Moriva il 31 luglio del 1900 il filosofo russo citato nella «Fides et Ratio», che gettò un ponte fra Oriente e Occidente
di Filippo Rizzi
Centodieci anni fa, il 31 luglio del 1900, a Uzkoe, presso Mosca, si spegneva Vladimir Sergeevic Solov’ëv. Aveva quarantasette anni ed era nella pienezza del suo fervore intellettuale e religioso. Un autore che aveva lasciato una traccia indelebile nella letteratura e filosofia/teologia russa del suo tempo, con capolavori come le Lezioni sulla Divinoumanità, I fondamenti spirituali della vita e soprattutto quello che viene considerato il suo testamento spirituale, I tre dialoghi.
Ad ascoltarlo erano accorse personalità del calibro di Dostoevskij e Tolstoj. Per la sua passione per i Padri della Chiesa fu definito amabilmente da Bernard Dupuy l’«Origene dei tempi moderni». Hans Urs von Balthasar lo accostò a Tommaso d’Aquino come «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero». Anche Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio lo collocò tra i pensatori che hanno condotto una «coraggiosa ricerca» sul rapporto tra filosofia e parola di Dio, assieme a figure come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain e Pavel Florenskij.
«Uno dei motivi della sua grandezza – rileva Adriano Dell’Asta , docente di Letteratura russa all’Università Cattolica di Milano e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Mosca – è proprio l’aver realizzato una sintesi armonica tra fede e ragione, tra teologia e filosofia. Per Solov’ëv la pienezza dell’uomo si raggiunge solo quando questi si apre alla fede e la fede gli si spalanca, permettendogli uno sviluppo integrale delle sue facoltà e di viverle in pienezza». Dell’Asta ricorda poi il suo cristocentrismo, così affine a quello di Dostoevskij, l’interesse per Hegel e Kant, di cui fu un eccellente traduttore e divulgatore, la concezione divino-umana di Cristo proclamata dal Concilio di Calcedonia come il filo rosso della sua ricerca teologica, così come la grande tenerezza con cui parlava del Salvatore: «Si racconta spesso questo aneddoto: molti amici gli chiedevano perché si facesse il segno della croce prima di una conferenza o di mangiare. E flemmatica era la sua risposta: 'Non voglio che nessuno possa sospettare che io mi vergogno del mio Cristo'. Il suo era un cristianesimo senza compromessi».
Un debito di riconoscenza verso Solov’ëv lo serba Michelina Tenace, docente di Antropologia teologica alla Pontificia Università Gregoriana, e che è stata tra le prime in Italia a studiarlo in profondità dal punto di vista teologico, grazie ai suggerimenti dei suoi «maestri di sempre», il gesuita Marko Ivan Rupnik e il cardinale Tomáš Špidlík: «Riprendendo e radicalizzando un’espressione di Dostoevskij, Solov’ëv afferma che 'la bellezza salva il mondo'. Cosa significa concretamente? La salvezza è già in atto lì dove la materia si lascia trasfigurare dalla forza del contenuto divino, dalla luce, dalla vita, dall’amore. La bellezza quindi ha a che fare con la discesa dello Spirito Santo (ispirazione) e con la trasfigurazione della realtà in vista del Figlio».
L’ultimo scritto del pensatore russo è senz’altro quello più celebre, il Breve racconto sull’Anticristo. Il testo narra di un uomo dotato di virtù eccezionali che riesce a pacificare l’umanità e sa anche ridare unità ai cristiani divisi da secoli di separazioni e scismi. La sua opera viene contrastata e sconfitta e lui smascherato come l’Anticristo da un nucleo irriducibile di cristiani. «L’inganno più pericoloso dell’Anticristo è nel far credere – commenta il critico letterario de La Civiltà Cattolica , il gesuita Ferdinando Castelli – che sia lui il vero Messia, il salvatore, venuto a perfezionare anzi a correggere l’opera di Cristo. Il profeta della Galilea ha complicato la vita, l’ha resa dura, violenta, impraticabile; egli, al contrario, la rende facile e piacevole perché elimina le divisioni e le contraddizioni. E nella società odierna dei cosiddetti consumi facili, di una certa messianicità alla portata di tutti, noi siamo sedotti e tentati di seguire il richiamo di questo Anticristo, piuttosto che il vero messaggio evangelico».
