di Lorenzo Fazzini
Eraldo Affinati è insegnante e scrittore, come testimoniano i suoi Secoli di gioventù e Un teologo contro Hitler (Mondadori) sulla figura di Bonhoeffer. E nel mondo giovanile vede insospettati segnali di inquietudine religiosa.
Il Papa nota che vi sono atei che vorrebbero avvicinare Dio. Questa figura antropologica è diffusa tra i giovani? «Penso che oggi, più di ieri, la sensibilità religiosa sia presente in molti giovani sotto mentite spoglie: anche quelli che non professano un credo, spesso sono capaci di gratuità a fondo perduto. Viceversa, coloro che sembrano essere più in linea con modelli tradizionali, talvolta stentano a trovare una strada che li soddisfi. Numerosi ragazzi si sentono lacerati da pulsioni contrastanti: vorrebbero affermare posizioni radicali, ma non riescono a sottrarsi ai codici di comportamento che vanno per la maggiore. Del resto, come potrebbero diventare maestri dei loro genitori? I miti del successo, della sanità e della bellezza annichiliscono ogni ricerca
interiore».
Il «cortile dei gentili» è immagine della sete di fede. Questo desiderio pare dal consumismo dilagante. L’insoddisfazione può assumere colorazioni religiose? «Il trionfo del mercato lascia dietro di sé una scia di aridità, ma anche una benefica insoddisfazione. Io il cortile dei gentili credo di viverlo ogni giorno alla Città dei ragazzi, la comunità fondata a Roma da monsignor Carroll Abbing, dove vengono accolti adolescenti di tutto il mondo, che si gestiscono in autogoverno. Un giorno tre miei scolari mi dissero di essere andati a rendere omaggio alle spoglie di Giovanni Paolo II. Uno era afghano, musulmano, uno moldavo, ortodosso, un altro italiano, indifferente. Chiesi perché lo avessero fatto. Rispose il musulmano: per rispetto. Pensai che quei tre sedicenni avevano realizzato da soli quello che i grandi capi di Stato non riescono a fare: si erano messi d’accordo, ognuno era rimasto se stesso, ma avevano compiuto un gesto nel quale tutti si riconoscevano».
Cosa dovrebbe causare nel mondo cattolico questo scambio tra credenti e non credenti? «In un mondo in cui ancora troppi pensano unicamente al colore della casacca che indossano e alla realtà multiculturale contrappongono solo la filosofia del condominio, questo dialogo potrebbe diventare l’avanguardia di un nuova relazione umana. Se ognuno riuscisse a guardare l’altro com’è avremmo realizzato l’unica vera rivoluzione fra tutte quelle fallite nel sangue del Novecento. Purtroppo siamo molto distanti da questo auspicio a causa dei pregiudizi. Io credo che la Chiesa, accanto alla necessaria struttura istituzionale, avrebbe bisogno di 'agenti segreti', nel senso in cui intendeva Dietrich Bonhoeffer: persone che nella vita quotidiano mostrano Cristo nei fatti, senza proclami. Questi individui secondo me sono i migliori. Ho riletto di recente Introduzione al cristianesimo
di Joseph Ratzinger, scritto nel 1968. E vi ho trovato riferimenti a Bonhoeffer. In quel libro si comprendeva l’intuizione di un cristianesimo adulto, di un Dio che non sia un tappabuchi e di una Chiesa che non diventi farmacia di senso, bensì la necessità di una religione che sia maggiorenne. Sento in maniera lancinante questa esigenza, che non vedo pienamente realizzata».
È ancora valida la «pretesa» della religione di parlare di Dio in chiave culturale? «A volte parla di Dio più chi lo nega di chi lo afferma. Noi italiani abbiamo esempi clamorosi: Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Entrambi atei materialisti, forzarono romanticamente quello stesso limite razionale che sentivano invalicabile, il primo nel sentimento del sepolcro, il secondo nella concezione evangelica dell’amicizia. Oggi possono insegnarci a superare gli steccati».
