Le reazioni di filosofi, storici, scrittori, alla denuncia di Galli della Loggia sulla mancanza di una visione nazionale
di Dino Messina
Cacciari: serve una fase costituente. Vassalli: crisi europea I giudizi Cardini: «La speranza viene dai giovani». Lizzani: «Ripartire dal patrimonio culturale»
In «Un Paese senza politica», l’editoriale pubblicato ieri dal «Corriere della sera», Ernesto Galli della Loggia fotografa lo smarrimento presente. Delineando i contorni geopolitici che stanno dietro quella sensazione generale sulla fine dei «tempi felici» («L’Occidente, l’Europa stessa stanno pian piano svanendo») e disegnando con efficaci pennellate i motivi italiani dello sconforto («la Chiesa e la famiglia stesse ... sono alle prese con forze corrosive»; «il moltiplicarsi senza freno dei casi di corruzione pubblica, di malversazione...»; la mancanza «di un libro, un film, un’architettura ... una cosa nuova pensata o fatta in Italia» che faccia parlare di sé il mondo). «Siamo un Paese in declino?» chiede infine Galli della Loggia, «meglio non dirlo. Ma senza dubbio siamo un Paese che sente di essere nel mezzo di un passaggio assai difficile della sua storia» e dove nessuno è in grado di dire «qualcosa circa il futuro che ci aspetta». Compito questo della politica. Ma della politica, nel senso di «progetto della città» il nostro Paese è soprattutto privo. I tentativi riformatori di Berlusconi non sono iscritti «in un discorso generale rivolto a tutto il Paese» perché «egli è rimasto fino in fondo l’uomo di una parte». E alla lunga egemonia di Berlusconi, uomo «della non- politica» ha corrisposto dall’altra parte la «crisi perdurante e l’afasia politica di tutti i suoi oppositori». Un’analisi di questo tipo non può lasciare indifferente un uomo come Massimo Cacciari, filosofo, professore universitario, che è stato sindaco di Venezia per quindici anni. «È un’idea giusta - commenta Cacciari - individuare le ragioni geopolitiche che prima hanno avvantaggiato il nostro Paese e ora lo marginalizzano. Ma sarebbe un grave errore, che Galli della Loggia peraltro non commette, aver nostalgia di un periodo caratterizzato da democrazia bloccata, terrorismo, limiti di sistema che hanno condotto a Tangentopoli». Ma non è solo di storia che vuol parlare Cacciari, quanto di futuro: «Malgrado non riesca a scrollarmi di dosso l’etichetta della Cassandra pessimista, pur avendo per quindici anni tirato la carretta della politica, voglio rispondere a Galli della Loggia mettendo le cose in positivo. Siamo un Paese pieno di energie e di valore, altro che mancanza di libri e prodotti culturali che facciano parlare di sé. Siamo pieni di architetti, scrittori importanti, protagonisti del made in Italy culturale. Cominciamo con il parlare delle cose positive. Da politici cominciamo a parlare delle cose buone e a dire "fate il bene" invece di parlare male del male». Certo, aggiunge Cacciari, la critica della politica è importante, «purché quando si parla di responsabilità della classe politica non si escludano le persone come me e Galli della Loggia, che facciamo pienamente parte della classe dirigente». Ma che cos’è il «bene» secondo Cacciari? Eccolo, espresso in tre punti. «Il bene oggi - dice il politico filosofo - è aprire una fase costituente per cambiare la legge elettorale; il bene è realizzare la riforma delle riforme, cioè il sistema federalistico che abbia al centro le città e non solo le Regioni, che spesso si rivelano dei grandi carrozzoni burocratici; il bene infine è realizzare un nuovo welfare, non più statalistico, ma basato sull’associazionismo di base e sul volontariato». Idealmente Cacciari prosegue l’editoriale di Galli della Loggia e si rivolge ai politici, da Fini ad altre componenti del Pdl, al Pd e a Casini: «Preparate in questo scorcio di legislatura le basi per una nuova fase costituente, necessaria già nell’89. Per uscire dall’impasse dello scontro fra berlusconismo e antiberlusconismo e ricostruire un nuovo patto fondamentale sulla base del quale ci si possa tornare a dividere in maniera costruttiva». Anche lo scrittore Sebastiano Vassalli (il suo nuovo romanzo, edito da Einaudi, si intitola Le due chiese) condivide ma con qualche distinguo l’editoriale di Galli della Loggia: «A mio avviso - commenta Vassalli - la crisi italiana e quella europea sono collegate da qualcosa di profondo: il venir meno dell’ideologia socialista, che per un secolo ha costituito il collante basato su una sorta di religione del lavoro, ha creato un vuoto nel quale si stanno riversando le popolazioni disperate dell’Africa e dell’Asia». Diverso anche il peso che Vassalli attribuisce alla politica e quindi a Berlusconi. «Berlusconi e il berlusconismo - continua Vassalli - non sono la causa ma l’effetto, sono l’equivalente in politica dell’architettura dell’inutile o della letteratura scacciapensieri, del cinema leggero. La politica oggi è una lavagna vuota, specchio e non causa di una crisi che coinvolge tutto l’Occidente». Per lo storico del Medioevo Franco Cardini, che continua a professarsi di destra, pur ammettendo che ormai le sue critiche vengono capite soprattutto a sinistra, prima di interrogarsi sul «Paese senza politica» bisogna ridefinire l’idea di Occidente: «Siamo sicuri che l’Occidente in cui ci identifichiamo sia quello capitanato fino a qualche anno fa da un presidente degli Stati Uniti che ci ha trascinato in una folle guerra in Afghanistan e in Iraq?». Quanto all’Italia, Cardini non nutre fiducia «nella politica dell’isola dei famosi, dei centri commerciali, del partito di plastica». La politica, dice Cardini, «esprime una mancanza cui possono porre rimedio soltanto i giovanissimi, quelli che cominciano a criticare il materialismo dei loro fratelli maggiori». Per il futuro prossimo, Cardini spera come Cacciari in una «fase costituente»: «Prepariamoci a un 2013 con un Berlusconi al tramonto come il re Sole che governò sino a 75 anni. L’augurio è che la classe politica dell’Italia del 2013 sia più previdente di quella della Francia nel 1715». Il regista Carlo Lizzani, infine, individua il terreno comune per un rilancio italiano nella «valorizzazione del patrimonio culturale esistente». Lizzani non crede che «la mancanza di prodotti culturali alti sia da addebitarsi alla politica, ma una visione strategica del futuro può far sì che il talento venga coltivato e non nasca per caso».
«Corriere della Sera» dell'8 luglio 2010
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