"Identità", "tradizione", "conservazione", "trascendenza": parole messe al bando. Alcune idee non hanno diritto di cittadinanza e vengono oscurate. Solo chi abiura e si genuflette alla società perbenista riesce a sopravvivere
di Marcello Veneziani
C’è un pensiero proibito che non ha diritto di cittadinanza, di parola e di visibilità, in Italia e non solo. C’è un divieto che attraversa e congiunge giornali, media, politica e cultura. C’è un tabù perfino più grande del marchio d’infamia che investe Berlusconi. Ma di quest’altro tabù non ce ne accorgiamo nemmeno. Non è un complotto, anche se nel suo seno serpeggiano campagne orchestrate con fini palesi. È piuttosto un automatico sintonizzarsi al programma dominante da parte di un gregge di funzionari intellettuali e politici. Qual è il pensiero proibito? Proverò a dirlo in breve, ma sarà difficile, vi avverto.
In primis, è proibito pensare l’identità, ovvero la coerenza di un volto, una storia e una dignità alla prova del tempo, seppure esposta alle intemperie della vita e ai mutamenti del mondo. L’identità è considerata in sé un male, una chiusura, un carcere, quando invece è una ricchezza se sa aprirsi alla vita e incontrare la differenza. All’identità e alle radici è negato l’accesso alla libertà e alla democrazia contemporanea; anzi l’identità e le radici vengono connotate di razzismo, e perciò negate e interdette. È proibito poi pensare la comunità se non in forma di umanità e filantropia universale, comunismo dolce, perché la comunità è considerata una gabbia popolata di fantasmi furiosi del passato. Si può essere individualisti o cosmopoliti, ma guai a esporre un pensiero che dia senso e valore ad una comunità di origine e di sorte, che passi attraverso legami reali, naturali ed elettivi. Dalla famiglia alla propria città, dalla terra alla nazione e alla civiltà. Anche le identità dei popoli sono considerate oscene.
È proibito poi pensare la tradizione fuori dai circuiti turistico-commerciali in cui serve per vendere un prodotto, o una location. La tradizione è liquidata e confusa con il vecchiume, quando invece è l’unica premessa/promessa di continuità perché comporta un legame con un passato e un futuro. È consentito connettersi in senso orizzontale tramite il web, la tv e la tecnica, ma è vietato connettersi in senso verticale tramite la cultura, alle origini e ai frutti. Puoi connetterti ai contemporanei, non al pensiero dell’eredità e della gravidanza, al pensiero paterno e filiale. L’uso stesso di parole del lessico famigliare è sconveniente. Al più puoi vivere la famiglia, ma è osceno pensarla.
Sul piano politico, è vietato pensare la rivoluzione conservatrice, ovvero un pensiero radicato e anche radicale, quando occorre, esposto alle fratture e ai mutamenti del nostro tempo. La rivoluzione fu sostituita dall’innovazione, che non implica la volontà dei soggetti ma la forza automatica dei cambiamenti, indotti dalla tecnica e dalle mode. E l’aggettivo conservatrice è squalificato, connota un’offesa, è vietato il suo uso positivo in politica e in società.
È poi proibito pensare l’invisibile, che evoca la vita ulteriore, la trascendenza, la memoria dei morti. Si possono vivere mondi virtuali, uscire dalla realtà tramite tecnica, fiction o fumo, polvere e pasticche, ma è osceno pensare qualcosa che evochi il sacro e superi l’orizzonte tecnico ed economico, materiale o fittizio. Non c’è spazio pubblico nemmeno per Dio; solo accesso privato, e remoto, fra le grate dell’interiorità. È proibito pensare il destino, ovvero un disegno intelligente di vita che ci accompagna dalla nascita, e anche prima, alla morte, e anche dopo. È osceno pensare che l’importante della vita non sia diventare più liberi o più uguali, ma avere un destino, cioè avere un senso, una direzione, un ordito, e di ogni cosa resti traccia. È proibito pensare il ritorno perché l’ideologia del progresso si è rifugiata nella tecnica e nel suo procedere automatico; non è possibile ripensare e riscoprire le origini. È vietato pensare che ci possa essere un altro modo di vivere oltre il presente e oltre quest’ultimo, venale occidente. È proibito avere un pensiero libero, fondato e divergente ed è grottesco pensare che questo divieto sia sorto con l’egemonia dei liberatori, sessantottardi e non solo.
Eppure quel che ho descritto è un pensiero positivo, un pensiero che si apre alla nascita e alla continuità; un pensiero d’amore, senza violenza, che collega alla vita e connette le persone. Un pensiero che si fonda sulla realtà e tra l’essere e il non essere scommette sull’essere; vuole dar senso alla vita. Ma piovono libri, articoli e dichiarazioni che lo irridono, lo cancellano, lo dichiarano inesistente. Non lo discutono, lo seppelliscono. Per restare nel piccolo mondo del quotidiano, ne ho letti svariati negli ultimi giorni, con una sincronia impressionante. Lividi verso il pensiero proibito, pieni di elogi agli attacchini del nulla, pompati e inconsistenti ma utili per denigrare l’osceno pensare.
