La condanna di Google
di Anna Masera
Dopo la sentenza di ieri, che bolla Google come penalmente responsabile per contenuti caricati dagli utenti sul Web, siamo tutti più cinesi. Il mondo su Internet si chiede come mai in Italia si attacchino i principi fondamentali di libertà sui quali è stata costruita Internet. E come mai ci si metta di traverso alla legge europea, che mette i fornitori al riparo dalla responsabilità se rimuovono i contenuti illeciti non appena informati della loro esistenza (come ha fatto Google). Questo meccanismo ha contribuito a far fiorire la libertà di espressione in Rete proteggendo al contempo la privacy di ognuno. Se YouTube o Facebook sono ritenuti responsabili del controllo di ogni singolo contenuto caricato sulle loro piattaforme, il Web come lo conosciamo cesserà di esistere, assieme a molti benefici connessi.
La pretesa che Google si doti di un sistema di censura per filtrare i filmati in rete è come incriminare la Società Autostrade per mancato controllo degli automobilisti al casello. E’ vero che Google, che pure è a fini di lucro e mette il casello dove vuole, deve dotarsi della migliore tecnologia possibile per evitare gli abusi. E’ quello che sta facendo, grazie a quell’etica di impresa («we shall do no evil») che ha contribuito a determinare il suo successo. Ma il possesso della patente deve essere controllato dal poliziotto, non dal casellante. Ed è ora di prendere atto dell’inapplicabilità tecnologica di certe misure. I guai di Google non sono solo in Italia, perchè questo nuovo intermediario fa paura ai concorrenti, ma finora solo la Cina l’ha censurata.
Dal New York Times ci chiedono: «L’accanimento contro Internet in Italia è perchè è una rete di comunicazione libera alternativa alle tv berlusconiane?». Risponde Luciano Floridi, Cattedra Unesco in Etica Informatica: «Non credo in un complotto, ma mille fiocchi di neve formano una slavina». La decisione dei giudici si aggiunge alle proposte di legge per imbrigliare Internet, contribuendo a un’atmosfera illiberale e demagogica che influisce anche sulla competitività del Sistema Italia: siamo al 78° posto del World Bank Group per facilità nel condurre gli affari. Oggi siamo tutti più cinesi.
La pretesa che Google si doti di un sistema di censura per filtrare i filmati in rete è come incriminare la Società Autostrade per mancato controllo degli automobilisti al casello. E’ vero che Google, che pure è a fini di lucro e mette il casello dove vuole, deve dotarsi della migliore tecnologia possibile per evitare gli abusi. E’ quello che sta facendo, grazie a quell’etica di impresa («we shall do no evil») che ha contribuito a determinare il suo successo. Ma il possesso della patente deve essere controllato dal poliziotto, non dal casellante. Ed è ora di prendere atto dell’inapplicabilità tecnologica di certe misure. I guai di Google non sono solo in Italia, perchè questo nuovo intermediario fa paura ai concorrenti, ma finora solo la Cina l’ha censurata.
Dal New York Times ci chiedono: «L’accanimento contro Internet in Italia è perchè è una rete di comunicazione libera alternativa alle tv berlusconiane?». Risponde Luciano Floridi, Cattedra Unesco in Etica Informatica: «Non credo in un complotto, ma mille fiocchi di neve formano una slavina». La decisione dei giudici si aggiunge alle proposte di legge per imbrigliare Internet, contribuendo a un’atmosfera illiberale e demagogica che influisce anche sulla competitività del Sistema Italia: siamo al 78° posto del World Bank Group per facilità nel condurre gli affari. Oggi siamo tutti più cinesi.
«La Stampa» del 25 febbraio 2010
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