Ieri l’ultimo atroce delitto: a 16 anni ammazzata dal fidanzato di 30 che aveva appena lasciato. Dopo l’omicidio lui s’è sparato. Nelle ultime settimane, altre nove donne sono morte a causa della follia di ex compagni o amanti rifiutati
di Luciano Gulli
È successo di nuovo. E poiché è la nona volta nelle ultime due settimane, e la dodicesima negli ultimi due mesi, e quante siano dall’inizio dell’anno non sappiamo perché abbiamo perso il conto, forse è il caso che noi uomini ci facciamo un esame di coscienza (dovremmo farcene uno ogni sei mesi, sul punto, vista la recidività) e per quanto sia dura l’idea di essere lasciati dalla «propria» donna, forse sarà il caso che cominciamo a conviverci, con questa strampalata idea; a «elaborare il lutto», come dicono ormai anche dall’estetista, lasciando stare le pistole e i coltelli. Lo so, viene voglia di spaccare tutto, di fare un macello, anche se siamo diventati tutti più razionali, e non siamo più maschilisti. Gli americani, che hanno standardizzato anche le fasi del dolore, dicono che gli stati d’animo che seguono a una perdita amorosa sono esattamente cinque: lo choc iniziale, la contrazione successiva, la rabbia, la tristezza e infine l’accettazione. Ecco, c’è che per molti non si va oltre la rabbia.
Ma è proprio in quel momento, nel momento in cui si avverte quella spaventosa lacerazione in petto che bisognerebbe fermarsi e pensare a questa spaventosa idea: e cioè che la donna con cui stavamo non è «roba nostra», e dunque ha il diritto di non volerci più, di andarsene. Punto e basta. Ripeto: un dolore spaventoso, una ferita che spesso non rimargina, come sanno tutti quelli che ci sono passati (e siamo in parecchi, basta lasciar fare al tempo). Ma è così, tocca patire e tirare avanti.
Invece eccoci qui a raccontare l’ennesima tragedia. Lui aveva 30 anni, e la settimana scorsa si era laureato in biologia con 110 e lode. Lei di anni ne aveva solo 16, e che la storia tra i due dovesse finire era già scritta, forse, in questa non comune differenza d’età. Però si amavano, dicono quelli che avevano vissuto da vicino la loro storia, cominciata un anno fa. Lui si chiamava Fabio Riccato; lei Eleonora Noventa. Abitavano a cento metri l’uno dall’altra. Sabato scorso si erano lasciati, dopo una brutta litigata. Ieri lui ha inforcato la sua Vespa, è andato ad aspettarla sotto casa e quando lei è arrivata, in bici, ed era diretta dalla nonna, ha cominciato a parlarle fitto fitto, ma è finita che hanno litigato di nuovo. E siccome lui lo sapeva, che sarebbe andata a finire così, e giudicava intollerabile l’idea di essere lasciato, ha tirato su il sellino della Vespa, ha preso la Smith & Wesson 357 magnum che si era portato dietro e le ha sparato tre volte: due al torace e una alla testa. Poi ha rivolto l’arma contro se stesso e si è ficcato una pallottola nel cuore.
Tutto questo ad Asseggiano, vicino Mestre, sotto gli occhi di un bel po’ di persone che non hanno fatto in tempo a muovere un dito per evitare la tragedia. E sotto gli occhi della madre di lei, che è arrivata qualche momento dopo la tragedia e gridava: «Ditemi che non è grave, ditemi che non è lei…».
Prima di Eleonora ci sono state Daniela, Cristina, Simona, Maria e Sonia. E poi ancora Debora, Anna Maria, Roberta, Chiara; e due ragazze straniere: Alicia, una dominicana, e Angela Mihailova, una romena. Destini simili, legati da un incontro con lo stesso tipo d’uomo: fidanzato, marito, convivente: quello che non sopporta la separazione, che la vive come un insulto sanguinoso, dunque da lavare col sangue. Ultimamente, pagando pegno allo scervellato ossequio che l’inglese si è guadagnato, si è preso a chiamarlo stalking, come di cacciatore che insegue furtivamente la preda. Ci hanno fatto una legge, l’anno scorso, e da allora sono finite in carcere 1.200 persone, 293 nei soli primi tre mesi di quest’anno.
