«Quando non ha limiti il piccolo sconfina sistematicamente e finisce con l’ammalarsi», dice il pedagogista Daniele Novara
di Rossana Sisti
Oggi i genitori sono troppo preoccupati di costruire con i figli relazioni alla pari
La metafora è quella del greto del fiume. «Senza argini l’acqua impetuosa straripa. E così è la vita dei bambini, senza argini il loro impeto e la loro energia non li condurranno tranquillamente alla vita adulta. Bisogna incanalarli e contenerli. Questa è l’educazione, il compito dei genitori. Se non ha limiti il bambino sconfina sistematicamente e finisce con l’ammalarsi ». Quando Daniele Novara parla di malattie dell’educazione pensa all’insonnia, all’obesità, all’enuresi notturne, persino alle difficoltà scolastiche, a tutti quei nuovi disturbi che costituiscono il settanta per cento dell’attività ordinaria dei pediatri. Disturbi che i medici faticano a guarire, per cui non servono medicine semplicemente perché nascono quando qualcosa no va nell’educazione.
«Un’educazione che c’è, dice, perché ai bambini si cerca di non far mancare nulla, ma che non riesce a rispondere ai loro bisogni profondi». Pedagogista, direttore da vent’anni del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, Daniele Novara i genitori li ascolta da una vita. Confusi e disorientati, pieni di sensi di colpa, appesantiti da un passato fatto di millenni di vessazioni sui bambini, ma preoccupati di far bene, di non commettere gli errori delle generazioni passate, di costruire con i figli relazioni autentiche non autoritarie e alla pari, affettuose e coinvolgenti. Morbide.
«Troppo morbide, spiega. Le malattie dell’educazione nascono soprattutto da un eccesso di accudimento e di cure. I genitori si sono ritagliati un ruolo di riferimento affettivo rinunciando al senso stesso della presenza adulta nella vita dei figli, che è insegnare loro a stare al mondo. Ovvero l’autonomia». Paradossalmente, quando l’eccesso si sovrappone alla trascuratezza affettiva i disastri non cambiano. «Prendiamo il problemi dell’insonnia e del lettone, un classico. I disturbi del sonno dei bambini – ci sono piccoli di quattro anni che dormono su per giù sette ore a notte – sono il sintomo di un bisogno dei genitori di non staccarsi mai dai figli e di una difficoltà a mettere una regola chiara sulla notte. L’orario e la decisione di andare a letto sono spesso frutto di negoziati penosi, lunghi e faticosi, di una battaglia che spesso lascia morti e feriti sul campo, perché manca una regola chiara. E così lo sconfinamento nel lettone, un disturbo serio dal punto di vista emotivo ma parecchio sottovalutato dai genitori».
Da un’indagine svolta dal Centro di Piacenza tra i bambini di prima elementare, di sei città italiane sono emersi numeri preoccupanti: il 20 per cento dei bambini passa sistematicamente la notte nel letto di mamma e papà, spesso espropriando quest’ultimo che migra nella cameretta del pupo, mentre un altro 40 per cento va e viene dal lettino al lettone con soste più o meno prolungate. «Mentre il bambino controlla sessualmente i genitori, continua Novara, questi gli manifestano un affetto totale, uno spasmodico bisogno simbiotico di compiacerlo, invece di lavorare per la sua autonomia. Vedo in questi genitori una difficoltà evidente a stabilire una giusta distanza nell’educare. Il fatto è che l’atteggiamento di tipo materno, protettivo simbiotico alla lunga non funziona. Molti adulti credono che un buon rapporto con i figli debba essere fondato sulla vicinanza e sulla confidenza continua e assoluta, che deve proseguire anche di notte. Non è così. Si cresce in uno spazio definito e regolato di confini chiari e di libertà. La pipì a letto dei bambini, dopo i cinque, e la difficoltà nel togliere il pannolone sono altrettanti sintomi di uno stesso disagio. Papa e mamma sono accondiscendenti, lasciano fare, senza capire che il loro eccesso provoca atteggiamenti tirannici del bambino. La parola stessa incontinenza suggerisce il nesso tra l’enuresi e la mancanza di argini e di contenimento dell’ambiente familiare».
