Il celebre scrittore inglese confessa i suoi pensieri ossessivi sulla morte
di Dario Fertilio
Insopportabile, inarrivabile, inarrestabile Martin Amis. Lo lasci in piena crisi creativa, lo ritrovi più produttivo che mai, e polemico, verso il femminismo, l'islam e la rivoluzione sessuale; e ora, eccolo inveire all' improvviso contro la vecchiaia, la decadenza fisica e la prospettiva di una guerra generazionale fra pensionati e giovani rampanti. Con annessa proposta choc, da far (volutamente) rabbrividire i borghesi: eutanasia di massa per gli over 70. Più precisamente, secondo lui, «dovrebbe esserci una cabina a ogni angolo di strada, dove se hai l' età giusta puoi prenderti un Martini e la pastiglia della buona morte». Proposta seria o boutade per fare colpo sulla sua intervistatrice del Sunday Times, che lo ha ritratto senza veli, né peli sulla lingua, all'interno della casa londinese? Più la seconda che la prima, probabilmente, anche se tutto il contesto della confessione cui si abbandona Amis fa propendere per un reale, per quanto incontrollabile, desiderio di fare i conti con il proprio passato. Eppure il celebre scrittore, celebrato da alcuni come il più grande di oggi fra gli inglesi, arcinoto per La freccia del tempo o Il treno della notte, tiene in serbo il suo prossimo romanzo, La vedova incinta, come un bestseller a colpo sicuro. Ne parla, anche, durante l'intervista, alludendo al significato del titolo: una battuta dell'intellettuale russo Alexander Herzen, secondo il quale ogni rivoluzione, nel momento in cui uccide un regime senza sostituirlo con uno nuovo, crea «una vedova incinta». Nella fattispecie, Amis aggiorna la feroce definizione al femminismo, alla rivoluzione sessuale, alle droghe pesanti anni Sessanta, al rifiuto della maternità perseguito da un' intera generazione di donne. Risultato di tale terremoto: gli uomini sono rimasti soli, distrutti, sul punto di soccombere. Proprio come lui stesso, Martin Amis, che ora con ostentato narcisismo offre le sue rughe e i capelli brizzolati, i rimpianti e le amarezze interiori alle immagini pubblicate dal Sunday Times. Durante la conversazione, lo scrittore parla di tutto, ma in particolare della morte. Di come si è immolata sull'altare della rivoluzione sessuale sua sorella Sally. Del padre impegnato a suo tempo in una inutile lotta contro la malattia devastante. Degli scrittori che, come lui stesso, sono destinati a morire doppiamente: prima in quanto creatori, poi nel fisico. Di una società presto costretta a mantenere plotoni di vecchi (li definisce «uno tsunami d' argento»), di città popolate in futuro da «dementi decrepiti, simili a un' invasione di terribili immigrati, puzzolenti, assembrati fra ristoranti e negozi». Inevitabile conseguenza, «una specie di guerra civile fra vecchi e giovani entro dieci o quindici anni». A meno che... ed ecco l' idea del suicidio assistito di massa appena varcata la soglia della settantina: una cabina, un cocktail, una pastiglia e addio. Sperando di sentirsi definire politicamente scorretto, il grande Martin, ma pur sempre bello, dannato e cool.
«Corriere della Sera» del 25 gennaio 2010
Nessun commento:
Posta un commento