetti per tutta la sua galassia di cui si compone politics, policy and polity! Giacché ogni libero mercato “non drogato” si qualifica per tale sulla possibilità di poter garantire chance “per concludere le transazioni” aperte a tutti i competitor dove poter concorrenzialmente competere alla pari. In altrettanto isometrico modo ciò dovrebbe parimenti accadere per mantenuta concorrenza, in ogni libera democrazia non induttivamente orientata da un perverso orientato meccanismo elettorale poter determinare chance d’esito governativo d’ogni genere d’orientamento ovvero sia del tipo di destra, di sinistra quanto di centro ovvero per tutto l’arco del suo potenziale governativo e non essere soffocati o compressi dal dover riprodurre esiti governativi prevalentemente centristi applicando modelli filo proporzionalisti (centrifughi) oppure a bipartisan bipolio se applichiamo modelli maggioritari centripeti! Giacché anche i meccanismi elettorali diventano elementi determinanti che dovrebbero strutturalmente enucleare nella loro articolazione complete potenzialità centripeto – centrifughe a “check & balance criterio”! Tali da poter incondizionatamente determinazione tutta la potenziale gamma d’indirizzo governativo! Questo perché non possiamo rischiare di perseverare negli stessi errori del passato giacché ogni gestione deve presentarsi equilibrata sin dagli ingressi… affinché se ne possano riverberare virtuosi effetti in modo pervasivo in tutta la sua galassia di cui si compone: politics, policy and polity! Quindi, per non ricadere nei soliti retorici arcaici obsoleti modelli ovvero, cadere dalla padella del maggioritario, alla brace della nostalgica Prima Repubblica, urgono soluzioni inedite per acquisire un sistema elettorale completo quanto si propugna col SEMIALTERNO quale “idealtipo sistema”“induttore di concorrenza dispositivo per abbassare sempre più i gap che distanziano consuntivo dal programmato lungo tutto il suo asse di percorrenza dal preelettorale sin su ad ogni consuntivo governativo”. Quale criterio indispensabile per incarreggiarsi verso una piena democrazia che irradi in modo sempre più pervasivo ed inclusivo un “asintote incrementale qualità – democraticità!”
Posta un commento