09 febbraio 2010

Ma la fede non sia marginale

L’uomo non è solo un fatto di natura. La sua verità sta nella sua dignità inviolabile, oltre ogni riduzionismo scientifico. A proposito dell’enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI
di Camillo Ruini
La globalizzazione chiama le nazioni di matrice cristiana a preservare e a far fruttificare in pienezza la centralità dell’uomo, valore nato nelle culture d’Europa e d’America, contrassegnate dal Vangelo
Tornano gli «Incontri in Cattedrale» organizzati dal Vicariato di Roma. Ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano si è tenuta la prima conferenza del nuovo ciclo, dedicato all’ultima enciclica di Benedetto XVI, la «Caritas in veritate». La riflessione, sui fondamenti antropologici del documento, è stata tenuta dal cardinale Camillo Ruini (di cui qui pubblichiamo la parte finale), che quando era vicario della Capitale aveva voluto questa «iniziativa culturale offerta alla città». Lo ha ricordato il cardinale Agostino Vallini, sostituto di Ruini nella diocesi di Roma, nel saluto introduttivo della serata. Con la «Caritas in veritate» ha spiegato Vallini«il Papa ha offerto alla Chiesa e a tutti gli uomini di buona volontà una riflessione di grande impegno argomentativo sullo sviluppo umano, un documento organico di analisi e di progetto per un mondo nuovo; potremmo dire: un manuale etico per l’economia, e anche una guida alla politica, intesa in senso alto». Secondo Vallini è necessario soffermarsi «sui fondamenti antropologici dello sviluppo umano integrale. È un tema necessario per comprendere l’impianto del documento». Nel senso che, ha proseguito Vallini, per il Papa «nessuna questione che interessa l’uomo può prescindere dal rinvio ai fondamenti. Cioè non è possibile parlare di 'sviluppo' cui non sia sottesa una visione antropologica ed etica». Vallini ha ricordato come la diocesi di Roma «deve molto» a Ruini, «che ha donato senza risparmio le sue energie di mente e di cuore per 17 anni come Vicario del Santo Padre». Così come gli «deve molto» anche la Chiesa italiana, che in lui «ha trovato una guida intelligente e lungimirante». Gli «Incontri in Cattedrale» proseguono il 22 febbraio e l’8 marzo, rispettiavmente con l’economista Mario Monti e il «collega» Stefano Zamagni. (G. Card.)
L’enciclica Caritas in veritate costi­tuisce un grande appello anzitutto ai credenti in Cristo, ma anche a tutti coloro che condividono la centralità della persona umana e l’assoluta non ridu­cibilità del suo essere e del suo valore a tut­to il resto della natura. Un appello che ha al­la base, insieme alla centralità del soggetto umano e alla sua dignità inviolabile, il le­game inscindibile tra carità e verità, con la conseguenza che un cristianesimo di carità senza verità diventa fatalmente marginale nel divenire concreto della storia.
Il contenuto di questo appello è orientare a favore dell’uomo la nuova fase che si sta a­prendo per il fatto che l’uomo sta diven­tando capace di modificare fisicamente se stesso: è questo infatti il cuore della nuova «questione antropologica».
Vi sono almeno due condizioni essenziali perché un tale appello possa essere accol­to e avere una reale efficacia storica. La pri­ma di esse ha a che fare con il processo di globalizzazione e con i mutamenti in corso nei grandi equilibri geo-economici e geo­politici, ma anche e inevitabilmente geo­culturali. Di fatto, oggi stanno riemergendo e assumendo un peso sempre maggiore al­cune grandi nazioni e civiltà che negli ulti­mi secoli erano state sovrastate dall’Occi­dente. Queste nazioni e civiltà non hanno quella matrice cristiana che, malgrado tut­te le infedeltà storiche, oggi, malgrado i pro­cessi di secolarizzazione, appartiene al D­na dell’Europa, delle due Americhe e di al­tre considerevoli parti del mondo. La cen­tralità della persona umana si è però affer­mata storicamente proprio in quelle cultu­re che hanno la loro matrice nel cristiane­simo. Sono dunque i popoli eredi di tali cul­ture quelli che per primi hanno la respon­sabilità e il compito di mantenere e far frut­tificare la centralità dell’uomo nella nuova fase storica che si apre davanti a noi, pur cercando, come è doveroso e necessario, di sollecitare anche le altre nazioni e civiltà ad un impegno convergente.
In particolare l’Italia ha a questo fine un ruo­lo peculiare tra le stesse nazioni europee, ruolo fortemente sottolineato da Giovanni Paolo II, ad esempio nella Lettera ai vesco­vi italiani del 6 gennaio 1994, dove scrive­va: «All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di di­fendere per tutta l’Europa il patrimonio re­ligioso e culturale innestato a Roma dagli a­postoli Pietro e Paolo». Con uguale vigore Benedetto XVI, nel discorso alla Chiesa ita­liana tenuto a Verona il 19 ottobre 2006, sot­tolineava che, attraverso un atteggiamento dinamico e non rinunciatario, «la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insi­dia del secolarismo e altrettanto universa­le è la necessità di una fede vissuta in rap­porto alle sfide del nostro tempo». Di que­sto compito e servizio noi italiani dobbia­mo essere assai più convinti e consapevo­li.
La seconda condizione per accogliere sul serio l’appello contenuto nella Caritas in veritate riguarda ognuno di noi, all’interno della situazione che ciascuno si trova a vi­vere.
Siamo infatti tutti corresponsabili per­ché la centralità del soggetto umano assu­ma un rilievo forte e concreto, capace di in­cidere sul crescente potere che l’umanità sta acquistando di modificare fisicamente se stessa, per orientare questo potere a fa­vore dell’uomo, considerato in ogni singo­la persona e in ogni fase della vita sempre come fine e mai come mezzo. In pratica, re­sponsabilità e impegno sono richiesti agli scienziati, ai medici e agli altri operatori sa­nitari ma ugualmente agli uomini della cul­tura e della comunicazione sociale, anzi, ad ogni persona che pensa e agisce, perché la cultura reale di un popolo è fatta dalle con­vinzioni e dalle scelte che tutti compiono ogni giorno. Grandi sono, inoltre, le re­sponsabilità dei politici, legislatori e am­ministratori, ma di nuovo, in un Paese de­mocratico, anche di ogni cittadino chiamato a compiere le proprie scelte politiche. E an­cora molto dipende da chi può guidare o condizionare gli enormi interessi econo­mici che spesso stanno dietro al lavoro de­gli scienziati e dei tecnici: anche qui le scel­te quotidiane delle persone e delle famiglie hanno però, in concreto, un pe­so non trascurabile. Finalmen­te, una specifica responsabilità riguarda noi sacerdoti e vesco­vi, i religiosi e le religiose, cia­scun credente che intende esse­re testimone e missionario del­la fede nel Dio amico dell’uomo. Pertanto, come ha scritto il filo­sofo francese Jean-Michel Be­snier in un’intervista rilasciata ad Avvenire il 1° ottobre 2009, «è necessaria una massiccia presa di coscien­za da parte della popolazione. Il fascino per le tecniche è il rovescio della medaglia di u­na disistima di sé e dell’umanità. Non si sop­portano più la vecchiaia, la malattia e la morte, e tantomeno la casualità della na­scita. Riconciliarci con la nostra finitudine, accettare le nostre debolezze… è il prere­quisito per salvare l’umanità».
«Avvenire» del 9 febbraio 2010

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