Che anche i disturbi del linguaggio come quelli dell’alimentazione non siano difficoltà da rimandare tanto al logopedista o al dietologo ma nuovamente a un difetto educativo è un’ulteriore conferma per Daniele Novara, che i genitori vadano aiutati nel capire il loro compito. E non è un caso che il libro che offre una moltitudine di riflessioni e grado di intercettare le richieste del bambino prima ancora che questi le esprima verbalmente, a lui non resta che disattivare queste funzioni, salvo arrivare a tre anni senza strutture di linguaggio sufficientemente articolate. Se infine si confonde l’alimentazione con il rito sacro e comunicativo del mangiare come occasione d’incontro, l’equivoco è totale e le cose non vanno meglio». Il bambino che ha accesso al frigo a qualsiasi orario, che partecipa a pranzi e cene in cui tv e cellulari sono accesi e ognuno pensa ai casi suoi, che infine vive una vita da sedentario televisivo, evidentemente ingrassa. Gli scompensi sono lampanti. Con la pacatezza e l’ironia che gli sono congeniali Daniele Novara propone una semplice soluzione, da sperimentare. «Dobbiamo uscire dalla cultura delle proibizioni e punizioni ed entrare in quella delle regole».
«Noi lo sgridiamo tanto… –, mi dicono molti genitori, disperati dei capricci del figlio. – Lo minacciamo di togliergli la tv…» ma così, confondendo la regola con il comando, non fanno che indebolire il proprio ruolo. Allora l’effetto è drammatico: ma se la regola è chiara, se è stata capita, se i genitori la condividono sistematicamente e sono uniti nel farla rispettare, il bambino si adegua facilmente, l’acquisisce la regola naturalmente come fatto di libertà. Come un territorio entro cui può muoversi liberamente.
Invece da noi continua a imperversare la cultura del genitore spontaneo, che a volte concede a volte no, a seconda dei propri umori, che discute, che accondiscende pur di non dispiacere al bimbo, che si piega a scaramucce continue alla domanda ossessiva… «e tu cosa vuoi fare?» Interrogativo che caccia i bambini in uno stato di ansia e agitazione, in una specie di orfanità educativa. Mentre al contrario avrebbero bisogno di sentire che i genitori sanno prendere decisioni e responsabilità. E sono determinati.
«Un’educazione che c’è, dice, perché ai bambini si cerca di non far mancare nulla, ma che non riesce a rispondere ai loro bisogni profondi». Pedagogista, direttore da vent’anni del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, Daniele Novara i genitori li ascolta da una vita. Confusi e disorientati, pieni di sensi di colpa, appesantiti da un passato fatto di millenni di vessazioni sui bambini, ma preoccupati di far bene, di non commettere gli errori delle generazioni passate, di costruire con i figli relazioni autentiche non autoritarie e alla pari, affettuose e coinvolgenti. Morbide.
«Troppo morbide, spiega. Le malattie dell’educazione nascono soprattutto da un eccesso di accudimento e di cure. I genitori si sono ritagliati un ruolo di riferimento affettivo rinunciando al senso stesso della presenza adulta nella vita dei figli, che è insegnare loro a stare al mondo. Ovvero l’autonomia». Paradossalmente, quando l’eccesso si sovrappone alla trascuratezza affettiva i disastri non cambiano. «Prendiamo il problemi dell’insonnia e del lettone, un classico. I disturbi del sonno dei bambini – ci sono piccoli di quattro anni che dormono su per giù sette ore a notte – sono il sintomo di un bisogno dei genitori di non staccarsi mai dai figli e di una difficoltà a mettere una regola chiara sulla notte. L’orario e la decisione di andare a letto sono spesso frutto di negoziati penosi, lunghi e faticosi, di una battaglia che spesso lascia morti e feriti sul campo, perché manca una regola chiara. E così lo sconfinamento nel lettone, un disturbo serio dal punto di vista emotivo ma parecchio sottovalutato dai genitori».