Il Papa nota che vi sono atei che vorrebbero avvicinare Dio. Questa figura antropologica è diffusa tra i giovani? «Penso che oggi, più di ieri, la sensibilità religiosa sia presente in molti giovani sotto mentite spoglie: anche quelli che non professano un credo, spesso sono capaci di gratuità a fondo perduto. Viceversa, coloro che sembrano essere più in linea con modelli tradizionali, talvolta stentano a trovare una strada che li soddisfi. Numerosi ragazzi si sentono lacerati da pulsioni contrastanti: vorrebbero affermare posizioni radicali, ma non riescono a sottrarsi ai codici di comportamento che vanno per la maggiore. Del resto, come potrebbero diventare maestri dei loro genitori? I miti del successo, della sanità e della bellezza annichiliscono ogni ricerca
interiore».
Il «cortile dei gentili» è immagine della sete di fede. Questo desiderio pare dal consumismo dilagante. L’insoddisfazione può assumere colorazioni religiose? «Il trionfo del mercato lascia dietro di sé una scia di aridità, ma anche una benefica insoddisfazione. Io il cortile dei gentili credo di viverlo ogni giorno alla Città dei ragazzi, la comunità fondata a Roma da monsignor Carroll Abbing, dove vengono accolti adolescenti di tutto il mondo, che si gestiscono in autogoverno. Un giorno tre miei scolari mi dissero di essere andati a rendere omaggio alle spoglie di Giovanni Paolo II. Uno era afghano, musulmano, uno moldavo, ortodosso, un altro italiano, indifferente. Chiesi perché lo avessero fatto. Rispose il musulmano: per rispetto. Pensai che quei tre sedicenni avevano realizzato da soli quello che i grandi capi di Stato non riescono a fare: si erano messi d’accordo, ognuno era rimasto se stesso, ma avevano compiuto un gesto nel quale tutti si riconoscevano».
Cosa dovrebbe causare nel mondo cattolico questo scambio tra credenti e non credenti? «In un mondo in cui ancora troppi pensano unicamente al colore della casacca che indossano e alla realtà multiculturale contrappongono solo la filosofia del condominio, questo dialogo potrebbe diventare l’avanguardia di un nuova relazione umana. Se ognuno riuscisse a guardare l’altro com’è avremmo realizzato l’unica vera rivoluzione fra tutte quelle fallite nel sangue del Novecento. Purtroppo siamo molto distanti da questo auspicio a causa dei pregiudizi. Io credo che la Chiesa, accanto alla necessaria struttura istituzionale, avrebbe bisogno di 'agenti segreti', nel senso in cui intendeva Dietrich Bonhoeffer: persone che nella vita quotidiano mostrano Cristo nei fatti, senza proclami. Questi individui secondo me sono i migliori. Ho riletto di recente Introduzione al cristianesimo
di Joseph Ratzinger, scritto nel 1968. E vi ho trovato riferimenti a Bonhoeffer. In quel libro si comprendeva l’intuizione di un cristianesimo adulto, di un Dio che non sia un tappabuchi e di una Chiesa che non diventi farmacia di senso, bensì la necessità di una religione che sia maggiorenne. Sento in maniera lancinante questa esigenza, che non vedo pienamente realizzata».
È ancora valida la «pretesa» della religione di parlare di Dio in chiave culturale? «A volte parla di Dio più chi lo nega di chi lo afferma. Noi italiani abbiamo esempi clamorosi: Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Entrambi atei materialisti, forzarono romanticamente quello stesso limite razionale che sentivano invalicabile, il primo nel sentimento del sepolcro, il secondo nella concezione evangelica dell’amicizia. Oggi possono insegnarci a superare gli steccati».