Un saggio che, secondo il sacerdote ortodosso e docente di Letteratura russa alla Cattolica di Brescia, Vladimir Zelinskij, deve essere riletto anche nella sua forte tensione ecumenica: «Per tutta la vita egli ricercò l’unità visibile nella storia, tuttavia nella sua ultima opera profetizzò il ritorno all’unità non prima del Giudizio finale. La sua eredità più grande è il messaggio di riconciliazione fra Oriente e Occidente cristiano, fra l’intelligentsia agnostica e la Chiesa, fra il cristianesimo e il popolo ebraico, fra la razionalità e la mistica, così come la ricerca di una risposta comune alla sfida delle forze anticristiane. Un lascito che a 110 anni dalla sua morte resta ancora da scoprire e vivere pienamente».
Nelle pagine dell’Anticristo vive sottotraccia la discussione con l’autore di Guerra e pace – a cui Solov’ëv indirizzò nel 1894 una lettera sulla Resurrezione di Cristo – sull’autenticità del messaggio evangelico. «La parabola letteraria dell’Anticristo richiama l’urgenza di un discernimento da parte dei cristiani di fronte alla falsificazione del 'bene' – sottolinea la Tenace –: è falso quel bene che rende vana la croce di Cristo, vana la fede nella Resurrezione, vana la Rivelazione divina. Persino il Vangelo può diventare ideologia, ossia teoria sulla pace, sul benessere e la riconciliazione. Questo è il motivo della sua opposizione a Tolstoj».
Tre anni prima di morire, il 13 febbraio 1896, Solov’ëv aderì alla Chiesa cattolica, sostenendo che essa è fondata su Pietro «il pastore del gregge di Cristo». «Solov’ëv nell’arco della sua breve vita – è la riflessione finale di padre Castelli – ha difeso la Rivelazione cristiana dal materialismo e positivismo dominanti in quegli anni in Russia. Non ha soprattutto voluto relegare Cristo in un ambito puramente umano e filantropico. Contro questa corrente si è schierato assieme a Dostoevskij. Entrambi hanno testimoniato, in opere dense di dottrina e di arte, che senza Cristo, Verbo incarnato, Dio si confonde con gli idoli e l’uomo si configura a un viandante senza meta. L’idea portante del suo dramma sull’Anticristo è nell’affermazione trionfale: 'Il nostro signore è Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente'. E in questo sta la sua cifra di grande pensatore e di cristiano».
Ad ascoltarlo erano accorse personalità del calibro di Dostoevskij e Tolstoj. Per la sua passione per i Padri della Chiesa fu definito amabilmente da Bernard Dupuy l’«Origene dei tempi moderni». Hans Urs von Balthasar lo accostò a Tommaso d’Aquino come «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero». Anche Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio lo collocò tra i pensatori che hanno condotto una «coraggiosa ricerca» sul rapporto tra filosofia e parola di Dio, assieme a figure come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain e Pavel Florenskij.
«Uno dei motivi della sua grandezza – rileva Adriano Dell’Asta , docente di Letteratura russa all’Università Cattolica di Milano e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Mosca – è proprio l’aver realizzato una sintesi armonica tra fede e ragione, tra teologia e filosofia. Per Solov’ëv la pienezza dell’uomo si raggiunge solo quando questi si apre alla fede e la fede gli si spalanca, permettendogli uno sviluppo integrale delle sue facoltà e di viverle in pienezza». Dell’Asta ricorda poi il suo cristocentrismo, così affine a quello di Dostoevskij, l’interesse per Hegel e Kant, di cui fu un eccellente traduttore e divulgatore, la concezione divino-umana di Cristo proclamata dal Concilio di Calcedonia come il filo rosso della sua ricerca teologica, così come la grande tenerezza con cui parlava del Salvatore: «Si racconta spesso questo aneddoto: molti amici gli chiedevano perché si facesse il segno della croce prima di una conferenza o di mangiare. E flemmatica era la sua risposta: 'Non voglio che nessuno possa sospettare che io mi vergogno del mio Cristo'. Il suo era un cristianesimo senza compromessi».