Da un’indagine svolta dal Centro di Piacenza tra i bambini di prima elementare, di sei città italiane sono emersi numeri preoccupanti: il 20 per cento dei bambini passa sistematicamente la notte nel letto di mamma e papà, spesso espropriando quest’ultimo che migra nella cameretta del pupo, mentre un altro 40 per cento va e viene dal lettino al lettone con soste più o meno prolungate. «Mentre il bambino controlla sessualmente i genitori, continua Novara, questi gli manifestano un affetto totale, uno spasmodico bisogno simbiotico di compiacerlo, invece di lavorare per la sua autonomia. Vedo in questi genitori una difficoltà evidente a stabilire una giusta distanza nell’educare. Il fatto è che l’atteggiamento di tipo materno, protettivo simbiotico alla lunga non funziona. Molti adulti credono che un buon rapporto con i figli debba essere fondato sulla vicinanza e sulla confidenza continua e assoluta, che deve proseguire anche di notte. Non è così. Si cresce in uno spazio definito e regolato di confini chiari e di libertà. La pipì a letto dei bambini, dopo i cinque, e la difficoltà nel togliere il pannolone sono altrettanti sintomi di uno stesso disagio. Papa e mamma sono accondiscendenti, lasciano fare, senza capire che il loro eccesso provoca atteggiamenti tirannici del bambino. La parola stessa incontinenza suggerisce il nesso tra l’enuresi e la mancanza di argini e di contenimento dell’ambiente familiare».
Che anche i disturbi del linguaggio come quelli dell’alimentazione non siano difficoltà da rimandare tanto al logopedista o al dietologo ma nuovamente a un difetto educativo è un’ulteriore conferma per Daniele Novara, che i genitori vadano aiutati nel capire il loro compito. E non è un caso che il libro che offre una moltitudine di riflessioni e grado di intercettare le richieste del bambino prima ancora che questi le esprima verbalmente, a lui non resta che disattivare queste funzioni, salvo arrivare a tre anni senza strutture di linguaggio sufficientemente articolate. Se infine si confonde l’alimentazione con il rito sacro e comunicativo del mangiare come occasione d’incontro, l’equivoco è totale e le cose non vanno meglio». Il bambino che ha accesso al frigo a qualsiasi orario, che partecipa a pranzi e cene in cui tv e cellulari sono accesi e ognuno pensa ai casi suoi, che infine vive una vita da sedentario televisivo, evidentemente ingrassa. Gli scompensi sono lampanti. Con la pacatezza e l’ironia che gli sono congeniali Daniele Novara propone una semplice soluzione, da sperimentare. «Dobbiamo uscire dalla cultura delle proibizioni e punizioni ed entrare in quella delle regole».
«Noi lo sgridiamo tanto… –, mi dicono molti genitori, disperati dei capricci del figlio. – Lo minacciamo di togliergli la tv…» ma così, confondendo la regola con il comando, non fanno che indebolire il proprio ruolo. Allora l’effetto è drammatico: ma se la regola è chiara, se è stata capita, se i genitori la condividono sistematicamente e sono uniti nel farla rispettare, il bambino si adegua facilmente, l’acquisisce la regola naturalmente come fatto di libertà. Come un territorio entro cui può muoversi liberamente.
Invece da noi continua a imperversare la cultura del genitore spontaneo, che a volte concede a volte no, a seconda dei propri umori, che discute, che accondiscende pur di non dispiacere al bimbo, che si piega a scaramucce continue alla domanda ossessiva… «e tu cosa vuoi fare?» Interrogativo che caccia i bambini in uno stato di ansia e agitazione, in una specie di orfanità educativa. Mentre al contrario avrebbero bisogno di sentire che i genitori sanno prendere decisioni e responsabilità. E sono determinati.
«Avvenire» del 24 febbraio 2010
Nessun commento:
Posta un commento