di Renato Minore
Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori, 254 pagine, 19 euro), romanzo d’esordio di Alessandro D’Avenia, trentaduenne docente di lettere, identificato con passione nell’insegnamento come il professor Keating, cioè Robin William de L’attimo fuggente, suo modello formativo. Così come lo è per “il Sognatore”, il supplente del racconto, chiamato a insegnare filosofia e storia in una classe che lo accoglie con una considerazione («Scusi prof: perché ha deciso di fare questo mestiere da sfigato?») che accomuna l’intera categoria docente, «una specie protetta che speri si estingua definitivamente».
Nella classe c’è Leo che, quando inizia a raccontarsi, odia i congiuntivi e alla fine penserà di diventare scrittore, in un singolare percorso di conoscenza e formazione. Un sedicenne pieno delle complicazioni della sua età: il suo monologo ora scanzonato e brillante ora più intimo e tormentato è il nastro su cui felicemente scorre il racconto di d’Avenia. Al centro l’amore di Leo per Beatrice: Leo non trova il coraggio di dichiararsi, ma poi nella vita di Beatrice compare la malattia, un leucemia fulminante, e molto cambia anche in lui, tra sfide in motorino, tornei di calcetto, partite alla Playstation. Il cambiamento è guidato dal carismatico supplente di storia e filosofia, oltre che da una coppia di genitori «capace di testimoniare come ci si innamora e, più che altro, come si rimane fedeli all’amore che si è incontrato». Leo manda centinaia di sms usando un numero sbagliato senza accorgersi che l’amica Silvia non l’aiuta in quella corrispondenza perché direttamente coinvolta nel sentimento. Guarda Beatrice da lontano e immagina il suo sangue trasformarsi da rosso in bianco, sotto i colpi della malattia. Impotente viene a sapere delle trasfusioni (lui stesso le dona il suo sangue), del fallito trapianto, dei bellissimi capelli che sono ormai solo un ricordo. Alla fine la va a trovare e lei gli dice che sta morendo: «Tutto l’amore che ho sentito intorno a me in questi mesi mi ha cambiata, mi ha fatto toccare Dio. A poco a poco sto smettendo di avere paura, di piangere, perché credo che chiuderò gli occhi e mi sveglierò vicino a lui».
Alcuni temi del romanzo un po’ troppo “buonista” - il perché della sofferenza, il silenzio di Dio - restano annunziati, siparietti aperti e non compiutanente narrati. Ma ha ragione Alessandro Zaccuri: il suo aspetto più interessante è nella rappresentazione per una volta non catastrofista né banale della condizione dell’adolescenza. In Bianca come il latte, rossa come il sangue avere sedici anni significa prepararsi ad averne diciassette, e poi diciotto, venti. In una parola, a crescere. Non da soli. Leo ha sempre accanto a sé qualcuno più grande, che lo guida e lo incoraggia. Può essere il professore cui ha affibbiato il soprannome di «Sognatore» oppure il padre, che lo accompagna in ospedale a compiere il suo primo gesto da uomo, una donazione di sangue che aiuti Beatrice a essere un po’ più rossa e un po’ meno bianca.
«Il Messaggero» dell'8 febbraio 2010
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