di Ilaria Ramelli
Dopo la persecuzione di Domiziano, Traiano aveva stabilito che i Cristiani conquirendi non sunt, ma, se denunciati, andavano processati e, se perseveravano, condannati a morte. Adriano, pur interpretando la norma traianea in modo più favorevole ai Cristiani, non mutò lo statuto del Cristianesimo come superstitio illicita. Poiché i denunciatori erano privati ostili, i Cristiani dovevano cercare di non attrarre malevolenza e sospetti. Se Ammonio e Apollonio erano cristiani, si spiega la loro preoccupazione per l’ostilità esterna, che la comunità di Ammonio ha già sperimentato e spera che quella di Apollonio possa evitare. Ancora alla fine della lettera Ammonio ripete di essere molto preoccupato «a causa di quanto sta accadendo». La situazione di pericolo descritta e connessa all’ostilità esterna si adatterebbe bene a quella delle comunità cristiane a Domiziano a Marco Aurelio. La stessa preoccupazione per dissensi interni e attacchi esterni si trova nella lettera di Clemente Romano ai Corinzi, che oltretutto impiega lo stesso lessico di eiréne e homonoia usato da Ammonio. Il termine più ricco del lessico della philia in Ammonio è philallelia, «amore reciproco», che deve regnare nella comunità di Apollonio. La sua associazione con homonoia, esattamente come nella nostra lettera, si trova anche nel cristiano Nilo di Ancira. Nei papiri philallelia è un unicum, e nei testi letterari è solo in autori cristiani e in Esichio. L’uso di prohairesis, due volte nella lettera, è interessante. Il termine appare in testi letterari, epigrafi e papiri, ed è proprio della terminologia filosofica, specialmente stoica; è importante in Epitteto, cronologicamente molto prossimo alla lettera. In Ammonio, indica l’intenzione che rende un dono o un pensiero graditi, nascendo da una disposizione d’amicizia e generosità (cfr. prohairesis philikês diathéseos). La filosofia morale ellenistica, specialmente stoica, è ben presente anche nel Nuovo Testamento, ad esempio nelle Lettere Pastorali, grosso modo contemporanee a quella di Ammonio e rispondenti alle stesse preoccupazioni che sembrano trasparire da quella di Ammonio (aderire alle convenzioni morali del mondo greco-romano per destare meno sospetti). L’espressione diathesis philiké trova un preciso parallelo in un papiro cristiano, pur tardo (P. Cairo Maspero III 6731), che ha philikè kai eirenikè diathesis, un’espressione che non appare mai nelle altre occorrenze di diathesis nei papiri. Ammonio rimprovera Apollonio di «opprimerlo» con continui atti di generosità (indicati con philanthropiai, altro termine del lessico della philia) che egli non potrebbe ricambiare, un ossimoro che rivela anche la cultura retorica di Ammonio. Questa frase, che sembra escludere che l’epistolè kechiasméne fosse un contratto, mostra che Ammonio riteneva la reciprocità essenziale in un rapporto di philia. I paralleli con testi cristiani di fine I o di II secolo e la corrispondenza con la situazione storica dei Cristiani all’epoca sembrano confermare la datazione paleografica, eventualmente estendendola fin sotto Marco Aurelio, e la supposizione che Ammonio e Apollonio potessero essere cristiani. Avremmo qui una delle primissime attestazioni di nomina sacra; un parallelo interessante è su un frammento di pelle scoperto recentemente in una cava a Wadi Murabbat, di fine I – inizi II secolo, contenente forse la prima attestazione del monogramma di Cristo. Qui potrebbe essere il X sopralineato a rinviare a Cristo e alla sua croce (come cristogramma e/o staurogramma). La situazione rischiosa spiegherebbe bene il bisogno di usare una formula criptica, che non avrebbe insospettito i non-cristiani. Precisamente in Egitto nella prima metà del II secolo, fu scritto il Papiro Rylands 457, contenente passi del vangelo di Giovanni. Nel luogo e nel periodo in ci scriveva Ammonio, il vangelo giovanneo era copiato e letto nelle comunità cristiane, tra cui potevano esserci anche quelle di Ammonio e Apollonio.
«Avvenire» del 27 luglio 2010
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