Un debito di riconoscenza verso Solov’ëv lo serba Michelina Tenace, docente di Antropologia teologica alla Pontificia Università Gregoriana, e che è stata tra le prime in Italia a studiarlo in profondità dal punto di vista teologico, grazie ai suggerimenti dei suoi «maestri di sempre», il gesuita Marko Ivan Rupnik e il cardinale Tomáš Špidlík: «Riprendendo e radicalizzando un’espressione di Dostoevskij, Solov’ëv afferma che 'la bellezza salva il mondo'. Cosa significa concretamente? La salvezza è già in atto lì dove la materia si lascia trasfigurare dalla forza del contenuto divino, dalla luce, dalla vita, dall’amore. La bellezza quindi ha a che fare con la discesa dello Spirito Santo (ispirazione) e con la trasfigurazione della realtà in vista del Figlio».
L’ultimo scritto del pensatore russo è senz’altro quello più celebre, il Breve racconto sull’Anticristo. Il testo narra di un uomo dotato di virtù eccezionali che riesce a pacificare l’umanità e sa anche ridare unità ai cristiani divisi da secoli di separazioni e scismi. La sua opera viene contrastata e sconfitta e lui smascherato come l’Anticristo da un nucleo irriducibile di cristiani. «L’inganno più pericoloso dell’Anticristo è nel far credere – commenta il critico letterario de La Civiltà Cattolica , il gesuita Ferdinando Castelli – che sia lui il vero Messia, il salvatore, venuto a perfezionare anzi a correggere l’opera di Cristo. Il profeta della Galilea ha complicato la vita, l’ha resa dura, violenta, impraticabile; egli, al contrario, la rende facile e piacevole perché elimina le divisioni e le contraddizioni. E nella società odierna dei cosiddetti consumi facili, di una certa messianicità alla portata di tutti, noi siamo sedotti e tentati di seguire il richiamo di questo Anticristo, piuttosto che il vero messaggio evangelico».
Un saggio che, secondo il sacerdote ortodosso e docente di Letteratura russa alla Cattolica di Brescia, Vladimir Zelinskij, deve essere riletto anche nella sua forte tensione ecumenica: «Per tutta la vita egli ricercò l’unità visibile nella storia, tuttavia nella sua ultima opera profetizzò il ritorno all’unità non prima del Giudizio finale. La sua eredità più grande è il messaggio di riconciliazione fra Oriente e Occidente cristiano, fra l’intelligentsia agnostica e la Chiesa, fra il cristianesimo e il popolo ebraico, fra la razionalità e la mistica, così come la ricerca di una risposta comune alla sfida delle forze anticristiane. Un lascito che a 110 anni dalla sua morte resta ancora da scoprire e vivere pienamente».
Nelle pagine dell’Anticristo vive sottotraccia la discussione con l’autore di Guerra e pace – a cui Solov’ëv indirizzò nel 1894 una lettera sulla Resurrezione di Cristo – sull’autenticità del messaggio evangelico. «La parabola letteraria dell’Anticristo richiama l’urgenza di un discernimento da parte dei cristiani di fronte alla falsificazione del 'bene' – sottolinea la Tenace –: è falso quel bene che rende vana la croce di Cristo, vana la fede nella Resurrezione, vana la Rivelazione divina. Persino il Vangelo può diventare ideologia, ossia teoria sulla pace, sul benessere e la riconciliazione. Questo è il motivo della sua opposizione a Tolstoj».
Tre anni prima di morire, il 13 febbraio 1896, Solov’ëv aderì alla Chiesa cattolica, sostenendo che essa è fondata su Pietro «il pastore del gregge di Cristo». «Solov’ëv nell’arco della sua breve vita – è la riflessione finale di padre Castelli – ha difeso la Rivelazione cristiana dal materialismo e positivismo dominanti in quegli anni in Russia. Non ha soprattutto voluto relegare Cristo in un ambito puramente umano e filantropico. Contro questa corrente si è schierato assieme a Dostoevskij. Entrambi hanno testimoniato, in opere dense di dottrina e di arte, che senza Cristo, Verbo incarnato, Dio si confonde con gli idoli e l’uomo si configura a un viandante senza meta. L’idea portante del suo dramma sull’Anticristo è nell’affermazione trionfale: 'Il nostro signore è Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente'. E in questo sta la sua cifra di grande pensatore e di cristiano».
Ferdinando Castelli: «Non ha voluto relegare Cristo in un ambito umano e filantropico». Michelina Tenace: «Ha denunciato quel falso 'bene' che rende vana la Croce e la Resurrezione» Adriano Dell’Asta: «Il suo era un cristianesimo senza compromessi». Vladimir Zelinskij: «Un messaggio di riconciliazione fra razionalità e mistica»
«Avvenire» del 30 luglio 2010
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