Il sottosegretario: torni lo spirito del Family Day
di Pierluigi Fornari
Intervista Roccella: oltre agli aiuti economici è necessaria una vigorosa battaglia culturale
Tornare all’ispirazione originaria del Family day. Eugenia Roccella, portavoce insieme a Savino Pezzotta di quella storica mobilitazione, invita ad una riflessione sulle politiche in favore della famiglia per superare formule retoriche, luoghi comuni, impostazioni riduttive. «Da quella storica mobilitazione della società civile viene una lezione importante. La ragione primaria del raduno di oltre un milione di italiani in piazza San Giovanni era la volontà di dire 'no' ad uno stravolgimento della concezione della famiglia così come delineata nella Costituzione, stravolgimento operato attraverso una sostanziale equiparazione delle coppie di fatto alla famiglia. E ciò anche per aprire la strada al matrimonio gay. Tutto il pacchetto di misure economiche che pure indicammo nel corso del Family day (equità fiscale, conciliazione maternità - famiglia, ecc) era importante in tanto quanto era implicito nella difesa di quella definizione di famiglia.
E adesso invece cosa succede?
Mi sembra che il dibattito sia appiattito unicamente sulle misure sociali, sulle misure economiche, e ciò indiscriminatamente, senza esplicitare, cioè, in modo inequivocabile le premesse antropologiche della difesa della vita, del matrimonio, della famiglia. Eppure Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha dimostrato come oggi la questione sociale sia integralmente una questione antropologica. Del resto l’esperienza storica dell’Europa ce lo conferma.
Si riferisce alle politiche adottate da altri Paesi europei?
C’è la tendenza a indicare questi Stati come esempi virtuosi perché le cifre degli interventi economici sono più sostanziose, trascurando di dire che in quelle nazioni la famiglia in quanto tale è in via di estinzione.
Ma gli aiuti economici strutturati sulla famiglia e non sull’individuo restano una necessità...
Sia ben chiaro non voglio dire che il quoziente familiare non si deve fare. Si deve fare e il nostro governo lo ha posto come priorità. Allo stesso modo devono essere potenziati i servizi a favore della famiglia. Ma il problema di fondo, la discriminante, è salvaguardare il modello italiano, nella consapevolezza che le misure economiche di per sé, come appunto dimostra l’esperienza dei Paesi stranieri, non bastano.
Eppure in Francia il tasso di fecondità è al 1,9...
A questo proposito io penso che sia necessario chiarire che politiche a sostegno della natalità e politiche in favore della famiglia non sono la stessa cosa. Nel senso che si può avere per esempio, come in Svezia, un rialzo dell’indice di fertilità di qualche punto decimale nel contesto di una società dove la famiglia scompare e l’indice delle madri single è elevatissimo. Io sono a favore di una politica a sostegno della natalità ma deve essere chiaramente inquadrata nel contesto della tradizione culturale e sociale italiana, una politica che subordini gli interventi monetari alla concezione della famiglia iscritta nella nostra Costituzione.
Allora da dove partire?
Io penso che la priorità sia l’emergenza educativa, una battaglia culturale che sappia trasmettere attraverso la famiglia alle nuove generazioni un patrimonio di valori, la ricchezza costituita da ogni figlio e dall’apertura alla vita. In questo senso mi sembra necessario sfatare una serie di luoghi comuni.
Per esempio?
Nell’immediato dopoguerra gli italiani avevano una natalità elevata, eppure le condizioni economiche non erano migliori di oggi. In un certo senso l’apertura alla vita era una risposta coraggiosa ad una condizione di difficoltà e di povertà. Una risposta che è stata premiata, infatti proprio quelle generazioni hanno realizzato il 'miracolo economico'. Ora invece il figlio è considerato un optional, talvolta persino un oggetto di consumo, da collocare in una scala dove è preceduto da altre priorità. La procreazione medicalmente assistita è un po’ frutto di questa mentalità.
Ma se guardiamo al presente?
Anche se guardiamo al presente ci rendiamo conto che lo schema economicistico non funziona: il 48% delle donne che abortiscono sono occupate, le disoccupate sono solo il 12%. Quindi l’occupazione femminile, per quanto importante, non è di per sé, come qualcuno vuol far credere, un fattore che incoraggia la maternità. Se fosse così, del resto, le regioni del nord, dove il tasso di occupazione femminile è pari e talvolta anche superiore alle medie europee e dove i servizi ci sono, avrebbero un’impennata di natalità che invece non c’è mai stata. Quindi non è solo un problema di servizi.
Lei propone di puntare sul modello italiano, ma questo cosa significa in concreto?
C’è una specificità italiana che va salvaguardata. Tutta una serie di indicatori negativi a riguardo dell’aborto, dei divorzi, delle madri single, sono nel nostro Paese meno pesanti che in altri Paesi europei.
Quali gli elementi di questa formula?
Una grandissima risorsa è un associazionismo che si ispira ai valori non negoziabili, una rete di solidarietà che ci sta permettendo di fronteggiare la crisi, partendo dalla famiglia e allargandosi al vicinato e alla comunità. La politica a favore della famiglia deve partire da qui. Deve sostenere la stabilità del vincolo matrimoniale anche laicamente concepito. Deve aprire canali di scambio culturale con le nuove generazioni chiuse nella rete delle comunicazioni orizzontali, ristrette al mondo dei loro coetanei, e volatili quanto un sms, un twitter. Allo stesso modo per quanto riguarda la natalità deve partire dall’origine, del valore della maternità, dalla riscoperta, grazie anche ad adeguate politiche, che partorire e allattare sono la cosa più naturale del mondo. Un figlio è sempre una ricchezza: lo è per l’economia di una Nazione (come dice Gotti Tedeschi) e lo è per il senso dell’esistenza di ciascuno.
