23 febbraio 2010

La fede può soddisfare la ragione e il cuore

Il Giornale anticipa un brano dell'introduzione che don Juliàn Carròn, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha scritto per il libro Vivere intensamente il reale. Scritti sull'educazione (Editrice La Scuola, pp.160, 9.50 euro)
di Julián Carrón
«Fino dalla prima ora di scuola ho sempre detto: “Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò. E le cose che io vi dirò sono un’esperienza che è l’esito di un lungo passato: duemila anni”. Il rispetto di questo metodo ha caratterizzato fin dall’inizio il nostro impegno educativo, indicandone con chiarezza lo scopo: mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere repertata e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto; tanto è vero che perfino la teologia, per parecchio tempo, è stata vittima di questo cedimento. Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi - questo “quindi” è importante per me -, dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità. Dire che la fede esalta la razionalità, vuol dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo. La Bibbia, infatti, invece della parola “razionalità”, usa la parola “cuore”. La fede, dunque, risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguale in tutti: esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto (del giusto!), di amore, di soddisfazione totale di sé».
Questo brano di don Giussani, che compare in questa antologia, tratto da uno dei suoi libri più noti, descrive quale fosse l’originalità della sua posizione nei confronti dei giovani, così come emerse fin dalla prima ora di insegnamento della religione cattolica, che lui chiamava «scuola di religione»: una fiducia totale. Molti anni dopo affermò che nel lungo arco della sua vita aveva scommesso tutto sulla «libertà pura» di chiunque avesse incontrato - e si possono contare a decine di migliaia le persone che aveva conosciuto -. Proviamo a immaginare quale stima un uomo debba nutrire per l’umanità di chi incontra sul suo cammino per rischiare tutto su di essa. Come è raro trovare uomini così, oggi! Proprio a causa di questa mancanza siamo arrivati a parlare di «emergenza educativa», tanto che la Chiesa italiana ha appena lanciato un programma decennale dedicato al tema dell’educazione.
Fin dall’inizio del suo impegno con gli studenti milanesi, a metà degli anni Cinquanta - prima come assistente della gioventù femminile e maschile di Azione Cattolica e poi come insegnante nel liceo Berchet -, Giussani ebbe chiaro che l’unico modo per rispondere alla sfida di un mondo che andava nella direzione opposta a quella della tradizione - e per il quale la fede e la ragione erano come due rette che non si sarebbero mai potute incontrare - era di indicare un metodo per cui le parole cristiane tornassero a essere una risposta convincente alla vita dei giovani. Il metodo educativo di don Giussani non era quello di ripetere idee giuste, ma piuttosto il tentativo di ridestare qualcosa che c’era nell’altro, provocandone la libertà. Questo era il suo modo di fare compagnia ai ragazzi, di essere loro amico. Il suo era un richiamo a quel fascio di esigenze ed evidenze originali del cuore - esigenze di verità, di bellezza, di giustizia, di felicità - e un invito a un paragone continuo con esse. E per realizzare questo utilizzava tutto ciò che il genio dell’umanità aveva prodotto, dalla musica alla poesia. C’è un testo, tra i tanti di Giussani, che descrive il percorso di questa conoscenza e che compare in questa antologia. Il capitolo decimo de Il senso religioso. In esso si esprime il suo “genio” educativo, come un accompagnare dentro la profondità della realtà fino alla scoperta di un quid ultimo che la costituisce. Tutto parte dal rapporto con la realtà. La realtà agisce sulla ragione dell’uomo come un invito a scoprire il significato di tutto ciò in cui si imbatte. Interrompere questa dinamica è come bloccare la conoscenza. «Il modo con cui il reale si presenta a me è sollecitazione a qualche cosa d’altro. Il reale mi sollecita a ricercare qualche cosa d’altro, oltre quello che immediatamente mi appare. La realtà afferra la nostra coscienza in maniera tale che questa pre-sente e percepisce qualche cosa d'altro. Di fronte al mare, alla terra e al cielo e a tutte le cose che si muovono in esso, io non sto impassibile, sono animato, mosso, commosso da quel che vedo, e questa messa in moto è per una ricerca di qualcosa d’altro».
Giussani osserva che questa dinamica del segno non è completa, se non giunge sino al suo culmine: il riconoscimento stupefatto della realtà del Mistero che fa tutte le cose. «Il vertice della conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende. È l’idea di mistero». E ancora: «Il mondo è un segno. La realtà richiama a un’Altra. La ragione, per essere fedele alla natura sua e di tale richiamo, è costretta ad ammettere l’esistenza di qualcosa d’altro che sottende tutto, e che lo spiega».
È estremamente significativa la corrispondenza di questa posizione di Giussani con le preoccupazioni di un suo antico vescovo, quel Giovanni Battista Montini – futuro Paolo VI – che nella sua lettera pastorale per la Quaresima del 1957, intitolata Sul senso religioso, scriveva: «Il senso religioso è un’attitudine naturale dell’essere umano a percepire qualche nostra relazione con la divinità , come l’apertura dell’uomo verso Dio, l’inclinazione dell’uomo verso il suo principio e verso il suo ultimo destino».
È questa una preoccupazione che mostra quanto fosse già allora urgente, e quanto lo sia ancor più oggi, il bisogno di educazione, così come la definisce Josef Andreas Jungmann, ripreso da Giussani: educare è «introdurre alla realtà, in definitiva alla realtà totale».
«Il Giornale» del 23 febbraio 2010

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