Sinistra e destra morirono insieme dopo una lunga agonia. Ma agli orfani della sinistra fu riconosciuta la pensione, la riconvertibilità e il credito culturale; agli orfani della destra fu dato invece il vituperio e lo sfratto esecutivo dalla casa paterna, dichiarata inagibile. Salvo abiura e integrazione nel nichilismo. Ai primi si rimprovera il lutto e la nostalgia ma si riconoscono le opere, il pensiero e la presenza. Ai secondi si nega il pensiero e la sua consistenza, anzi la loro esistenza. Non è questione di destra o cultura di destra, sono classificazioni insensate ormai. Ma c’è chi vuole cancellare sotto quel nome decotto ogni traccia del pensiero osceno. E si premia chi abbandona quell’identità, se mai l’ha veramente avuta, sostenendo che non si è perso niente perché quell’identità non c’era e non valeva niente. Tra i profughi del pensiero proibito taluni sopravvivono passando alla clandestinità, altri alla dissimulazione; c’è chi si rifugia in ambiti narrativi o in storie remote, chi nelle accademie e chi nel folclore, accettando di farsi caricatura di quel pensiero. Magari con qualche polizza: provvedersi di patente antiberlusconiana, genuflettersi ai santuari del presente o accattivarsi la società letteraria.
Al più sopravvive, spenta o sedata, qualche crosta di pensiero proibito separata dal suo contesto, senza più radici né frutti e organica tessitura. Eppure è diffuso nella vita reale dei popoli e nell’animo delle persone. Il pensiero vietato è la nuova oscenità del presente; sperando che scivoli nei tabù indicibili e perseguibili a norma di legge, di tipo razzista, sessista e revisionista. Chi coltiva il pensiero proibito è condannato all’anello di Gige, che rende invisibili. E al certificato di morte in vita. Scusate l’interruzione, riprendete a suonare il Silenzio.
In primis, è proibito pensare l’identità, ovvero la coerenza di un volto, una storia e una dignità alla prova del tempo, seppure esposta alle intemperie della vita e ai mutamenti del mondo. L’identità è considerata in sé un male, una chiusura, un carcere, quando invece è una ricchezza se sa aprirsi alla vita e incontrare la differenza. All’identità e alle radici è negato l’accesso alla libertà e alla democrazia contemporanea; anzi l’identità e le radici vengono connotate di razzismo, e perciò negate e interdette. È proibito poi pensare la comunità se non in forma di umanità e filantropia universale, comunismo dolce, perché la comunità è considerata una gabbia popolata di fantasmi furiosi del passato. Si può essere individualisti o cosmopoliti, ma guai a esporre un pensiero che dia senso e valore ad una comunità di origine e di sorte, che passi attraverso legami reali, naturali ed elettivi. Dalla famiglia alla propria città, dalla terra alla nazione e alla civiltà. Anche le identità dei popoli sono considerate oscene.
È proibito poi pensare la tradizione fuori dai circuiti turistico-commerciali in cui serve per vendere un prodotto, o una location. La tradizione è liquidata e confusa con il vecchiume, quando invece è l’unica premessa/promessa di continuità perché comporta un legame con un passato e un futuro. È consentito connettersi in senso orizzontale tramite il web, la tv e la tecnica, ma è vietato connettersi in senso verticale tramite la cultura, alle origini e ai frutti. Puoi connetterti ai contemporanei, non al pensiero dell’eredità e della gravidanza, al pensiero paterno e filiale. L’uso stesso di parole del lessico famigliare è sconveniente. Al più puoi vivere la famiglia, ma è osceno pensarla.
Sul piano politico, è vietato pensare la rivoluzione conservatrice, ovvero un pensiero radicato e anche radicale, quando occorre, esposto alle fratture e ai mutamenti del nostro tempo. La rivoluzione fu sostituita dall’innovazione, che non implica la volontà dei soggetti ma la forza automatica dei cambiamenti, indotti dalla tecnica e dalle mode. E l’aggettivo conservatrice è squalificato, connota un’offesa, è vietato il suo uso positivo in politica e in società.
È poi proibito pensare l’invisibile, che evoca la vita ulteriore, la trascendenza, la memoria dei morti. Si possono vivere mondi virtuali, uscire dalla realtà tramite tecnica, fiction o fumo, polvere e pasticche, ma è osceno pensare qualcosa che evochi il sacro e superi l’orizzonte tecnico ed economico, materiale o fittizio. Non c’è spazio pubblico nemmeno per Dio; solo accesso privato, e remoto, fra le grate dell’interiorità. È proibito pensare il destino, ovvero un disegno intelligente di vita che ci accompagna dalla nascita, e anche prima, alla morte, e anche dopo. È osceno pensare che l’importante della vita non sia diventare più liberi o più uguali, ma avere un destino, cioè avere un senso, una direzione, un ordito, e di ogni cosa resti traccia. È proibito pensare il ritorno perché l’ideologia del progresso si è rifugiata nella tecnica e nel suo procedere automatico; non è possibile ripensare e riscoprire le origini. È vietato pensare che ci possa essere un altro modo di vivere oltre il presente e oltre quest’ultimo, venale occidente. È proibito avere un pensiero libero, fondato e divergente ed è grottesco pensare che questo divieto sia sorto con l’egemonia dei liberatori, sessantottardi e non solo.