E adesso invece cosa succede?
Mi sembra che il dibattito sia appiattito unicamente sulle misure sociali, sulle misure economiche, e ciò indiscriminatamente, senza esplicitare, cioè, in modo inequivocabile le premesse antropologiche della difesa della vita, del matrimonio, della famiglia. Eppure Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha dimostrato come oggi la questione sociale sia integralmente una questione antropologica. Del resto l’esperienza storica dell’Europa ce lo conferma.
Si riferisce alle politiche adottate da altri Paesi europei?
C’è la tendenza a indicare questi Stati come esempi virtuosi perché le cifre degli interventi economici sono più sostanziose, trascurando di dire che in quelle nazioni la famiglia in quanto tale è in via di estinzione.
Ma gli aiuti economici strutturati sulla famiglia e non sull’individuo restano una necessità...
Sia ben chiaro non voglio dire che il quoziente familiare non si deve fare. Si deve fare e il nostro governo lo ha posto come priorità. Allo stesso modo devono essere potenziati i servizi a favore della famiglia. Ma il problema di fondo, la discriminante, è salvaguardare il modello italiano, nella consapevolezza che le misure economiche di per sé, come appunto dimostra l’esperienza dei Paesi stranieri, non bastano.
Eppure in Francia il tasso di fecondità è al 1,9...
A questo proposito io penso che sia necessario chiarire che politiche a sostegno della natalità e politiche in favore della famiglia non sono la stessa cosa. Nel senso che si può avere per esempio, come in Svezia, un rialzo dell’indice di fertilità di qualche punto decimale nel contesto di una società dove la famiglia scompare e l’indice delle madri single è elevatissimo. Io sono a favore di una politica a sostegno della natalità ma deve essere chiaramente inquadrata nel contesto della tradizione culturale e sociale italiana, una politica che subordini gli interventi monetari alla concezione della famiglia iscritta nella nostra Costituzione.
Allora da dove partire?
Io penso che la priorità sia l’emergenza educativa, una battaglia culturale che sappia trasmettere attraverso la famiglia alle nuove generazioni un patrimonio di valori, la ricchezza costituita da ogni figlio e dall’apertura alla vita. In questo senso mi sembra necessario sfatare una serie di luoghi comuni.
Per esempio?
Nell’immediato dopoguerra gli italiani avevano una natalità elevata, eppure le condizioni economiche non erano migliori di oggi. In un certo senso l’apertura alla vita era una risposta coraggiosa ad una condizione di difficoltà e di povertà. Una risposta che è stata premiata, infatti proprio quelle generazioni hanno realizzato il 'miracolo economico'. Ora invece il figlio è considerato un optional, talvolta persino un oggetto di consumo, da collocare in una scala dove è preceduto da altre priorità. La procreazione medicalmente assistita è un po’ frutto di questa mentalità.
Ma se guardiamo al presente?
Anche se guardiamo al presente ci rendiamo conto che lo schema economicistico non funziona: il 48% delle donne che abortiscono sono occupate, le disoccupate sono solo il 12%. Quindi l’occupazione femminile, per quanto importante, non è di per sé, come qualcuno vuol far credere, un fattore che incoraggia la maternità. Se fosse così, del resto, le regioni del nord, dove il tasso di occupazione femminile è pari e talvolta anche superiore alle medie europee e dove i servizi ci sono, avrebbero un’impennata di natalità che invece non c’è mai stata. Quindi non è solo un problema di servizi.
Lei propone di puntare sul modello italiano, ma questo cosa significa in concreto?
C’è una specificità italiana che va salvaguardata. Tutta una serie di indicatori negativi a riguardo dell’aborto, dei divorzi, delle madri single, sono nel nostro Paese meno pesanti che in altri Paesi europei.
Quali gli elementi di questa formula?
Una grandissima risorsa è un associazionismo che si ispira ai valori non negoziabili, una rete di solidarietà che ci sta permettendo di fronteggiare la crisi, partendo dalla famiglia e allargandosi al vicinato e alla comunità. La politica a favore della famiglia deve partire da qui. Deve sostenere la stabilità del vincolo matrimoniale anche laicamente concepito. Deve aprire canali di scambio culturale con le nuove generazioni chiuse nella rete delle comunicazioni orizzontali, ristrette al mondo dei loro coetanei, e volatili quanto un sms, un twitter. Allo stesso modo per quanto riguarda la natalità deve partire dall’origine, del valore della maternità, dalla riscoperta, grazie anche ad adeguate politiche, che partorire e allattare sono la cosa più naturale del mondo. Un figlio è sempre una ricchezza: lo è per l’economia di una Nazione (come dice Gotti Tedeschi) e lo è per il senso dell’esistenza di ciascuno.
«Il pacchetto sociale di misure e di equità fiscale va integrato con le premesse della difesa della vita e del matrimonio C’è una cultura che va difesa Gli indicatori negativi (aborti, divorzi, madri single), sono nel nostro Paese meno pesanti che altrove in Europa»
«Avvenire» del 30 luglio 2010
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