Il regolamento di una multinazionale: rischio licenziamento per una storia tra colleghi. Ma il gusto della trasgressione farà nascere molti flirt
di Claudio Risè
Forse uomini e donne torneranno finalmente ad amarsi. Finirà così, si spera, la tetra epoca della diffidenza, della competizione, del guardarsi in cagnesco, del «siamo più brave noi» «no noi», che ci sta togliendo il sorriso, inevitabile complemento dello sguardo di apprezzamento, o di intesa. Chi ci fa questo bel regalo, di riaprire la comunicazione erotica tra uomo e donna? Un'entità che riassume in sé tre caratteristiche che la cultura politicamente corretta considera la quint'essenza di ciò che non bisogna essere o fare: si tratta infatti di una multinazionale, di nazionalità svizzera, del settore del lusso, la Richemont, con sede a Ginevra. Come mai la Richemont potrebbe dare il via a un nuovo risveglio amoroso? Con un ordine di servizio nel quale l'azienda, senza tergiversare, deplora flirt e relazioni sentimentali sul lavoro e prega chi vi si trovasse di riferirne ai superiori. I quali provvederanno con spostamenti, ammonimenti o licenziamenti. Naturalmente gli esperti del diritto del lavoro hanno subito strillato: «Ma non siamo mica matti, qui non siamo in America, ma in Europa, ci sono di mezzo le tendenze personali, la vita affettiva dei dipendenti, la protezione dei dati, l'azienda non può ficcarci il naso ci mancherebbe» etc etc. Tutto vero, naturalmente. Peccato però che una legge che stabilisce nuovi diritti e doveri di datori di lavoro e dipendenti, proprio sul tema dell'amore in ufficio, è appena stata approvata dal Parlamento tedesco: evidentemente la questione non nasce soltanto dalla tradizionale «pruderie» della città di Calvino, e dalla presunta arroganza di una multinazionale, ma dal tema della crescente diffusione delle molestie di vario genere, e dei costi sia sociali sia aziendali che vi sono legati. Insomma: la cultura del permissivismo e del «facciamo finta che le persone siano asessuate e uguali, e tutto andrà bene», è fallita. Maschi e femmine sono diversissimi, questa differenza continua a interessarli e a turbare molto entrambi (il 12% delle unioni, e un numero ben maggiore di problemi sentimentali e sessuali, nasce sul luogo di lavoro), e quindi sia la scuola sia l'azienda e gli Stati passano sempre più in fretta da un permissivismo unisex a una politica di attenzione.
L'amore tra i dipendenti non può essere considerato irrilevante, come è accaduto nella cultura, anche aziendale, dagli anni 70 in poi, anche la sessualità e i sentimenti sono tra i fattori che più incidono sul benessere delle persone, e quindi sulla loro produttività e la la loro efficienza. Inoltre, la sovrapposizione tra i conflitti sentimentali-sessuali (generati dalla relazione amorosa), e quelli aziendali e di carriera costituisce un mixing esplosivo che, coperto e sedato dalla cultura puritana che ha dominato i rapporti aziendali fino alla metà degli anni 70, è poi esploso in un malessere crescente, di cui molestie, stalking, e «casi» aziendali di notorietà anche internazionale costituiscono le cronache quotidiane.
La Richemont dunque, con quel misto di ingenuità, determinazione e solido buonsenso che solo una multinazionale svizzera del lusso può avere (consciamente o no), ha semplicemente dato voce al bambino che vede che Il Re è nudo: il permissivismo non porta nulla, se non guai. Dal punto di vista dell'inconscio collettivo questo «proibire l'amore» equivale, del resto, a tornare a dargli importanza, valore, significato, potere. Quando, nei primi anni 60, bighellonavo per le strade, appunto, di Ginevra, era di moda una canzone di Claude François che metteva in guardia: «È pericoloso (in italiano) l'amour»; negli anni seguenti avrebbe fatto ridere. Ma oggi (anche grazie a Richemont), si torna a pensare che è vero: è pericoloso, quindi interessante, quindi (a volte) da vietare. Così facendo si torna a riconoscergli un interesse, lo si toglie dal suo status di videogioco personalizzato rimettendolo al posto di evento misterioso, inquietante, che fa risuonare corde altrimenti mute.
L'amore tra i dipendenti non può essere considerato irrilevante, come è accaduto nella cultura, anche aziendale, dagli anni 70 in poi, anche la sessualità e i sentimenti sono tra i fattori che più incidono sul benessere delle persone, e quindi sulla loro produttività e la la loro efficienza. Inoltre, la sovrapposizione tra i conflitti sentimentali-sessuali (generati dalla relazione amorosa), e quelli aziendali e di carriera costituisce un mixing esplosivo che, coperto e sedato dalla cultura puritana che ha dominato i rapporti aziendali fino alla metà degli anni 70, è poi esploso in un malessere crescente, di cui molestie, stalking, e «casi» aziendali di notorietà anche internazionale costituiscono le cronache quotidiane.
La Richemont dunque, con quel misto di ingenuità, determinazione e solido buonsenso che solo una multinazionale svizzera del lusso può avere (consciamente o no), ha semplicemente dato voce al bambino che vede che Il Re è nudo: il permissivismo non porta nulla, se non guai. Dal punto di vista dell'inconscio collettivo questo «proibire l'amore» equivale, del resto, a tornare a dargli importanza, valore, significato, potere. Quando, nei primi anni 60, bighellonavo per le strade, appunto, di Ginevra, era di moda una canzone di Claude François che metteva in guardia: «È pericoloso (in italiano) l'amour»; negli anni seguenti avrebbe fatto ridere. Ma oggi (anche grazie a Richemont), si torna a pensare che è vero: è pericoloso, quindi interessante, quindi (a volte) da vietare. Così facendo si torna a riconoscergli un interesse, lo si toglie dal suo status di videogioco personalizzato rimettendolo al posto di evento misterioso, inquietante, che fa risuonare corde altrimenti mute.
«Il Giornale» del 29 luglio 2010
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