di Paola Bignardi
L’Istat ha diffuso ieri i dati relativi ai divorzi e alle separazioni. Cifre che parlano da sole: «Nel 2008 le separazioni sono state 84.165 e i divorzi 54.351, con un incremento rispettivamente del 3,4 e del 7,3% rispetto all’anno precedente. (...) Rispetto al 1995 le separazioni sono aumentate di oltre una volta e mezza (+61%) e i divorzi sono praticamente raddoppiati (+101%)». Colpisce la rapidità con cui cresce il fenomeno di chi si separa e chi divorzia, ancor più dei numeri assoluti. È il segno della facilità con cui si considera reversibile l’amore che ci si è giurato per sempre, ed è al tempo stesso un indicatore della fragilità con cui nasce oggi la famiglia, con la prospettiva di una via di fuga.
Un secondo dato fa pensare: «La crisi coniugale coinvolge sempre più frequentemente anche le unioni di lunga durata. Le separazioni (...) oltre i 25 anni sono quasi triplicate». Dunque aumentano le coppie che dopo molti anni di matrimonio decidono di mettere fine alla loro unione, come se i figli, le esperienze, le gioie, difficoltà condivise non fossero riuscite a costruire un patrimonio comune significativo.
Su questi dati deve riflettere la politica, che sta facendo troppo poco per sostenere la famiglia; e devono riflettere tutte le istituzioni che hanno a cuore la coesione della società. La famiglia è un suo capitale, da non sperperare a cuor leggero; essa è continuerà a essere un soggetto portante e importante, che permette di affrontare le difficoltà dei singoli in quella solidarietà degli affetti che si traduce in aiuto reciproco quando vi è un anziano in casa, quando va in crisi il lavoro, quando qualcuno si ammala... Ogni volta che una famiglia diviene più debole, anche la società lo è un po’ di più.
E allora, anziché pensare a come rendere più veloci le pratiche di separazione, perché non investire (energie, soldi, idee, progetti...) per aiutare le coppie a restare insieme, a reggere alle difficoltà, a riconciliarsi?
Certo non si affrontano le crisi quando sono diventate troppo aspre; occorre piuttosto pensare a come rendere forte la coppia e la famiglia. Occorrono ad esempio reti familiari di sostegno nella normalità della vita coniugale, nella convinzione che nessuna coppia è così forte da non trarre vantaggio da momenti di confronto con altre coppie; per sostenersi nell’elaborazione delle esperienze, per condividere le fatiche, superando quella concezione così privata della famiglia che porta a tenere tutto al proprio interno. Anche il saper chiedere aiuto con naturalezza è da adulti.
Ma occorre guardare ancor più da lontano il carattere impegnativo dell’esperienza familiare affrontando con serietà la sfida educativa, nell’età in cui i giovani si preparano a compiere le scelte importanti della loro vita. Quella educativa è veramente la questione seria della nostra società e dovrebbe avere espressioni qualificate quando ci si misura con scelte grandi e concrete: la capacità di sacrificio, la tenuta di fronte alle difficoltà, il senso di responsabilità verso le proprie scelte, la disponibilità a riconciliarsi e a ricominciare...
Le storie drammatiche di questi giorni dicono come sia necessario imparare a riconoscere le proprie emozioni insieme all’alfabeto dell’amore, che non è travolgente passione, ma rispetto e gentilezza, dominio dei propri impulsi, responsabilità. Pena il distruggere la vita dell’altro, quando non basta compromettere la relazione.
Siamo disposti a ricominciare da questo essenziale alfabeto? Questo è il punto, non certo il «divorzio breve». E in gioco è il futuro della nostra società.
Un secondo dato fa pensare: «La crisi coniugale coinvolge sempre più frequentemente anche le unioni di lunga durata. Le separazioni (...) oltre i 25 anni sono quasi triplicate». Dunque aumentano le coppie che dopo molti anni di matrimonio decidono di mettere fine alla loro unione, come se i figli, le esperienze, le gioie, difficoltà condivise non fossero riuscite a costruire un patrimonio comune significativo.
Su questi dati deve riflettere la politica, che sta facendo troppo poco per sostenere la famiglia; e devono riflettere tutte le istituzioni che hanno a cuore la coesione della società. La famiglia è un suo capitale, da non sperperare a cuor leggero; essa è continuerà a essere un soggetto portante e importante, che permette di affrontare le difficoltà dei singoli in quella solidarietà degli affetti che si traduce in aiuto reciproco quando vi è un anziano in casa, quando va in crisi il lavoro, quando qualcuno si ammala... Ogni volta che una famiglia diviene più debole, anche la società lo è un po’ di più.
E allora, anziché pensare a come rendere più veloci le pratiche di separazione, perché non investire (energie, soldi, idee, progetti...) per aiutare le coppie a restare insieme, a reggere alle difficoltà, a riconciliarsi?
Certo non si affrontano le crisi quando sono diventate troppo aspre; occorre piuttosto pensare a come rendere forte la coppia e la famiglia. Occorrono ad esempio reti familiari di sostegno nella normalità della vita coniugale, nella convinzione che nessuna coppia è così forte da non trarre vantaggio da momenti di confronto con altre coppie; per sostenersi nell’elaborazione delle esperienze, per condividere le fatiche, superando quella concezione così privata della famiglia che porta a tenere tutto al proprio interno. Anche il saper chiedere aiuto con naturalezza è da adulti.
Ma occorre guardare ancor più da lontano il carattere impegnativo dell’esperienza familiare affrontando con serietà la sfida educativa, nell’età in cui i giovani si preparano a compiere le scelte importanti della loro vita. Quella educativa è veramente la questione seria della nostra società e dovrebbe avere espressioni qualificate quando ci si misura con scelte grandi e concrete: la capacità di sacrificio, la tenuta di fronte alle difficoltà, il senso di responsabilità verso le proprie scelte, la disponibilità a riconciliarsi e a ricominciare...
Le storie drammatiche di questi giorni dicono come sia necessario imparare a riconoscere le proprie emozioni insieme all’alfabeto dell’amore, che non è travolgente passione, ma rispetto e gentilezza, dominio dei propri impulsi, responsabilità. Pena il distruggere la vita dell’altro, quando non basta compromettere la relazione.
Siamo disposti a ricominciare da questo essenziale alfabeto? Questo è il punto, non certo il «divorzio breve». E in gioco è il futuro della nostra società.
«Avvenire» del 22 luglio 2010
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