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Mastrocola: «Sopra la materia, scoprire l’altro piano del vivere»
« I grandi poeti del passato, anche se atei, si sono sempre posti questi interrogativi: in Leopardi, il più ateo, c’era sempre la domanda sul fine ultimo e il senso della vita. Ora questi interrogativi stanno cadendo».
Da appassionata educatrice e scrittrice apprezzata (si ricorda La gallina volante del suo esordio, edito da Guanda), Paola Mastrocola chiede di tornare alla poesia per accedere al «secondo piano» dell’esistenza.
Il Papa ha parlato di quanti vedono Dio come «sconosciuto» ma che vorrebbero avvicinarlo come «Sconosciuto ». Da insegnante, i giovani che lei incontra fanno parte della prima o della seconda categoria? «Faccio un passo indietro. Prima di Dio parlerei di valori meno connotati religiosamente ma di natura metafisica. Ma oggi, ahimè, tra i giovani manca la spiritualità, cioè il desiderio di andare oltre il materiale. È assente 'il secondo piano' della vita. Al primo vi sono il lavoro, i consumi… al secondo l’ordine simbolico e l’idealismo. Ebbene, questo manca. Come ci può essere Dio in un mondo tutto appiattito sul materiale? Io insegno letteratura italiana. Secondo me, che forse non sono neppure cattolica, è una cosa molto religiosa perché parla del 'secondo piano' dell’esistenza: insegna che oltre alla lettera nel testo c’è dell’altro».
Tempo fa ci fu chi – Ferruccio Parazzoli – denunciò che i grandi temi nei romanzi di oggi sono spariti. Nella letteratura odierna Dio è presente? «Condivido l’affermazione di Parazzoli: e la letteratura è colpevole perché ha smarrito la sua strada. La stessa caduta di importanza dell’elemento lirico è grave: non esiste più la lirica, non si vende la poesia e – se oggi non si vende – ancora meno si pubblica. Ha mai visto un libro di poesia in vetrina? Eppure la poesia è la versione laica della preghiera. Questo dovremmo ricominciare a fare a scuola, leggere poesia: sareb- be un modo laico per portare i giovani a Dio. C’è bisogno di educare a una religiosità che non sia immediatamente connotata, che risulti educazione alla metafisica».
Da quali autori potrebbe prendere nuovo slancio il dialogo tra laici e cattolici? «Mi piacerebbe che si tornasse a leggere la Bibbia, sparita dalla scuola. Io alla fine della quinta elementare conoscevo tutte le storie del più grande paradigma culturalmente dell’Occidente. Leggiamo la Bibbia in classe, oltre a Omero! Poi farei leggere la prima parte delle Confessioni di Agostino. È un’opera importantissima per un ragazzo che sta crescendo, scritta da un giovane che ha incontrato Dio».
Si può insegnare Dio? «Lo si dovrebbe suggerire senza lanciare nessun messaggio consapevole, altrimenti diventa debole. Dobbiamo suggerirlo indirettamente nel nostro lavoro. Già un adulto che legge, che predilige la contemplazione all’azione immediata, è un’idea forte: ricordo l’episodio che Agostino racconta nelle Confessioni, quando andava dal vescovo Ambrogio per consultarsi e chiedere consiglio, e questi non lo riceveva perché stava leggendo. Sentire che Ambrogio stava leggendo era il miglior incontro con Dio che Agostino potesse fare».
Come accoglie l’idea del «cortile» come luogo di dialogo tra credenti e non credenti? «Mi piace molto questa immagine, anche se la vedo ancora un po’ astratta; ma oggi non vedo una mancanza di dialogo. A me è successo sul piano educativo quando, anni fa, sono stata invitata da alcuni cattolici, nel caso specifico di Comunione e liberazione , a parlare dell’educazione: fu un grandissimo incontro, la pensavamo allo stesso modo. Ma un confronto simile può avvenire con un’altra idea forte di scuola, quella di don Milani. È un bene, comunque, che il Papa abbia detto tutto questo».
«Avvenire» del 23 febbraio 2010
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