La prima vittima del profetismo climatico è il principio di verità. Lo dice anche il prof. Cicerone
di Piero Vietti
Commentando l’ultimo sondaggio che in America dà sempre meno persone preoccupate per il riscaldamento globale causato dall’uomo, Ralph Cicerone, presidente dell’Accademia nazionale delle scienze negli Stati Uniti, ha lamentato come la sempre più scarsa fiducia della gente nella climatologia si stia trasformando in sfiducia nella scienza in generale. Quando a novembre scoppiò il Climategate (la pubblicazione su Internet di e-mail in cui alcuni studiosi del clima si accordavano per truccare i dati delle temperature), ci fu chi scrisse che da quella storia non sarebbero usciti sconfitti né gli scettici né i catastrofisti, ma appunto la scienza tout court. Così è stato, complici anche alcune recenti gaffe quale l’errata previsione dello scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya fatta dagli scienziati dell’Onu (l’Ipcc).
Lunedì scorso il Financial Times riportava le dichiarazioni di Cicerone a pagina due, e domenica il Corriere della Sera metteva in prima un editoriale di Giulio Giorello che spiegava come gli allarmi “mandano in crisi la fiducia della gente” e che il clima è un sistema troppo complesso per vendere come certezze le previsioni fatte al computer: meno di un anno fa invece si leggeva che il discorso sul clima era chiuso e che gli scienziati erano concordi sul fatto che l’uomo provocasse il riscaldamento globale. “Che non ci fossero certezze lo sapevamo da tempo – dice al Foglio Luigi Mariani, professore di Agrometeorologia all’Università di Milano – Quelle scientifiche sono verità provvisorie, troppo spesso ce lo dimentichiamo: la scienza dovrebbe essere confronto continuo con la realtà. Per questo diffido sia di chi mi dice che tra cento anni farà caldissimo sia di chi mi assicura che tra trenta comincerà l’era glaciale”.
Punita per la sua hybris, la climatologia moderna come una Cassandra all’incontrario fa i conti con previsioni che non si avverano e temperature che non aumentano da un decennio. I dogmi scientifici resi celluloide da Al Gore non hanno retto: il Polo Nord è ancora lì, l’Antartide cresce, in buona parte del mondo fa molto freddo. Assuefatta agli allarmi, l’opinione pubblica si è destata dal torpore mediatico tutto d’un colpo e la politica ha abbandonato il carro del global warming. Giovedì scorso si è dimesso Yvo De Boer, eminenza grigia dell’Onu per le questioni climatiche e padrone di casa durante il fallimento della conferenza di Copenaghen; il direttore dell’Ipcc è a rischio dimissioni e molti chiedono di ristrutturare questo organismo: “Forse bisognerebbe abolirlo – dice Guido Guidi, meteorologo e autore del blog Climate Monitor – non servono organismi burocratici e politici che raccolgano e guidino gli scienziati”. Basterebbe che la scienza ricominciasse a fare la scienza per tornare a essere credibile.
Lunedì scorso il Financial Times riportava le dichiarazioni di Cicerone a pagina due, e domenica il Corriere della Sera metteva in prima un editoriale di Giulio Giorello che spiegava come gli allarmi “mandano in crisi la fiducia della gente” e che il clima è un sistema troppo complesso per vendere come certezze le previsioni fatte al computer: meno di un anno fa invece si leggeva che il discorso sul clima era chiuso e che gli scienziati erano concordi sul fatto che l’uomo provocasse il riscaldamento globale. “Che non ci fossero certezze lo sapevamo da tempo – dice al Foglio Luigi Mariani, professore di Agrometeorologia all’Università di Milano – Quelle scientifiche sono verità provvisorie, troppo spesso ce lo dimentichiamo: la scienza dovrebbe essere confronto continuo con la realtà. Per questo diffido sia di chi mi dice che tra cento anni farà caldissimo sia di chi mi assicura che tra trenta comincerà l’era glaciale”.
Punita per la sua hybris, la climatologia moderna come una Cassandra all’incontrario fa i conti con previsioni che non si avverano e temperature che non aumentano da un decennio. I dogmi scientifici resi celluloide da Al Gore non hanno retto: il Polo Nord è ancora lì, l’Antartide cresce, in buona parte del mondo fa molto freddo. Assuefatta agli allarmi, l’opinione pubblica si è destata dal torpore mediatico tutto d’un colpo e la politica ha abbandonato il carro del global warming. Giovedì scorso si è dimesso Yvo De Boer, eminenza grigia dell’Onu per le questioni climatiche e padrone di casa durante il fallimento della conferenza di Copenaghen; il direttore dell’Ipcc è a rischio dimissioni e molti chiedono di ristrutturare questo organismo: “Forse bisognerebbe abolirlo – dice Guido Guidi, meteorologo e autore del blog Climate Monitor – non servono organismi burocratici e politici che raccolgano e guidino gli scienziati”. Basterebbe che la scienza ricominciasse a fare la scienza per tornare a essere credibile.
«Il Foglio» del 27 febbraio 2010
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