Un amore di liceo per l’esordio del professore che evoca l’«Attimo fuggente»
di Bruno Quaranta
«Bianca come il latte rossa come il sangue»: un Supplente speciale, un ragazzo che si cerca, una vita che si spegne
C’è molta frenesia intorno all’esordio di Alessandro D’Avenia. Il suo girotondo di qua della linea d’ombra, Bianca come il latte, rossa come il sangue, fagociterebbe una storia autentica, e tragica. Sarà, non sarà. E, se mai fosse, dove lo sfregio? Beatrice, la fanciulla regina di questa love story ora à point ora oltremodo giulebbosa, è onorata di cure supreme che evocano il capolavoro di Battiato «(Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te»). No, oscillando tra un colore e l’altro (è una teoria dei colori il nostro viaggio sentimentale, quando è «sentimentale»), non s’incontra il cantautore siciliano. Ma, da De Gregori a Vasco, la colonna sonora naturalmente è ampia.
Non respiriamo forse l’aria liceale? Alessandro D’Avenia, trentadue anni, fra i kaloi kai agathoi - la fotografia nel risvolto di copertina -, professore di Lettere, nonché sceneggiatore (seguirà le orme di Moccia?,ma la sua trama non ha una vis, un’allure così «cinematografica»), ritorna adolescente o capta l’adolescente come ci si aspetterebbe da chi è in cattedra. Nel suo «diario» si rivela una sorta di Fregoli. Ora nei panni del Sognatore, il supplente maieutico di storia e filosofia, ora nei jeans di Leo («Non so rimanere in silenzio o da solo, che è lo stesso. Mi viene un dolore poco sopra la pancia o dentro la pancia, non l’ho mai capito, da costringermi a inforcare il mio bat-cinquantino... e girare a caso fissando negli occhi le ragazze che incontro per sapere che non sono solo»). Solo i nostri sogni non saranno mai umiliati, batte e ribatte il Supplente, che dimostrerà di esistere, di avere «una vita reale fuori da scuola», a differenza dei suoi colleghi. Un eco di Attimo fuggente o, meglio, un seme che saprà scalfire l’atonia della futura classe dirigente (perché «il classico ti apre la mente, ti dà orizzonti, ti struttura il pensiero, ti rende elastico...»). Il sogno di Leo ha i capelli rossi di Beatrice, la ragazza della classe accanto, malata di leucemia, corteggiata tessendo un filo stilnovista. Tra sguardi che dovrebbero ammaliare, sms che dovrebbero arrivare, lettere che non riescono a trovare l’indirizzo della destinataria, generose donazioni di sangue, consenzienti (egli è un minorenne) i genitori, di esemplare sensibilità, pur non abdicando al ruolo, da stropicciarsi gli occhi...
Scende e sale e ridiscende le scale cromatiche della vita, Leo-D’Avenia. La paura è bianca, il coraggio è rosso, gli amici veri sono azzurri... Via via «scontando» o assaporando la tavolozza toccatagli in sorte, toccata in sorte a ciascuno di noi, dove l’abbraccio funesto e l’abbraccio splendido esitano a lungo prima di riconoscersi reciprocamente.
Perché se la maturità è tutto, ostico è raggiungerla: «Ma non era uomo; e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse», l’Agostino moraviano e gli Agostini di ogni liceo. Un romanzo, Bianca come il latte, rossa come il sangue? Di canzone in Google («...scrivo due parole: morte e Dio. Insieme. Mi esce la pagina di un filosofo di nome Nietzsche, che ha detto che Dio è morto. E questo lo sapevamo già: sulla croce»); di scarpe da tennis in piercing, di Coca gigante in Fred Perry, sembra di stare in un fumetto (il palcoscenico della vita apparente) o in un una sala d’attesa, nella casa colma di stanze che è la pre-letteratura, dove la parola indugia nel temperamatite, non ancora idonea a reggere l’urto del mondo. Forse il bianco qui prevale. Forse. Ma siamo solo al primo giorno di scuola.
Non respiriamo forse l’aria liceale? Alessandro D’Avenia, trentadue anni, fra i kaloi kai agathoi - la fotografia nel risvolto di copertina -, professore di Lettere, nonché sceneggiatore (seguirà le orme di Moccia?,ma la sua trama non ha una vis, un’allure così «cinematografica»), ritorna adolescente o capta l’adolescente come ci si aspetterebbe da chi è in cattedra. Nel suo «diario» si rivela una sorta di Fregoli. Ora nei panni del Sognatore, il supplente maieutico di storia e filosofia, ora nei jeans di Leo («Non so rimanere in silenzio o da solo, che è lo stesso. Mi viene un dolore poco sopra la pancia o dentro la pancia, non l’ho mai capito, da costringermi a inforcare il mio bat-cinquantino... e girare a caso fissando negli occhi le ragazze che incontro per sapere che non sono solo»). Solo i nostri sogni non saranno mai umiliati, batte e ribatte il Supplente, che dimostrerà di esistere, di avere «una vita reale fuori da scuola», a differenza dei suoi colleghi. Un eco di Attimo fuggente o, meglio, un seme che saprà scalfire l’atonia della futura classe dirigente (perché «il classico ti apre la mente, ti dà orizzonti, ti struttura il pensiero, ti rende elastico...»). Il sogno di Leo ha i capelli rossi di Beatrice, la ragazza della classe accanto, malata di leucemia, corteggiata tessendo un filo stilnovista. Tra sguardi che dovrebbero ammaliare, sms che dovrebbero arrivare, lettere che non riescono a trovare l’indirizzo della destinataria, generose donazioni di sangue, consenzienti (egli è un minorenne) i genitori, di esemplare sensibilità, pur non abdicando al ruolo, da stropicciarsi gli occhi...
Scende e sale e ridiscende le scale cromatiche della vita, Leo-D’Avenia. La paura è bianca, il coraggio è rosso, gli amici veri sono azzurri... Via via «scontando» o assaporando la tavolozza toccatagli in sorte, toccata in sorte a ciascuno di noi, dove l’abbraccio funesto e l’abbraccio splendido esitano a lungo prima di riconoscersi reciprocamente.
Perché se la maturità è tutto, ostico è raggiungerla: «Ma non era uomo; e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse», l’Agostino moraviano e gli Agostini di ogni liceo. Un romanzo, Bianca come il latte, rossa come il sangue? Di canzone in Google («...scrivo due parole: morte e Dio. Insieme. Mi esce la pagina di un filosofo di nome Nietzsche, che ha detto che Dio è morto. E questo lo sapevamo già: sulla croce»); di scarpe da tennis in piercing, di Coca gigante in Fred Perry, sembra di stare in un fumetto (il palcoscenico della vita apparente) o in un una sala d’attesa, nella casa colma di stanze che è la pre-letteratura, dove la parola indugia nel temperamatite, non ancora idonea a reggere l’urto del mondo. Forse il bianco qui prevale. Forse. Ma siamo solo al primo giorno di scuola.
«La Stampa», supplemento Tuttolibri del 13 febbraio 2010
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