Daniela Gardoni, di Volta Mantovana, aveva da poco vinto la causa di separazione dal marito Omar Bianchera. Il 25 aprile Omar l’ha uccisa, e già che c’era fece fuori anche due vicini di casa con cui aveva dei conti in sospeso. Cristina Rolle morì a maggio, di coltello, davanti all’assistente sociale di Collegno davanti alla quale si discuteva l’affidamento delle figlie avute dal marito, Giampiero Prato. Simona Melchionda uccisa dal fidanzato carabiniere, mentre Maria Montanaro e Sonia Balconi sono state uccise il 30 giugno da Gaetano De Carlo, ex amante di entrambe, che poi si sparò. Si chiamavano delitti «passionali», una volta. Ma forse è ora di finirla con quest’aggettivo che oggi qualche fesso definirebbe «giustificazionista».
Ma è proprio in quel momento, nel momento in cui si avverte quella spaventosa lacerazione in petto che bisognerebbe fermarsi e pensare a questa spaventosa idea: e cioè che la donna con cui stavamo non è «roba nostra», e dunque ha il diritto di non volerci più, di andarsene. Punto e basta. Ripeto: un dolore spaventoso, una ferita che spesso non rimargina, come sanno tutti quelli che ci sono passati (e siamo in parecchi, basta lasciar fare al tempo). Ma è così, tocca patire e tirare avanti.
Invece eccoci qui a raccontare l’ennesima tragedia. Lui aveva 30 anni, e la settimana scorsa si era laureato in biologia con 110 e lode. Lei di anni ne aveva solo 16, e che la storia tra i due dovesse finire era già scritta, forse, in questa non comune differenza d’età. Però si amavano, dicono quelli che avevano vissuto da vicino la loro storia, cominciata un anno fa. Lui si chiamava Fabio Riccato; lei Eleonora Noventa. Abitavano a cento metri l’uno dall’altra. Sabato scorso si erano lasciati, dopo una brutta litigata. Ieri lui ha inforcato la sua Vespa, è andato ad aspettarla sotto casa e quando lei è arrivata, in bici, ed era diretta dalla nonna, ha cominciato a parlarle fitto fitto, ma è finita che hanno litigato di nuovo. E siccome lui lo sapeva, che sarebbe andata a finire così, e giudicava intollerabile l’idea di essere lasciato, ha tirato su il sellino della Vespa, ha preso la Smith & Wesson 357 magnum che si era portato dietro e le ha sparato tre volte: due al torace e una alla testa. Poi ha rivolto l’arma contro se stesso e si è ficcato una pallottola nel cuore.
Tutto questo ad Asseggiano, vicino Mestre, sotto gli occhi di un bel po’ di persone che non hanno fatto in tempo a muovere un dito per evitare la tragedia. E sotto gli occhi della madre di lei, che è arrivata qualche momento dopo la tragedia e gridava: «Ditemi che non è grave, ditemi che non è lei…».
Prima di Eleonora ci sono state Daniela, Cristina, Simona, Maria e Sonia. E poi ancora Debora, Anna Maria, Roberta, Chiara; e due ragazze straniere: Alicia, una dominicana, e Angela Mihailova, una romena. Destini simili, legati da un incontro con lo stesso tipo d’uomo: fidanzato, marito, convivente: quello che non sopporta la separazione, che la vive come un insulto sanguinoso, dunque da lavare col sangue. Ultimamente, pagando pegno allo scervellato ossequio che l’inglese si è guadagnato, si è preso a chiamarlo stalking, come di cacciatore che insegue furtivamente la preda. Ci hanno fatto una legge, l’anno scorso, e da allora sono finite in carcere 1.200 persone, 293 nei soli primi tre mesi di quest’anno.
Daniela Gardoni, di Volta Mantovana, aveva da poco vinto la causa di separazione dal marito Omar Bianchera. Il 25 aprile Omar l’ha uccisa, e già che c’era fece fuori anche due vicini di casa con cui aveva dei conti in sospeso. Cristina Rolle morì a maggio, di coltello, davanti all’assistente sociale di Collegno davanti alla quale si discuteva l’affidamento delle figlie avute dal marito, Giampiero Prato. Simona Melchionda uccisa dal fidanzato carabiniere, mentre Maria Montanaro e Sonia Balconi sono state uccise il 30 giugno da Gaetano De Carlo, ex amante di entrambe, che poi si sparò. Si chiamavano delitti «passionali», una volta. Ma forse è ora di finirla con quest’aggettivo che oggi qualche fesso definirebbe «giustificazionista».
«Il Giornale» del 13 luglio 2010
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