Eppure quel che ho descritto è un pensiero positivo, un pensiero che si apre alla nascita e alla continuità; un pensiero d’amore, senza violenza, che collega alla vita e connette le persone. Un pensiero che si fonda sulla realtà e tra l’essere e il non essere scommette sull’essere; vuole dar senso alla vita. Ma piovono libri, articoli e dichiarazioni che lo irridono, lo cancellano, lo dichiarano inesistente. Non lo discutono, lo seppelliscono. Per restare nel piccolo mondo del quotidiano, ne ho letti svariati negli ultimi giorni, con una sincronia impressionante. Lividi verso il pensiero proibito, pieni di elogi agli attacchini del nulla, pompati e inconsistenti ma utili per denigrare l’osceno pensare.
Sinistra e destra morirono insieme dopo una lunga agonia. Ma agli orfani della sinistra fu riconosciuta la pensione, la riconvertibilità e il credito culturale; agli orfani della destra fu dato invece il vituperio e lo sfratto esecutivo dalla casa paterna, dichiarata inagibile. Salvo abiura e integrazione nel nichilismo. Ai primi si rimprovera il lutto e la nostalgia ma si riconoscono le opere, il pensiero e la presenza. Ai secondi si nega il pensiero e la sua consistenza, anzi la loro esistenza. Non è questione di destra o cultura di destra, sono classificazioni insensate ormai. Ma c’è chi vuole cancellare sotto quel nome decotto ogni traccia del pensiero osceno. E si premia chi abbandona quell’identità, se mai l’ha veramente avuta, sostenendo che non si è perso niente perché quell’identità non c’era e non valeva niente. Tra i profughi del pensiero proibito taluni sopravvivono passando alla clandestinità, altri alla dissimulazione; c’è chi si rifugia in ambiti narrativi o in storie remote, chi nelle accademie e chi nel folclore, accettando di farsi caricatura di quel pensiero. Magari con qualche polizza: provvedersi di patente antiberlusconiana, genuflettersi ai santuari del presente o accattivarsi la società letteraria.
Al più sopravvive, spenta o sedata, qualche crosta di pensiero proibito separata dal suo contesto, senza più radici né frutti e organica tessitura. Eppure è diffuso nella vita reale dei popoli e nell’animo delle persone. Il pensiero vietato è la nuova oscenità del presente; sperando che scivoli nei tabù indicibili e perseguibili a norma di legge, di tipo razzista, sessista e revisionista. Chi coltiva il pensiero proibito è condannato all’anello di Gige, che rende invisibili. E al certificato di morte in vita. Scusate l’interruzione, riprendete a suonare il Silenzio.
«Il Giornale» dell'11 febbraio 2010
1 commento:
Veneziani non è, come può sembrare, una scheggia impazzita, elemento inconsistente di un pensiero in via d'estinzione. Al contrario,ad essere in via d'estinzione è il pensiero opposto, quello che esalta il nulla, quel nulla che proviene dal nulla e va verso il nulla. Quel " non pensiero " che ha raggiunto il suo culmine( ed ha pertanto iniziato la fase discendente della sua parabola ) proprio in quel tremendo ma forse inevitabile come tanti altri sconvolgimenti del '900, che è stato il '68. Inutile negare che dà ciò sono scaturiti tanti mali cronici da cui è affetta la nostra società: l'esaltazione e banalizzazione della morte e della violenza; l'accettazione di quest'ultima come male inevitabile e la sua blanda condanna, soprattutto a livello giudiziario ( e di conseguenza nella società, a cominciare dalla scuola); la denigrazione e parziale distruzione della famiglia con grande gioia di chi vorrebbe vedere i bimbi e i ragazzi crescere all'interno dei Centri Sociali; il misconoscimento e la derisione di qualsiasi forma di Autorità, morale, civile, religiosa, istituzionale; le menzogne contiunuamente reiterate sulla bontà delle droghe e sul disordine morale e sessuale che sconvolge soprattutto,ma non solo, le giovani menti e produce una destabilizzazione di cui si vedono ampiamente i frutti. Gli stravolgimenti del '900 sono pur sempre esperienze, per quanto negative, utili da cui trarre profitto, per le generazioni future. Caro Veneziani,non sei il solo a chiamare ogni cosa con il proprio nome, siamo in tanti ma non tutti abbiamo la possibilità di rivolgerci ad un vasto uditorio, sebbene facciamo del nostro meglio,ognuno nel suo piccolo.
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