di Luigi Mascheroni
Se chiedete in giro com’è il giornalismo italiano oggi, vi risponderanno che è tutto parole e niente fatti, che prevalgono interpretazioni e commenti, che è solo polemica o gossip... E soprattutto - sia di destra, di sinistra o «terzista» - che è piegato ai potei forti, economici e politici. E vi diranno che i giornalisti sono tutti venduti, autoreferenziali e cialtroni. E i giornali zeppi di spazzatura e bugie interessate...
Parrà strano, ma le stesse cose le diceva, più di un secolo fa, in un’Italia apparentemente diversa, una grande scrittrice (e ottima giornalista) semi-dimenticata in un romanzo ormai sconosciuto. Lei è Matilde Serao (1856-1927), autrice famosissima tra Otto e Novecento, e la prima donna italiana a fondare e dirigere un quotidiano. Il romanzo è Vita e avventure di Riccardo Joanna, pubblicato nel 1887 e ora riscoperto e riportato in libreria per la sua attualità da Selene Edizioni (pagg. 230, euro 14,90) con un’introduzione di Francesco Merlo (naturalmente in chiave anti-berlusconiana, anti-conflitto d’interessi, anti-tutte le solite cose).
Comunque. Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio, che divisero per lunghi anni lavoro e sentimenti, fondarono nel 1885 il Corriere di Roma (poi arriverà il Corriere di Napoli e dopo ancora Il Mattino) buttandosi a capofitto nell’impresa. Ma il foglio non decollò, per la concorrenza della Tribuna, e fu presto costretto alla chiusura. Così la Serao, prendendo spunto dalla sua esperienza, scrisse di getto quello che Benedetto Croce definì - niente meno! - «il romanzo del giornalismo italiano».
Forse la prosa e il ritmo sono un po’ demodè, ma il plot, che racconta le vicende di Riccardo Joanna - partito correttore di bozze e arrivato direttore - è moderna, divertente, in qualche modo addirittura credibile. Come quando il protagonista - pensando a quanto i lettori amino le cose volgari - davanti al suo giornale commenta: «È abbastanza brutto per tirare centomila copie. Ma si può farlo più brutto ancora». Del resto è famoso il consiglio che Gaetano Afeltra, un vecchio maestro della carta stampata (vero, non romanzesco), diede a un futuro direttore: «Piglia ’o iurnale e riempilo emmerda».
Come suggerisce l’editore Piero d’Oro, la Serao non poteva sapere che stava scrivendo una sorta di promemoria del giornalismo italiano, mostrando come tra i suoi tempi e i nostri non ci sia differenza: pochi fatti e troppi commenti, una totale dipendenza dalla politica e la tendenza a cambiare idea. Rimane il fatto che leggendo quel vecchio romanzo sono molti i nomi che oggi potrebbero essere dei perfetti Riccardo Joanna, giornalisti ai quali interessa solo vendere più copie possibile e ottenere finanziamenti dai politici. Salvo poi cambiare sia il pubblico sia i finanziatori. Cose che succedono continuamente sia a destra, sia sinistra, e perfino al centro. Almeno da un secolo a questa parte.
Parrà strano, ma le stesse cose le diceva, più di un secolo fa, in un’Italia apparentemente diversa, una grande scrittrice (e ottima giornalista) semi-dimenticata in un romanzo ormai sconosciuto. Lei è Matilde Serao (1856-1927), autrice famosissima tra Otto e Novecento, e la prima donna italiana a fondare e dirigere un quotidiano. Il romanzo è Vita e avventure di Riccardo Joanna, pubblicato nel 1887 e ora riscoperto e riportato in libreria per la sua attualità da Selene Edizioni (pagg. 230, euro 14,90) con un’introduzione di Francesco Merlo (naturalmente in chiave anti-berlusconiana, anti-conflitto d’interessi, anti-tutte le solite cose).
Comunque. Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio, che divisero per lunghi anni lavoro e sentimenti, fondarono nel 1885 il Corriere di Roma (poi arriverà il Corriere di Napoli e dopo ancora Il Mattino) buttandosi a capofitto nell’impresa. Ma il foglio non decollò, per la concorrenza della Tribuna, e fu presto costretto alla chiusura. Così la Serao, prendendo spunto dalla sua esperienza, scrisse di getto quello che Benedetto Croce definì - niente meno! - «il romanzo del giornalismo italiano».
Forse la prosa e il ritmo sono un po’ demodè, ma il plot, che racconta le vicende di Riccardo Joanna - partito correttore di bozze e arrivato direttore - è moderna, divertente, in qualche modo addirittura credibile. Come quando il protagonista - pensando a quanto i lettori amino le cose volgari - davanti al suo giornale commenta: «È abbastanza brutto per tirare centomila copie. Ma si può farlo più brutto ancora». Del resto è famoso il consiglio che Gaetano Afeltra, un vecchio maestro della carta stampata (vero, non romanzesco), diede a un futuro direttore: «Piglia ’o iurnale e riempilo emmerda».
Come suggerisce l’editore Piero d’Oro, la Serao non poteva sapere che stava scrivendo una sorta di promemoria del giornalismo italiano, mostrando come tra i suoi tempi e i nostri non ci sia differenza: pochi fatti e troppi commenti, una totale dipendenza dalla politica e la tendenza a cambiare idea. Rimane il fatto che leggendo quel vecchio romanzo sono molti i nomi che oggi potrebbero essere dei perfetti Riccardo Joanna, giornalisti ai quali interessa solo vendere più copie possibile e ottenere finanziamenti dai politici. Salvo poi cambiare sia il pubblico sia i finanziatori. Cose che succedono continuamente sia a destra, sia sinistra, e perfino al centro. Almeno da un secolo a questa parte.
«Il Giornale» del 31 luglio 2010
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