Tutti siamo abituati alla vasta gamma delle trasgressioni di una norma sessuale definita forse abusivamente “naturale”, però certamente ragionevole
di Giuliano Ferrara
Si tratta del desueto unirsi tra uomo e donna, specie in età di far figli; e poi del vivere la vita sublimando le pulsioni carnali nella fiducia, nell’amore, nella dedizione, nell’educazione, nell’amicizia, nell’edificazione dello spirito e nella costruzione leale dell’amore di Dio e dell’umanità (magari con qualche intermittente perfidia del cuore, sennò ci si annoia). Siamo talmente abituati alla chiacchiera libertina che ci lasciamo sorprendere dagli scandali d’improvviso affioranti nella vita pubblica. Certe storie stranamente contraddicono, sotto il profilo simbolico, quel che nell’immaginazione privata è considerato consuetudine. Qualche settimana fa parlammo del caso Marrazzo, ora è la volta di John Terry, il calciatore degradato da Fabio Capello per via di un adulterio.
Il Corriere ha dedicato due commenti alla faccenda, uno di Giangiacomo Schiavi e l’altro di Pierluigi Battista. Schiavi per prima cosa si preoccupa di mettere Capello al riparo dall’accusa di moralismo o perbenismo, e connota come mero atto simbolico la destituzione del capitano della nazionale inglese. Se vuoi guidare una squadra non puoi farti le mogli dei compagni. L’adulterio però, in quanto tale, è promosso con solennità in apertura del commento, senza fascia lo si può fare anche strano o stranissimo, e senza complessi, evviva: “Da oggi il calciatore Terry può continuare il suo slalom tra sottane e modelle senza sensi di colpa e senza doverne rendere conto alla nazione”. Punizione e liberazione, si direbbe. In fatto di morale sessuale, una volta castigata simbolicamente la propensione a tradire, ingannare, mentire, puoi ricominciare da capo a tradire, ingannare, mentire tranquillo, libero da simboli pubblici ai quali si è reso un ipocrita omaggio. E vai!
In Schiavi c’è naturalmente dell’ironia, ma Battista è più sottile, perché riconosce per lo meno che “John Terry non è proprio l’amico che ciascuno vorrebbe, avendo intrecciato un rapporto con Vanessa Perroncel, al tempo fidanzata di Wayne Bridge, amico e compagno di nazionale”. E qui è il punto. Non lo vuoi come amico, l’adultero, né vuoi come fidanzata la sua complice, però quel comportamento è moralmente sindacabile solo nel foro interiore (eventualmente, se proprio necessario, alla fin fine, tutto considerato, con molte scuse). Nel luogo, in interiore homine, in cui la fiducia tradita può certo ardere di viva fiamma nel pentimento o, il che avviene più spesso, può essere anestetizzata dalla buona coscienza, che è la cattiva coscienza lavata dalle consuetudini sociali diffuse. Perché, salva questa clausola di salvataggio e sicurezza della psicologia personale (amico, no), per il resto Battista dice che “non si capisce bene quale sia la colpa che gli ha fatto meritare la punizione”, “né è ancora chiaro chi abbia consegnato a Capello le chiavi di un’autorità morale che giudica e punisce sulle storie sessuali dei sudditi di sua maestà”, comminando quella sanzione che “non è scritta in alcun contratto”.
“Storie sessuali”, “slalom tra sottane e modelle”: la parola adulterio è in disuso, tradimento è appena appena più accettata, ma l’eufemismo trionfa. È vero, e lo sostengo da tempo, quel che dice Battista: il neomoralismo è schizofrenico, a corrente alternata, di volta in volta ci sentiamo tutti libertini e poi censori, agenti di buoncostume, senza che sia spiegato il criterio dirimente dell’uno e dell’altro giudizio. Ma la causa di questo è chiara, caro Battista: se è lecito tutto ciò che non è vietato da un contratto positivo, se in un caso di corna vediamo solo la commedia senza nemmeno ricordarci che la radice della comicità è nel peccato contro le illusioni dell’amore e dell’amicizia, insomma una radice amara; allora vuol dire che un criterio solido, unico, non c’è o non lo riconosciamo per tale. La chiesa chiama quel criterio morale naturale, legge razionale inscritta addirittura nei cuori o nella coscienza. Forse sbaglia. Oppure ha qualcosa da insegnarci.
Il Corriere ha dedicato due commenti alla faccenda, uno di Giangiacomo Schiavi e l’altro di Pierluigi Battista. Schiavi per prima cosa si preoccupa di mettere Capello al riparo dall’accusa di moralismo o perbenismo, e connota come mero atto simbolico la destituzione del capitano della nazionale inglese. Se vuoi guidare una squadra non puoi farti le mogli dei compagni. L’adulterio però, in quanto tale, è promosso con solennità in apertura del commento, senza fascia lo si può fare anche strano o stranissimo, e senza complessi, evviva: “Da oggi il calciatore Terry può continuare il suo slalom tra sottane e modelle senza sensi di colpa e senza doverne rendere conto alla nazione”. Punizione e liberazione, si direbbe. In fatto di morale sessuale, una volta castigata simbolicamente la propensione a tradire, ingannare, mentire, puoi ricominciare da capo a tradire, ingannare, mentire tranquillo, libero da simboli pubblici ai quali si è reso un ipocrita omaggio. E vai!
In Schiavi c’è naturalmente dell’ironia, ma Battista è più sottile, perché riconosce per lo meno che “John Terry non è proprio l’amico che ciascuno vorrebbe, avendo intrecciato un rapporto con Vanessa Perroncel, al tempo fidanzata di Wayne Bridge, amico e compagno di nazionale”. E qui è il punto. Non lo vuoi come amico, l’adultero, né vuoi come fidanzata la sua complice, però quel comportamento è moralmente sindacabile solo nel foro interiore (eventualmente, se proprio necessario, alla fin fine, tutto considerato, con molte scuse). Nel luogo, in interiore homine, in cui la fiducia tradita può certo ardere di viva fiamma nel pentimento o, il che avviene più spesso, può essere anestetizzata dalla buona coscienza, che è la cattiva coscienza lavata dalle consuetudini sociali diffuse. Perché, salva questa clausola di salvataggio e sicurezza della psicologia personale (amico, no), per il resto Battista dice che “non si capisce bene quale sia la colpa che gli ha fatto meritare la punizione”, “né è ancora chiaro chi abbia consegnato a Capello le chiavi di un’autorità morale che giudica e punisce sulle storie sessuali dei sudditi di sua maestà”, comminando quella sanzione che “non è scritta in alcun contratto”.
“Storie sessuali”, “slalom tra sottane e modelle”: la parola adulterio è in disuso, tradimento è appena appena più accettata, ma l’eufemismo trionfa. È vero, e lo sostengo da tempo, quel che dice Battista: il neomoralismo è schizofrenico, a corrente alternata, di volta in volta ci sentiamo tutti libertini e poi censori, agenti di buoncostume, senza che sia spiegato il criterio dirimente dell’uno e dell’altro giudizio. Ma la causa di questo è chiara, caro Battista: se è lecito tutto ciò che non è vietato da un contratto positivo, se in un caso di corna vediamo solo la commedia senza nemmeno ricordarci che la radice della comicità è nel peccato contro le illusioni dell’amore e dell’amicizia, insomma una radice amara; allora vuol dire che un criterio solido, unico, non c’è o non lo riconosciamo per tale. La chiesa chiama quel criterio morale naturale, legge razionale inscritta addirittura nei cuori o nella coscienza. Forse sbaglia. Oppure ha qualcosa da insegnarci.
«Il Foglio» dell'8 febbraio 2010
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